Introduzione
Il battesimo in acqua è uno degli atti fondamentali della fede cristiana, al punto che nelle Scritture Apostoliche esso ricorre oltre un centinaio di volte, spesso legato alla fondazione stessa delle prime comunità dei santi. La sua importanza deriva dal fatto che fu istituito direttamente da Yeshua e praticato fedelmente dagli apostoli come parte integrante del discepolato cristiano. Ma quali sono i requisiti biblici affinché un battesimo sia considerato valido? Da una prospettiva biblica, esamineremo se la sola fede in Yeshua — magari priva di una comprensione della Trinità o della divinità del Figlio — sia sufficiente a rendere valido il battesimo, oppure se esistono dottrine essenziali che devono essere riconosciute. Saranno approfonditi inoltre il significato simbolico del battesimo (come l’immersione in acqua viva e la formula battesimale nel nome della Trinità o di Yeshua) e la centralità del ravvedimento e della fede personale. Infine, affronteremo il tema del ribattesimo, in particolare se battesimi impartiti a neonati o in modi non conformi alla prassi apostolica debbano considerarsi invalidi, e se sia biblicamente corretto ribattezzare chi ha ricevuto un battesimo non conforme.
Fondamenti biblici del battesimo cristiano
Nelle Scritture Apostoliche il battesimo in acqua appare come diretta conseguenza della conversione al Messia. Yeshua stesso comandò:
Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt. 28,19)
collegando il battesimo all’adempimento della missione evangelistica. Insieme all’ordine di predicare l’Evangelo «a ogni creatura» sensiente (Mc. 16,15-16), il Signore diede istruzioni precise e insostituibili su come e quando praticarlo. Gli apostoli compresero questo rito come testimonianza esteriore del rinnovamento interiore operato da Dio mediante la fede. Infatti Pietro insegna che il battesimo è “figura” della salvezza, non un semplice lavaggio del corpo, ma «l’impegno di una buona coscienza verso Dio» (1 Pt. 3,21) — un atto pubblico che attesta la fede e la rigenerazione già avvenuta nel credente. Non a caso, nel libro degli Atti, a ogni occasione di conversione autentica segue immediatamente il battesimo: predicazione → ravvedimento → fede → battesimo è la sequenza del piano di Dio resa evidente fin dal giorno di Pentecoste. In circostanze particolari, chi accoglieva il messaggio veniva battezzato senza indugio, come vediamo nei casi di Gerusalemme (At. 2,38-41), della Samaria evangelizzata da Filippo, dell’eunuco etiope, della casa di Cornelio e del carceriere di Filippi.
Gli credenti fondati sulla Bibbia considerano dunque il battesimo un atto di ubbidienza imprescindibile per ogni discepolo. Gli apostoli ordinarono il battesimo a tutti i credenti, e nelle Scritture Apostoliche non troviamo traccia di credenti che rimasero non battezzati. Anzi, se qualcuno affermava di credere in Yeshua ma rifiutava il battesimo, ciò gettava seria ombra sulla genuinità della sua fede. Il battesimo era obbligatorio in quanto atto simbolico e pubblico che sancisce l’appartenenza al Messia e alla Sua Kehillah. In altre parole, secondo il modello biblico non esiste discepolato autentico che non includa il battesimo. Ciò non perché il rito in sé conferisca grazia salvifica (la salvezza avviene per grazia mediante la fede, indipendentemente da opere o cerimonie), ma perché chi è salvato per fede desidera naturalmente «rivestirsi del Messia» (Gal. 3,27) attraverso il battesimo, proclamando così la realtà della propria conversione.
In sintesi, le Scritture Apostoliche presentano il battesimo in acqua come parte integrante del percorso di fede del credente, istituito dal Signore e praticato dagli apostoli come segno visibile dell’ingresso nella comunità cristiana.
Fede e pentimento: condizioni necessarie prima del battesimo
Un principio cardine è che il battesimo deve seguire la fede, mai precederla. Yeshua disse:
Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato (Mc. 16,16)
indicando che il credere viene logicamente prima dell’essere battezzati. Ogni esempio di battesimo nel libro degli Atti lo conferma:
- Pietro a Pentecoste esorta la folla a ravvedersi e a farsi battezzare (At. 2,38);
- Filippo battezza l’eunuco solo dopo che questi professa di credere con tutto il cuore che Yeshua è il Figlio di Dio (At. 8,36-38);
- Paolo battezza il carceriere di Filippi e la sua famiglia dopo che credettero nel Signore (At. 16,31-33).
Fede personale e pentimento sincero sono dunque i prerequisiti biblici essenziali perché il battesimo abbia senso. L’ordine degli eventi stabilito da Dio è chiaro: prima la predicazione del Vangelo, poi il ravvedimento e la fede, e infine il battesimo come suggello visibile della nuova fede.
Di conseguenza, solo chi ha creduto personalmente nel Messia può essere battezzato. le Scritture Apostoliche insegnano che il cristianesimo autentico è una fede personale, non qualcosa che si possa ricevere per procura o trasmettere per nascita come per il sacerdozio levitico. Nessuno può “garantire” la fede altrui davanti a Dio: ogni individuo deve rispondere personalmente al Vangelo. Se dunque togliamo dal battesimo il presupposto della fede e della conversione di chi viene battezzato, crolla ogni significato di questo simbolo e si scivola in una concezione puramente ritualistica o “sacramentalista” del battesimo. In altre parole, un battesimo amministrato a chi non possiede una fede viva si riduce a un atto esteriore vuoto. La Scrittura insiste che la salvezza e il perdono si ottengono mediante la fede in Yeshua, non attraverso atti cerimoniali (Ef. 2,8-9; At. 16,31; Rom. 10,9-10). Il battesimo quindi non rigenera né giustifica di per sé, ma annunzia che la nuova nascita è già avvenuta in colui che crede. È la fede — con il ravvedimento che l’accompagna — a purificare il cuore (At. 15,9) e a salvare l’anima, mentre il battesimo attesta esteriormente questa purificazione interna ricevuta per grazia.
In luce di ciò, è evidente perché le chiese fondate sulla Scrittura rifiutano la validità del battesimo dei neonati. Un neonato non è in grado di pentirsi né di credere; non possiede quella «buona coscienza» davanti a Dio di cui parla Pietro (1 Pt. 3,21). Battezzare un infante, che non può ancora comprendere né accogliere il Vangelo, significa contraddire il modello biblico in cui «credettero uomini e donne e furono battezzati» (cfr. At. 8,12). Non sorprende dunque che nelle Scritture non si trovi mai un battesimo di neonati — pratica introdotta soltanto secoli più tardi — bensì solo di persone in età da comprendere, «uomini e donne» che hanno udito e accolto il messaggio. Gli apostoli battezzavano soltanto persone credenti e consapevoli, proprio per non stravolgere il significato dell’atto. È evidente che il battesimo dei neonati non può in alcun modo esprimere la bellezza di tutte queste realtà spirituali, ragion per cui la chiesa apostolica praticava l’immersione degli adulti che avevano in piena coscienza accettato, per fede, la salvezza. Fuori da questo contesto di fede personale, il battesimo perde la sua ragion d’essere.
Dottrina del Messia: Trinità e divinità di Yeahua come elementi essenziali
Che dire, però, della qualità della fede richiesta? È sufficiente una generica fede in “Gesù”, magari accompagnata da idee errate su di Lui, oppure le Scritture Apostoliche richiedono una fede dottrinalmente fondata sul vero Messia e sul vero Dio? Da una prospettiva biblica, è fondamentale che la fede del battezzando sia riposta nel Messia biblico, il Figlio di Dio incarnato, e nel Dio uno e trino rivelato dalle Scritture. In altre parole, credere in Yeshua implica riconoscere chi Egli è veramente (aspetto cristologico). La Bibbia attesta chiaramente la piena deità di Yeshua (Giov. 1,1.14; 20,28; Col. 2,9) e la distinzione composita delle tre Persone divine nel battesimo comandato da Yeshua (Mt. 28,19). Negare queste verità centrali equivale a credere in un “altro Yeshua” (2 Cor. 11,4) e snaturare la fede cristiana stessa.
Dal punto di vista biblico, Dio è Trinità — Padre, Figlio e Spirito Santo sono eternamente uniti nella natura divina — e il Messia Yeshua è l'intera Deità fatto uomo. Queste verità non sono opzionali: l’apostolo Giovanni afferma che «chiunque nega il Figlio, non ha neppure il Padre» (1 Giov. 2,23) e che riconoscere Yeshua come il Messia, il Figlio di Dio è ciò che dà la vita (Giov. 20,31). Conseguentemente, una “fede” che rifiuti la divinità del Messia o la natura trinitaria di Dio non è la fede salvifica biblica, bensì una caricatura di essa. Il rigetto della Trinità compromette l’autenticità stessa della fede in Yeshua: chi nega il Padre, il Figlio e lo Spirito come un’unica realtà divina mina alla base il Vangelo, rendendo il battesimo un gesto privo di reale significato. Allo stesso modo, rigettare la vera identità di Yeshua — non riconoscerlo come Signore e Dio — significa inficiare il valore del proprio battesimo: se c’è un rifiuto della Trinità o anche della sola deità di Yeshua, il battesimo nel Suo nome si trasforma in una cerimonia vuota e priva di significato spirituale.
In pratica, la validità spirituale del battesimo è strettamente legata alla coerenza tra la fede professata e il rito celebrato. Un battesimo amministrato da e a credenti che abbracciano la dottrina trinitaria e confessano Yeshua come vero Dio e vero uomo è certamente valido agli occhi di Dio — indipendentemente dal fatto che si usi esplicitamente la formula trinitaria completa o la sola frase «nel nome di Yeshua», come vedremo più avanti. Viceversa, battezzarsi senza credere nella Trinità o nella divinità di Yeshua significa svuotare il battesimo del suo contenuto essenziale. Si tratta di un puro rito esteriore non accompagnato dalla fede autentica nel Dio della Bibbia, e perciò incapace di produrre alcun effetto spirituale (diventerebbe solo “un’aspersione d’acqua” senza il potere trasformativo della fede reale). In definitiva, la fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, insieme al riconoscimento della divinità del Figlio, è ciò che conferisce al battesimo la sua autentica validità spirituale.
Un caso concreto può illustrare questo principio: i Testimoni di Geova, che non credono nella Trinità né nella piena divinità di Yeshua, praticano il battesimo per immersione tra di loro. Ebbene, quando uno di essi abbandona quel movimento e abbraccia la fede biblica, viene regolarmente ribattezzato, perché riconosce l’invalidità del suo precedente battesimo. Per quanto quel rito fosse esternamente simile (acqua e formula nominale), mancavano le condizioni di una fede genuinamente cristiana; era privo di quella doppia consapevolezza — Yeshua è il Signore Dio, e Dio è Padre, Figlio, Spirito — che rende il battesimo un atto di ubbidienza con significato spirituale. In sostanza, la sola fede è sufficiente a giustificare e salvare, ma affinché il battesimo sia valido tale fede deve avere un oggetto corretto: deve essere fede nel vero Yeshua (il Figlio incarnato) e nel vero Dio triuno. Fede ridotta ai minimi termini o deviata dottrinalmente produce solo un “battesimo” non riconosciuto dalla Scrittura come battesimo cristiano.
Simbolismo e modalità del battesimo: immersione in acqua viva e formula battesimale
Il battesimo è un rito profondamente simbolico, il cui significato è comunicato sia tramite l’elemento usato (acqua) sia tramite la modalità (immersione completa). Nella visione biblica, l’acqua simboleggia la purificazione e la vita nuova donata da Dio, mentre l’immersione rappresenta in modo visibile la morte e risurrezione con il Messia. L’apostolo Paolo descrive magistralmente questa realtà spirituale:
O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati nel Messia Yeshua, siamo stati battezzati nella Sua morte? Siamo dunque stati sepolti con Lui mediante il battesimo nella Sua morte, affinché, come il Messia è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita (Rom. 6,3-4)
Scendere nell’acqua equivale a seppellire il “vecchio uomo” (la vita dominata dal peccato), mentre risalire dall’acqua raffigura la risurrezione a una vita nuova nel Messia. Il credente dichiara così di essere morto al peccato e risorto a nuova vita con Yeshua. Questo atto è anche una pubblica confessione di fedeltà: chi si battezza testimonia la propria fede in Yeshua come Agnello di Dio che toglie il peccato e il proprio impegno a seguirlo come Signore. In breve, il battesimo è una predicazione visibile: predica che, grazie alla fede, le esperienze di Yeshua (morte, sepoltura e risurrezione) sono divenute realtà nella vita del credente.
Data la ricchezza di questo simbolismo, risulta evidente perché la forma battesimale nell’epoca apostolica fosse l’immersione totale in acqua. Il termine greco baptizo significa proprio immergere, intingere, sommergere. Tutte le indicazioni che abbiamo nella Scrittura puntano in questa direzione: Yeshua stesso, dopo il proprio battesimo nel fiume Giordano, «uscì fuori dall’acqua» (Mc. 1,10); l’eunuco, battezzato da Filippo, «scese nell’acqua» e poi «salì dall’acqua» (At. 8,38-39), immagini che presuppongono un’abluzione completa; Giovanni Battista scelse di battezzare in un luogo dove «c’era molta acqua» (Giov. 3,23) — condizione necessaria per l’immersione. L’immersione non è dunque un dettaglio secondario, ma parte integrante del segno: ogni metodo alternativo (come l’aspersione sulla testa o l’infusione con poca acqua) snatura o svuota il simbolo del suo significato più pieno. Solo l’immersione infatti raffigura adeguatamente una sepoltura e una risurrezione. Non sorprende che gli apostoli praticavano come unico principio l’immersione dei credenti consapevoli. Le chiese bibliche, rifacendosi a questo modello, usano dunque esclusivamente il battesimo per immersione totale.
Battesimo per immersione in acqua corrente – una rappresentazione visibile della morte e risurrezione con Yeshua, secondo il modello neotestamentario. L’immersione in acqua “viva” (corrente), quando possibile, simboleggia in modo suggestivo la purificazione e la vita nuova che scorre dallo Spirito di Dio.
Un elemento tradizionalmente valorizzato è l’uso di acqua corrente (acqua “viva”) invece che stagnante. Già nel I secolo il Didaché (uno scritto cristiano molto antico) raccomandava:
Battezza in acqua viva (corrente). E se non hai acqua viva, battezza in altra acqua.
Questa preferenza rifletteva l’idea che l’acqua di sorgente o di fiume, sempre fresca e rinnovata, fosse un simbolo più eloquente della vita divina rispetto ad acqua ferma. Dal punto di vista strettamente biblico, tuttavia, non esiste un comandamento esplicito che imponga l’acqua corrente per il battesimo. La sostanza dell’ordinanza è l’acqua in quanto tale (simbolo di lavacro spirituale), unita alla fede e al ravvedimento di chi la riceve. Yeshua parlò di «acqua viva» riferendosi allo Spirito Santo che rigenera il credente (Giov. 7,37-39), e certamente l’immagine del fiume d’acqua viva può arricchire la comprensione del battesimo. Ma in mancanza di un fiume o di una fonte, qualsiasi acqua è adeguata: ciò che conta è che vi sia una quantità sufficiente per immergere la persona, seguendo l’esempio neotestamentario di un battesimo totale (Giov. 3,23). In sintesi, l’acqua viva non è un requisito biblico imprescindibile, ma un dettaglio simbolico e pratico: laddove possibile si utilizza con gioia un corso d’acqua naturale, altrimenti il battesimo in altra acqua rimane pienamente valido.
Battezzare nel nome di Chi?
Un’altra questione dibattuta è la formula verbale da usare nell’amministrare il battesimo. Come già accennato, la formula trinitaria (nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo) è attestata solo in Mt. 28,19, nelle parole stesse del Signore Yeshua. Tuttavia, nel libro degli Atti troviamo quattro volte l’espressione che i credenti venivano battezzati «nel nome del Messia Yeshua» (At. 2,38; 8,16; 10,48; 19,5). Alcuni gruppi hanno interpretato questi versetti degli Atti come indicazione che la Kehillah primitiva usasse solo la formula «nel nome di Yeshua», sostenendo quindi che il vero battesimo cristiano debba essere amministrato esclusivamente in questo nome e non menzionando la Trinità. La stragrande maggioranza delle chiese evangeliche respinge però questa lettura rigida, vedendo armonia e non contraddizione tra i due tipi di espressione biblica. In effetti, entrambe le formule sono presenti nelle Scritture Apostoliche e non si escludono a vicenda. La presenza di un solo battesimo, due formule suggerisce semmai che esse siano intercambiabili nella sostanza.
Essere battezzati nel nome di una sola Persona della Divinità equivale a essere battezzati nel nome di tutte e tre, poiché il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono inseparabilmente uno. D’altra parte, bisogna considerare il contesto dei destinatari di quei comandi: Yeshua inviava i discepoli a tutte le genti (popoli pagani) che dovevano essere istruite fin dalle basi su Chi è Dio, inclusa la Sua natura trina. Pietro invece, a Pentecoste, parlava a Giudei monoteisti che già onoravano il Padre e riconoscevano lo Spirito di Dio; a loro mancava di accettare soltanto Yeshua, il Figlio, che avevano rifiutato e crocifisso. Perciò ordina il battesimo solo «nel nome del Messia Yeshua», cioè di riconoscere finalmente il Figlio e sottomettersi alla Sua signoria. In questo modo, quell’ordine non intendeva proporre una formula alternativa, ma sottolineare la necessità, per quegli ascoltatori specifici, di centrare la fede su Yeshua. L’enfasi di Pietro sul nome di Yeshua è perfettamente comprensibile in quel contesto — dove il punto critico era accettare il Messia Yeshua — mentre il mandato di Yeshua in Matteo 28 fornisce la formula generale da usare nel fare discepoli di tutte le nazioni.
Motivazione funzionale della doppia formula: il contesto chiarifica tutto. L'esegesi aiuta a chiarire ogni dubbio.
FORMULA TRINITARIA
Poiché i gentili non avevano alcuna conoscenza pregressa del Dio d'Israele, né del Padre, né del Figlio, né dello Spirito Santo, al momento del battesimo era necessario che proclamassero pubblicamente la loro fede nell’intera economia divina, confessando il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In tal modo, essi dichiaravano la loro adesione totale alla rivelazione trinitaria del Dio unico d'Israele.
FORMULA SOLO IN YESHUA
Per quanto riguarda i Giudei, la situazione era diversa. Essi possedevano già una conoscenza di Dio come Padre e della Ruach Elohim (Spirito di Dio), trasmessa loro dalle Scritture e dalla tradizione profetica. Tuttavia, per ricevere la piena rivelazione e accedere alla salvezza, era necessario riconoscere l’elemento che ancora mancava: Yeshua, il Messia. Per questo motivo, nei confronti di un pubblico giudaico, l’enfasi degli apostoli cadeva sulla confessione del nome di Yeshua soltanto al momento del battesimo, poiché era proprio quel riconoscimento a completare la loro fede.
TESTO E CONTESTO
Alla luce di questa distinzione, ogni tentativo di sminuire la formula trinitaria di Mt. 28,19 — sostenendo che si tratti di un’aggiunta tardiva a fini liturgici o che i manoscritti neotestamentari più antichi non la riporterebbero — risulta logicamente inconsistente e teologicamente miope. Al contrario, se mai si volesse ipotizzare una manipolazione testuale, sarebbe più plausibile ritenere che eventuali omissioni siano il frutto di un tentativo di cancellazione, non di interpolazione.
La presenza di due diverse formule battesimali non costituisce una contraddizione né un indizio di sincretismo con dottrine pagane, come alcuni vorrebbero insinuare. Al contrario, essa riflette una sapiente distinzione pastorale e missionaria: ai gentili, totalmente estranei al Dio trino di Israele, Yeshua ordina una confessione piena nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, affinché riconoscano tutta l’economia della salvezza; ai Giudei, che già conoscevano YHWH e lo Spirito di Dio, era richiesto di riconoscere ciò che ancora mancava alla loro fede: il Messia promesso, Yeshua.
Questa distinzione è sufficiente a dissipare ogni confusione speculativa e a confermare la coerenza interna delle Scritture. Non siamo di fronte a una forzatura teologica posteriore, ma a una dimostrazione della sapienza divina che, attraverso la guida dello Spirito, ha adattato il messaggio eterno a uditori differenti senza mai comprometterne la verità.
In sintesi, la formula trinitaria rimane la formulazione standard del battesimo cristiano, quella che esprime pienamente la fede nel Dio uno e trino. Pronunciare i tre nomi divini nell’atto di battezzare sottolinea che il convertito abbraccia la comunione con tutto Dio – Padre, Figlio e Spirito – e riconosce la natura divina del Figlio e dello Spirito tanto quanto quella del Padre. D’altro canto, la formula «nel nome di Yeshua» è biblicamente valida se compresa correttamente: di fatto, battezzare nel nome del Messia Yeshua significa battezzare nell’autorità del Messia stesso, nel riconoscimento della Sua persona e opera. Usare questa espressione non nega affatto il Padre o lo Spirito, se chi la pronuncia e chi la riceve credono già nella Trinità. Per questo, alcuni teologi concludono che entrambe le formule possono considerarsi scritturali e lecite, a patto di mantenere la coerenza dottrinale sottostante. In una comunità autenticamente trinitaria, un battesimo nel nome di Yeshua non è altro che un battesimo nel nome del Dio Trino, dato che «in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità» (Col. 2,9).
Viceversa, un battesimo compiuto anche con la formula trinitaria ma senza fede reale nel Messia o con idee eretiche su di Lui resta un gesto inefficace. Come già detto, non sono le parole pronunciate a conferire grazia, ma la fede e la comprensione di chi vi partecipa. Pertanto, la vera Kehillah (proveniente dal mondo gentile) battezza abitualmente «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», secondo il comando diretto di Yeshua, riconoscendo in questo la pienezza della rivelazione divina. Nel contempo, essa afferma l’importanza di «invocare il nome di Yeshua» (At. 22,16) sul battezzando, poiché è in virtù della morte e risurrezione del Messia che il battesimo ha significato. In ogni caso, la centralità di Yeshua nel battesimo rimane assoluta: è nella morte e risurrezione di Yeshua che il credente è immerso spiritualmente, ed è nel nome di Yeshua — unico Salvatore — che egli dichiara di trovare salvezza. Formula trinitaria e formula nominale in Yeshua, dunque, non si oppongono ma convergono nel testimoniare la stessa realtà, quando sono correttamente intese.
Ribattesimo: validità dei battesimi non conformi e necessità di un nuovo battesimo
Dalle considerazioni sopra esposte non deriva naturalmente il tema del ribattesimo. Se il battesimo è valido solo quando rispetta i requisiti biblici (fede personale, retta dottrina, immersione, riconoscimento della cristologia, ecc.), cosa si deve fare nei casi in cui una persona abbia ricevuto un “battesimo” privo di tali requisiti? La prospettiva evangelica, basandosi sulla Scrittura, risponde che in tali casi è opportuno e giusto (per non dire doveroso) battezzare nuovamente la persona, questa volta in modo conforme all’insegnamento apostolico. Ciò non viene visto come ripetere un sacramento (concetto estraneo alla mentalità biblica), ma piuttosto come compiere per la prima volta un vero battesimo biblico, laddove il rito precedente non ne aveva la sostanza.
Così come è possibile predicare e praticare la dottrina in modo distorto e quindi invalidante, è possibile predicare e praticare il battesimo in modo altrettanto non conforme.
Il caso più comune è quello già accennato più sopra: individui battezzati da neonati nelle chiese storiche. Dal punto di vista biblico, quel rito non è mai stato un battesimo neotestamentario, perché mancavano gli elementi essenziali: il neonato non aveva né fede né qualcosa di cui pentirsi, non c’era stata predicazione compresa da parte sua né decisione personale per il Messia. Di conseguenza, quando tali persone arrivano ad abbracciare consapevolmente la fede in Yeshua (in età adolescenziale e adulta), si procede a battezzarli (ora sì) sulla base della loro professione di fede consapevole. Questo non è considerato un “annullamento” di qualcosa di valido, ma piuttosto l’attuazione ex novo del comando di Yeshua: «Ravvediti e sii battezzato». Come si è visto, la Kehillah non battezzava lattanti, e orientarsi diversamente significherebbe uscire dai princìpi della Kehillah neotestamentaria. Pertanto, non vi sono remore dottrinali nel ribattezzare chi ha ricevuto solo il pedobattesimo infantile: anzi, si ritiene un atto necessario di ubbidienza alla Parola di Dio.
Un altro caso riguarda persone provenienti da gruppi eterodossi o settari: per esempio, ex Testimoni di Geova, ex Mormoni, ex Branahamiti oppure individui battezzati in contesti che negavano la Trinità o altri elementi essenziali della cristologia. Abbiamo già citato l’esempio degli ex-Testimoni di Geova, i quali quando scelgono di passare alla fede cristiana evangelica riconoscono l’invalidità del loro precedente battesimo e si sottopongono volentieri a un nuovo battesimo autenticamente cristiano. Analogamente, persone che fossero state battezzate solo “nel nome di Yeshua” ma in comunità antitrinitarie (come alcuni gruppi che negano la Trinità pur chiamandosi cristiani) vengono normalmente ribattezzate in ambito evangelico trinitario, poiché si considera che il primo rito fosse carente dal punto di vista dottrinale. La base scritturale per questo si può intravedere nell’episodio di At. 19,1-7: Paolo a Efeso incontrò alcuni discepoli che erano stati battezzati solo «del battesimo di Giovanni» (un battesimo di solo pentimento in attesa del Messia), e non appena essi compresero e credettero pienamente in Yeshua, l’apostolo li battezzò nel nome del Signore Yeshua (At. 19,5). Ciò indica che un battesimo precedente, privo della piena comprensione messianica, fu considerato inadeguato e fu amministrato loro il battesimo cristiano vero e proprio. Allo stesso modo, la vera Kehillah riconosce la necessità di un nuovo battesimo quando il precedente è stato svolto fuori norma rispetto al modello biblico — sia per difetto di fede personale, sia per assenza di una retta comprensione di Dio e del Vangelo, sia per forma errata.
Diversa è la situazione di credenti che siano già stati battezzati in maniera conforme alla Scrittura (cioè da adulti, dopo aver creduto, nel nome del Padre, Figlio e Spirito Santo, per immersione) ma magari in un’altra denominazione o molti anni prima. In tal caso, il principio evangelico è che non vi è bisogno di ripetere il battesimo, poiché davanti a Dio vi è «un solo battesimo» (Ef. 4,5) così come c’è un solo Signore e una sola fede. Se quel battesimo originario era sinceramente ricevuto nella fede e secondo le modalità pratiche e cristologiche bibliche, esso resta valido per sempre: non si “ri-battezza” qualcuno perché cambia congregazione o perché è caduto in peccato e poi tornato al Signore, ad esempio. Il ribattesimo viene praticato solo quando emerge che il primo “battesimo” non soddisfaceva tutti i criteri biblici necessari. Va detto che alcune comunità evangeliche ammettono eccezionalmente un ribattesimo anche di credenti già battezzati, in particolari circostanze di rinascita spirituale; ma queste sono situazioni minoritarie e dibattute. La posizione evangelica classica rimane quella di non moltiplicare indebitamente i battesimi, attenendosi al fatto che chi è stato davvero battezzato (nel Messia, per fede) non ha bisogno di esserlo di nuovo.
Ribattesimo come "riconsacrazione"?
Alcune correnti del cristianesimo evangelico, spesso orientate verso una fede incentrata sul sensazionalismo e sull’esperienza mistica, promuovono la pratica del ribattesimo come gesto di "riconsacrazione spirituale". Un esempio diffuso è quello di credenti già battezzati in modo biblicamente valido che, in visita in Israele, sentono il desiderio di immergersi nuovamente nelle acque del fiume Giordano, ritenendole più sacre in quanto le stesse in cui Yeshua fu battezzato.
Tuttavia, questa prassi è frutto di un approccio mistico che travisa il significato biblico del battesimo, il quale, secondo le Scritture, è un atto unico e irripetibile. Non esiste un’acqua più consacrata di un’altra o un battesimo appositamente prescritto per "riconsacrare" un credente: che si tratti del Giordano, del Po, del Danubio o del Nilo, ogni corso d’acqua è ugualmente valido agli occhi di Dio.
Attribuire poteri spirituali a una determinata acqua equivale a scivolare nel folklore, nella superstizione e nel sentimentalismo religioso, allontanandosi dalla semplicità e dalla potenza del Vangelo.
Riassumendo, vengono considerati non validi o quanto meno non compiutamente biblici i battesimi effettuati:
- senza fede cosciente del battezzando (come nel caso infantile);
- senza la retta comprensione di Dio e della cristologia (come nel caso di gruppi anti-trinitari o con dottrine gravemente errate);
- senza immersione, cioè in forma alterata che vanifica il simbolismo neotestamentario.
In questi casi un ribattesimo — o meglio, un battesimo autentico amministrato dopo la conversione e secondo la verità biblica — è ritenuto giustificato e doveroso. Al contrario, un battesimo già ricevuto in età di fede e con forma e sostanza ortodosse non va ripetuto. La fedeltà al modello apostolico richiede di conservare l’unità di un solo battesimo per chi è nel Messia, ma anche di assicurarsi che ciascuno abbia realmente ricevuto il battesimo dei credenti insegnato dalla Scrittura.
Conclusione
Alla luce di questa analisi biblica, possiamo delineare una risposta chiara: il battesimo cristiano, per essere valido secondo le Scritture, richiede la presenza sia di una fede autentica sia di una corretta comprensione delle verità fondamentali del Vangelo. La sola fede in Yeshua è certamente la condizione sufficiente per essere salvati, ma perché un battesimo abbia significato e valore spirituale deve trattarsi di fede nel vero Yeshua, il Figlio di Dio, e deve includere un’accettazione (anche se inizialmente elementare) del Dio trino rivelato nelle Scritture. La prospettiva evangelica moderna — in armonia con la fede evangelica storica — insiste che non si possa scindere il Messia dalla Sua identità divina e trinitaria: battezzarsi e rigettare la Trinità e la deità di Yeshua equivale a svuotare il battesimo del suo significato.
Inoltre, il battesimo biblico è quello successivo al ravvedimento personale, come atto volontario di ubbidienza e testimonianza. Ogni surrogato privo di questa base (per esempio il battesimo dei bambini inconsapevoli) distorce il piano di Dio e non esprime affatto ciò che il battesimo simboleggia veramente. Sul piano formale, la modalità corretta — l’immersione in acqua — esprime in modo completo la realtà della morte e risurrezione con Yeshua; altre modalità introdotte più tardi non trovano supporto nelle Scritture e tendono a svuotare di forza il segno. Quanto alla formula invocata, il vero credente nella Parola di Dio segue con fedeltà il mandato di Yeshua utilizzando il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, riconoscendo tuttavia che tale formula comprende in sé il nome di Yeshua che è al di sopra di ogni nome — unico mediatore della salvezza. Non c’è contraddizione fra le due espressioni bibliche quando c’è unità di dottrina: si tratta di battezzare con fede nel Dio trino, su autorità del Signore Yeshua.
Infine, riguardo ai vari tipi di battesimo oggi esistenti, possiamo concludere che: il battesimo dei credenti (persona che volontariamente confessa il Messia) è l’unico che rispecchi appieno il modello neotestamentario; il battesimo infantile non ha fondamento biblico e viene perciò ritenuto invalido dal punto di vista evangelico, necessitando di un successivo battesimo in età di fede; i battesimi amministrati in contesti teologicamente devianti (negatori della Trinità o della divinità di Yeshua) mancano degli elementi essenziali, risultando mere cerimonie vuote; non è sufficiente essere "sinceri" quando ci si battezza, perché occorre che tale sincerità dettata e ispirata dalla verità biblica.
Dio conosce il mio cuore
La frase "Dio conosce il mio cuore" viene spesso usata come scudo, come giustificazione comoda da parte di chi, pur agendo in modo impreciso o trascurato nei confronti delle prescrizioni bibliche, vuole comunque sentirsi approvato. Ma attenzione: è proprio perché Dio conosce il cuore che il problema si fa ancora più serio!
Sì, Dio conosce il cuore di ogni uomo: esso è «inguaribilmente maligno» e, oltretutto, «chi potrà conoscerlo» davvero se non Dio solo? (Ger. 17,9). Questa conoscenza non è approvazione. Dio non si lascia ingannare dalle nostre buone intenzioni mal indirizzate, e a differenza nostra non confonde la sincerità con la verità. La Scrittura non ci invita a presentarci davanti a Dio con una fede “sincera” ma errata, bensì con una fede “vera” perché conforme alla Sua Parola.
Anche gli idolatri sono sinceri. Anche chi si inginocchia davanti alla statua di un santo, di una Madonna o di un Cristo, con lacrime agli occhi, lo fa davvero con tutto il cuore. Ma questo non rende giusto il loro atto. La sincerità non trasforma l’errore in verità. Davanti a Dio non basta essere sinceri: bisogna essere allineati alla Sua volontà, rivelata nella Scrittura.
Dio scruta le profondità del cuore — e proprio per questo sa riconoscere quando il cuore ha costruito una fede su misura, più comoda che vera, più emozionale che biblica. La sincerità, se disgiunta dalla verità, non è una virtù: è un’illusione.
Non basta dire “Dio conosce il mio cuore”; dobbiamo chiederci: se è vero che Dio conosce il mio cuore, il mio cuore conosce veramente Dio, così come Egli si è rivelato?
I battesimi per aspersione o senza immersione tradiscono il simbolismo originario e sono considerati irregolari. In tutti questi casi, è biblicamente corretto procedere a un vero battesimo cristiano una volta che la persona giunge alla fede nella verità. Non si tratta di una mancanza di rispetto verso le esperienze religiose pregresse, ma di una sottomissione alla Parola di Dio, anteponendo il comando del Messia Yeshua e l’esempio apostolico ad ogni tradizione umana. Così facendo, il credente può finalmente dire di aver obbedito al Signore nel modo da Lui prescritto, e la kehillah locale può accoglierlo sapendo che «un medesimo Spirito» lo ha rigenerato e «un solo battesimo» lo ha unito visibilmente al Corpo di Yeshua (Ef. 4,4-5).
In definitiva, attenendosi rigorosamente alla Bibbia (sola Scriptura), la vera Kehillah preserva la pienezza del significato del battesimo: non un rito magico o etnico, ma un’espressione di fede personale nel Redentore divino, unita a una solenne dichiarazione di impegno al Dio vivente: Padre, Figlio e Spirito Santo. Un tale battesimo, celebrato «in spirito e verità», sarà sempre una potente testimonianza e una fonte di benedizione reale nella vita del credente e della comunità intera.