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Scuotere la polvere dai piedi

Princìpi biblici sul cessare il dibattito con gli ostinati
3 luglio 2025 di
Scuotere la polvere dai piedi
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
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Introduzione

In un’epoca segnata da confronti incessanti, da dibattiti continui e spesso sterili, anche la proclamazione del Vangelo rischia di smarrirsi in un vortice di risposte forzate e insistenze improduttive. Eppure, la Scrittura non ci lascia privi di direttive: Yeshua stesso stabilisce un criterio chiaro per riconoscere quando è il momento di fermarsi. Il comando di «scuotere la polvere dai piedi» non è una concessione all’orgoglio o alla resa, ma un atto di obbedienza spirituale e discernimento evangelico.

Questo articolo si propone di analizzare i casi in cui la Parola di Dio invita il discepolo a non perseverare nei confronti con chi rifiuta ostinatamente la verità. Non si tratta di giudicare i cuori, ma di ubbidire al Messia, evitando che il Vangelo venga profanato e che le energie spirituali siano dissipate in inutili contese. Nella Bibbia Dio stesso stabilisce i confini dell’annuncio e come la vera Kehillah del Messia sia chiamata a discernere, con fermezza e amore, il momento di andare oltre.

Le Scritture sono chiare: quando una persona non accoglie il messaggio del Vangelo, dopo pochi tentativi bisogna andare oltre. Yeshua comanda:

Se qualcuno non vi riceve né ascolta le vostre parole, usciti da quella casa o da quella città scuotete la polvere dai vostri piedi.

Questi versetti (Mt. 10,14; Lc. 9,5) equivalgono a un segnale definitivo: chi rifiuta la Parola è giudicato dal suo rifiuto e il missionario non deve insistere oltre. Analogamente Marco riporta:

Se in qualche luogo non vi ricevono né vi ascoltano, andando via scuotetevi la polvere dai piedi come testimonianza contro di loro.

In termini chiari, la Scrittura ordina al discepolo di non sprecare il proprio tempo ed proprie energie evangeliche con chi ostinatamente rifiuta di credervi. Come Yeshua dichiara, trattare a lungo con i “sordi” contrari significerebbe opporsi proprio al Suo insegnamento.


Come comportarsi secondo Scrittura

Tutta la Bibbia offre numerosi esempi e principi in proposito. Nel libro dei Proverbi, per esempio, leggiamo: «L’uomo che, dopo essere stato spesso ripreso, irrigidisce il collo, sarà abbattuto all’improvviso e senza rimedio» (Prov. 29,1). Questo proverbio insegna che chi si ostina costantemente nell’errore, non ascoltando ripetuti ammonimenti, è destinato alla rovina; in sostanza, il giudizio è affidato alla sua ostinazione. In pratica, non ha senso «continuare a insistere» con chi ormai preferisce la propria via al bene. Analogamente, Yeshua ammonisce: «Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci». Il significato è esplicito: il messaggio di salvezza è “sacro” e prezioso; non va offerto a chi lo disprezza o lo calpesta. È una forte metafora che rispecchia l’atteggiamento saggio del discepolo: non diffondere ulteriormente la verità a chi l’ha già rifiutata, perché così rischia di essere strumentalizzata o persino usata contro di voi.

Il Tanakh, del resto, mostra come Dio stesso talvolta “stava lontano” da un popolo recalcitrante. Sebbene caritatevole, il Signore punì gli israeliti che cronicamente ignoravano i profeti (Ger. 7,28; Am. 5,10), lasciando che seguissero le loro vie. Nelle Scritture neotestamentarie, gli apostoli applicarono lo stesso principio. Paolo avvertì i credenti di evitare legami particolari con chi non ama il Signore:

Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c'è tra la giustizia e l'iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre? E quale accordo fra il Messia e Beliar? O quale relazione c'è tra il fedele e l'infedele? (2 Cor. 6,14-15)

E continua: «Perciò il Signore ha detto: “Allontanatevi, separatevi da loro”» (2 Cor. 6,17). Qui l’apostolo raccomanda esplicitamente di separarsi e non coinvolgere la propria vita spirituale con gli increduli ostinati, «non toccando le loro cose sporche». L’obiettivo è chiaro: preservare la comunità dei credenti da contaminazioni e inutili conflitti, confidando che Dio accolga chi veramente si converte.


La saggezza del dialogo

Gli apostoli insegnano anche una saggezza pratica nel dialogo. Secondo 2 Tim. 2,23-25, l’evangelizzatore deve evitare le «dispute stolte e insensate» che generano solo contese. Il testo recita:

Evita inoltre le dispute stolte e insensate, sapendo che generano contese. Il servo del Signore non deve litigare, ma deve essere mite con tutti, capace di insegnare, paziente. Deve istruire con mansuetudine gli oppositori, nella speranza che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità,

Qui appare un criterio essenziale: l’avversario ancora aperto al dialogo va trattato con calma e gentilezza; invece, chi rifiuta ostinatamente di ascoltare ogni correzione dimostra di non volere conoscere la verità. A quel punto, continuare a insistere diventerebbe contraddittorio rispetto a questo comando: non dev'essere nello stile del discepolo alimentare conflitti verbali con chi è chiuso e aggressivo, ma piuttosto piantare i semi e lasciare che i frutti sia Dio a darli crescere.

Un altro passaggio chiave è Mt. 18,15-17. Yeshua spiega ai discepoli come correggere un fratello in errore: prima affrontarlo da solo, poi con altri testimoni, e se anche così non ascolta, «sia per te come il pagano e il pubblicano». In pratica, dopo due appelli interni, se il fratello rimane ostinato, egli viene considerato al livello di chi non crede. Questo significa uscire dal giro stretto di chi ama la verità, cioè non aspettarsi più di convincerlo. Anche se tale passo si riferisce alla disciplina interna della Kehillah locale, il principio vale in genere: se tre volte (privatamente, in gruppo, poi alla comunità) un uomo rifiuta la Parola, non resta che andar via. Ciò concorda con i detti di Yeshua sulla polvere: dopo la “terza via” di tentativi, alla resa dei conti al discepolo è ordinato di lasciare l’ostinato alla sua strada. Anche Giovanni ammonisce contro i falsi insegnanti: «Se qualcuno viene da voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo» (2 Giov. 10). Anche qui troviamo il concetto di restringere i contatti — ossia non dare più credito a chi diffonde posizioni contrarie alla verità e, soprattutto, ignorarlo e basta. Non ignorarlo può tramutarsi in un'ossessione tale da far scendere il giusto al misero livello dell'empio.

In sintesi, la Scrittura definisce chiaramente i limiti dell’insistenza evangelica: evangelizziamo con cuore aperto, in ogni occasione favorevole o sfavorevole, ma senza ostinazione inconcludente. L’insegnamento di Yeshua è pedagogicamente efficace e pastorale: una volta notificata la verità (anche fino a tre volte, come in Mt. 18) chi non crede va trattato come un pagano, cioè lasciato alla sua sorte. Insistere oltre equivarrebbe a contraddire il comando stesso del Maestro che ci dice di non continuare inutilmente a parlare con chi ha già deciso di non ascoltare. Per la vera Kehillah del Messia (intesa come somma spirituale dei credenti, non l’istituzione), questo significa operare con saggezza evangelica: coltivare cuori disponibili e lasciare al Signore i cuori induriti.

Come conclude 2 Tim. 2,25, bisogna insegnare con pazienza e mansuetudine nella speranza del ravvedimento, ma senza pretendere un risultato ad ogni costo.

Principi operativi tratti dalla Scrittura:

  • Primo approccio personale: convincere «tra te e lui solo» (Mt. 18,15) o annunciare il Vangelo con chiarezza (Mt. 10,7-13).
  • Secondo tentativo con testimoni: «prendi con te ancora una o due persone» (Mt. 18,16); perseverare con un gruppo di credenti fidati.
  • Rifiuto finale: «Se rifiuta di ascoltarli [...] sia per te come il pagano e il pubblicano» (Mt. 18,17). A questo punto, seguendo l’esempio di Yeshua, scuotere la polvere dai piedi e andare avanti (Mt. 10,14; Lc. 9,5).
  • Tenere la giusta attitudine: evitare argomentazioni sterili (dispute stolte) e non rimanere agganciati dai dilemmi dei ribelli; trattare con umiltà e pazienza chi è realmente disposto ad ascoltare, senza cedere a rabbia o frustrazione.
Applicazioni pratiche: come comportarsi oggi, anche sui social network?
Nel contesto attuale, in cui il dialogo avviene sempre più spesso attraverso i social network, è fondamentale che i veri credenti comprendano come applicare il principio biblico del “distacco evangelico” anche in ambito digitale. Facebook, Instagram, YouTube, TikTok e altri spazi virtuali sono diventati, a tutti gli effetti, agorà pubbliche dove si annuncia la Parola, ma anche luoghi di scontro, derisione e ostinazione.
I princìpi biblici esaminati — come scuotere la polvere dai piedi (Mt. 10,14), non dare le perle ai porci (Mt. 7,6), evitare dispute insensate (2 Tim. 2,23-25), e considerare come pagano chi rifiuta dopo tre ammonizioni (Mt. 18,15-17; Tt. 3,10) — valgono pienamente anche nel mondo digitale.
Quando un credente pubblica contenuti basati sulla verità biblica e riceve critiche, insulti, derisioni o repliche sistematicamente ostili da parte di interlocutori che mostrano non solo incredulità, ma una volontà costante di polemizzare senza alcuna apertura spirituale, egli non ha il dovere né il diritto di insistere. Continuare a replicare a chi ha già manifestato il proprio rifiuto della verità non è solo inutile, ma equivale ad andare contro il comando del Messia. Il credente dovrebbe:
  • Rispondere con mitezza una prima volta, come Paolo insegna (2 Tim. 2,25).
  • Chiarire una seconda volta se vi è reale interesse e apertura.
  • Dopo la terza interazione, se l’altro si mostra ostinato, sarcastico o manipolatore, lasciare perdere senza rancore, ma anche senza più coinvolgimento (Tt. 3,10: «Dopo una o due ammonizioni evita costui»).
  • Non bloccare per vendetta, ma per prudenza spirituale, come indicato in 2 Giov. 10-11: «non riceverlo, non salutarlo».
  • Non rientrare in polemiche infinite nei commenti o nei thread, né illudersi che “avere l’ultima parola” sia segno di vittoria spirituale. Il vero vincitore è colui che si attiene al comando del Messia, non chi primeggia nella dialettica o chi grida più forte!
Un discepolo maturo sa che lo Spirito Santo convince il cuore (Giov. 16,8), e che la Parola non torna mai a vuoto (Is. 55,11), ma anche che non è chiamato a convincere chi si ostina a non voler udire. La funzione della “polvere da scuotere” è anche psicologica e spirituale: essa libera il cuore del credente dal senso di fallimento, lasciando il giudizio a Dio (Rom. 12,19). Non è per merito o sforzo nostro che le persone si convertono, ma per opera dello Spirito Santo.
Pertanto, nel mondo dei social come nella vita reale, la Kehillah autentica è chiamata ad annunciare con chiarezza e franchezza, non a inseguire chi si chiude o fugge. L’amore si esprime anche nel saper dire: «non sei pronto ora, prego per te, ma non proseguirò». Questa è obbedienza. Questo è discernimento. Questo è onorare il Messia.


Conclusione

In conclusione, i versetti sinottici e apostolici sul «signoreggiare il tempo» di dialogare con i miscredenti mostrano una linea coerente: la fedeltà al Messia non si misura da quante volte si replica lo stesso discorso, bensì dall’obbedienza al Suo comando di proseguire altrove quando la persona resta inadatta ad accogliere la Parola. Continuare a discutere oltre quelle soglie fissate da Yeshua significherebbe ignorare la chiamata stessa alla missione (Mt. 10,14; Lc. 9,5) e contrariarlo: insomma, non c'è tempo da perdere. Fossilizzarsi sempre sulle stesse persone ostili fa perdere tempo alla diffusione del Vangelo. Il compito del credente è dunque di donare con gioia il messaggio evangelico, sperando che fruttifichi, ma sapendo anche riconoscere quando il terreno è arido. Allora con fede si deve «tornare indietro a scuotere la polvere» e investire le risorse spirituali altrove, poiché «molti saranno i gradi da percorrere, ma pochi i cuori pronti ad ascoltare» (cfr. Mt. 13,12). Questo atteggiamento — lontano dall’essere un trionfo dell’orgoglio — è in realtà un atto di umiltà e fedeltà verso Dio. La “vera Kehillah” è chiamata a testimoniare la verità con perseveranza, ma anche a mantenersi libera dalle controversie infruttuose, affinché ad essa sia sempre chiesto di portare solo la luce, senza più offendere chi ha scelto le tenebre.

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