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Yeshua sottoposto a Maria?

L'intercessione di Maria alle nozze di Cana
17 maggio 2025 di
Yeshua sottoposto a Maria?
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
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Introduzione esegetica

Giovanni 2,1-11 introduce la scena: si celebra un matrimonio a Cana di Galilea, con la madre di Yeshua presente. I versi chiave narrano che alla festa mancava il vino, e Maria avverte il Figlio: «Non han più vino» (v. 3). Yeshua risponde con parole apparentemente brusche:

Che c’è fra me e te, o donna? L’ora Mia non è ancora venuta» (v. 4)

Qui il termine «donna» non è offensivo, ma titolo di rispetto (paragonabile a “signora”). Risulta però insolito per un figlio chiamare così sua madre, segnalando che inizia una nuova relazione tra Yeshua e Maria. Il riferimento all’«ora» (l’ora Mia non è venuta) indica il tempo fissato da Dio per la missione di Yeshua, richiamando l’idea dell’ora della Sua passione e gloria futura. Subito dopo Maria dice ai servi: «Fate tutto quel che Egli vi dirà» (v. 5), rimandando ogni decisione alla volontà del Messia.

Contestualmente, Giovanni specifica che c’erano sei giare di pietra destinate alla purificazione rituale degli ebrei (v. 6). Queste giare, usate per l’abluzione cerimoniale, vengono riempite d’acqua fino all’orlo su ordine di Yeshua (vv. 7-8). Quando un servo porta da bere al maestro di tavola, scopre che l’acqua è divenuta vino (v. 9). Lo steward osserva che lo sposo ha servito per ultimo «il vino buono» invece del meno pregiato (vv. 9-10). Infine Giovanni conclude:

Yeshua fece questo primo dei Suoi miracoli […] e manifestò la Sua gloria; e i Suoi discepoli credettero in Lui (v.11)

Di fatto, il racconto definisce il miracolo segno: un evento che rivela la gloria divina del Signore Yeshua e avvia la Nuova Alleanza.


Contesto storico e culturale

Nei matrimoni ebraici del primo secolo d.C. l’ospitalità era fondamentale e i festeggiamenti duravano giorni. Il vino aveva un forte valore simbolico: esso sanciva la gioia e la benedizione di Dio sulla coppia. Secondo la tradizione ebraica, il vino «simboleggia santità (qiddush) e separazione (havdalah)», pregno di gioia festosa. In Giovanni si sottolinea persino la qualità del vino, servendo «il vino buono» per ultimo. Al contrario, finire del vino ai banchetti nuziali era causa di imbarazzo e vergogna sociale. Come osservano vari esegeti,

rimanere senza vino era quasi come ammettere che né sposi né invitati fossero felici.

I rabbini consideravano infatti il vino segno di gioia; la mancanza di vino costituiva un «grande disonore» per gli sposi. In breve, l’episodio si svolge in un contesto dove offrire vino sufficiente agli ospiti era un obbligo d’onore: per i presenti, l’intervento di Yeshua risolveva una situazione umiliante e restaurava l’abbondanza festiva.


Ermeneutica

Dal punto di vista teologico, le Nozze di Cana mettono in luce la sovranità del Messia e la fede di Maria, non alcun potere autonomo di lei. Yeshua, pur eseguendo il miracolo, non è costretto né dal peso di una pretesa umana, ma agisce secondo il disegno del Padre. La Sua risposta iniziale a Maria («Che v’è fra me e te?») indica solo che l’intervento divino avverrà al tempo stabilito. Egli voleva enfatizzare che da quel momento in poi avrebbe avuto una relazione differente con Maria: ora è primo il Suo ruolo di Figlio dell’Uomo inviato dal Padre. L’uso di «donna» parla di rispetto ma anche di nuova dimensione teologica: Yeshua si riferisce a Sé stesso non più come «Figlio di Maria» ma come Colui che introduce la realtà del Regno di Dio sulla Terra.

Maria intanto manifesta forte fede cristiana: sapendo della vocazione messianica del Figlio, lei accoglie la risposta di Yeshua senza insistere e incoraggia i servi a obbedirGli. Maria non dà nessun comando a Yeshua, ma ai servi! Come sottolinea Guzik, le parole di Maria «glorificano costantemente Yeshua, non Maria stessa». Ella non pretende miracoli per autorità propria, ma si fida di Yeshua; ordina: «fate quello che vi dirà» proprio perché riconosce che solo Lui ha la verità e il potere di operare quel segno. Anche i servi diventano "discepoli” temporanei: il loro atto di fede nell’obbedire al Maestro permette il compimento del segno.

In questo passo emergono quindi due verità:

  1. Yeshua è pienamente sovrano. Egli compie il miracolo non per sottomissione a Maria, ma a modo Suo, per le Sue ragioni e nel momento che ritiene opportuno. Tutta l’opera di Yeshua riflette l’azione e la volontà del Padre celeste, non della madre terrena.
  2. Maria è credente e serva. Essa figura come colei che porta il bisogno umano a Yeshua, non come mediatrice dotata di potere proprio. Maria non impone nulla al figlio; piuttosto invita alla fede («fate come dice Yeshua»). La Bibbia la presenta come esempio di obbedienza (Giuseppe la ebbe in mente quando ubbidì all’angelo) e di umiltà. In nessun modo il racconto giovanneo attribuisce alla madre di Yeshua una fonte sovrannaturale di potere di intercessione.

Al contrario, la risposta finale – il miracolo – è senza alcuna costrizione, nella piena obbedienza alla volontà del Padre.


Apologetica

Dal punto di vista apologetico, le Nozze di Cana possono confutare pacatamente l’interpretazione tradizionale che attribuisce a Maria un ruolo di mediatrice superiore. Il dato evangelico è chiaro: c’è un solo Mediatore tra Dio e gli uomini, il Messia Yeshua. Come afferma Paolo,

c’è un solo Dio ed anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, il Messia Yeshua uomo (1 Tim. 2,5-6)

Non esiste alcun testo biblico che conferisca a Maria un’autonoma facoltà di mediazione. Nel brano di Cana, Maria non "obbliga" Yeshua a fare il miracolo, ma presenta semplicemente un bisogno umano: «Manca il vino!» senza dire altro. Yeshua stesso ricorda che tutto avviene secondo il tempo prestabilito dal Padre. Se Yeshua avesse compiuto o meno il segno, la decisione era Sua: essa non dipendeva da Maria, ma da Dio stesso.

In modo analogo, l’efficacia di ogni intercessione dipende dalla volontà di Dio, non da un presunto potere di chi intercede. Come spiega Giovanni:

Questa è la fiducia che abbiamo in Lui: se domandiamo qualcosa secondo la Sua volontà, Egli ci esaudisce (1 Giov. 5,14-15)

Non si tratta di un dovere imposto dalla preghiera di Maria, ma di un atto di grazia divina. La risposta di Yeshua al problema del vino non è affatto un “sì” dovuto, ma un segno della Sua benevolenza sovrana. In altre parole, Dio Padre risponde sempre all’intercessione nella misura e nel tempo che Lui stabilisce, non perché ne sia obbligato da forze esterne.


Conclusione

In conclusione, alla luce della lettura di Giovanni si esalta la centralità e la sovranità del Messia nel compiere miracoli, mentre Maria agisce come credente e fedele servitrice, non come intermediatrice dotata di poteri indipendenti. L’episodio del primo miracolo conferma che il Signore dispensa la Sua grazia quando e come il Padre decide, e invita i credenti a rivolgersi direttamente a Lui. Le parole di Yeshua e di Maria («fate tutto quello che vi dirà») sottolineano che solo il Messia è al centro della salvezza. Questa analisi risponde con fermezza ma rispetto alle teorie mariane: qualunque preghiera è ascoltata «secondo la volontà» di Dio, e ogni potere di mediazione appartiene unicamente al Messia Yeshua.

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