Premessa
Prima di procedere, è opportuno chiarire cosa si intenda per "speculazione" in un contesto ermeneutico: essa consiste in un'indagine intellettuale che, piuttosto che mirare alla comprensione oggettiva dei fatti, tende spesso a piegarli a una propria prospettiva ideologica, talvolta con l'intento di screditare posizioni avverse.
Negli ultimi tempi ho approfondito con particolare interesse lo studio dei Rotoli del Mar Morto, e molte delle informazioni emerse da questa ricerca si sono rivelate preziose per una maggiore comprensione storica della Bibbia, con un’attenzione specifica agli Scritti Apostolici. Questi, al pari del Tanakh, sono strutturalmente messiacentrici, una prospettiva che, espressa in termini più vicini al pensiero ebraico, evidenzia il ruolo centrale di Yeshua nella rivelazione biblica.
Il Tanakh, infatti, è intriso di profezie messianiche, ma non solo: taluni racconti della Genesi sembrano possedere caratteristiche narrative che prefigurano in modo straordinario la biografia di Yeshua. È come se i redattori biblici, sotto divina ispirazione, avessero tramandato storie dotate di un valore profetico, anticipando dettagli della vita del Messia. Emblematici in tal senso sono le figure di Isacco, con il drammatico episodio della legatura, e Giuseppe, il figlio di Giacobbe, che dopo anni di servitù e sofferenza ascende al potere in Egitto. Questi due personaggi, tra i più messianici dell’intero corpus scritturale, prefigurano in modo sorprendente elementi essenziali della missione di Yeshua (e ciò senza considerare il ruolo preminente di Mosè).
È in questo contesto cristologico che si inserisce la teologia speculativa, la quale, con una certa insistenza, cerca di individuare riferimenti cristologici in ogni angolo delle Scritture, talvolta perfino in quelli che risultano più problematici da un punto di vista testuale. Se è vero che la Bibbia, nella sua interezza, parla di Yeshua, e lo fa spesso anche in modo velato – come lui stesso afferma:
infatti, se credeste a Mosè, credereste anche a me; poiché egli ha scritto di Me (Giov. 5,46)
è altrettanto vero che ciò non giustifica forzature esegetiche che spingano a individuare presunti riferimenti messianici persino negli errori redazionali dei copisti! Sorge dunque una questione di metodo: è lecito alterare il senso originario dei testi per avvalorare una prospettiva cristologica, o è piuttosto necessario adottare un approccio più rigoroso che, senza nulla togliere alla centralità di Yeshua, rispetti l’integrità del dato testuale?
Impariamo a leggere la sigla di un frammento di Qumran
A Qumran sono stati scoperti circa 900 manoscritti, tra pergamene e frammenti, redatti in ebraico, aramaico e greco. Questi manoscritti comprendono una varietà di testi: scritti biblici, commentari, apocrifi, opere apocalittiche e sapienziali, inni, senza tralasciare i documenti amministrativi della comunità essena che li ha prodotti, quali regolamenti, leggi, istruzioni, pianificazioni, inventari e archivi. Essendo numerosi e rinvenuti in diverse grotte nel deserto della Giudea, nei pressi del Mar Morto, ogni frammento, dal più piccolo alla pergamena più estesa, è stato catalogato e siglato dai ricercatori con un sistema di identificazione, come nel caso esemplificativo:
4QDeut-j
La lettura di tale sigla segue un preciso schema:
- Il numero "4" indica la grotta in cui il frammento è stato trovato.
- La lettera "Q" rappresenta Qumran.
- "Deut" è l'abbreviazione del libro cui il frammento appartiene, in questo caso il Deuteronomio.
- La lettera "j" denota la progressione dei frammenti contenenti lo stesso testo. Poiché la "j" è la decima lettera dell'alfabeto inglese, questa sigla indica la decima copia di una serie di duplicati, il cui primo esemplare sarebbe identificato come 4QDeut-a.
Ora che abbiamo chiarito il sistema di lettura della sigla di un frammento di Qumran, vi propongo un esercizio: riuscite a decifrare autonomamente un altro frammento? Evitate di consultare la soluzione!
4Q Gen-h (title)
Vediamo se avete indovinato:
- 4 = numero della grotta.
- Q = Qumran.
- Gen = Genesi.
- h = ottava copia di una serie di doppioni.
Bene, avete capito!
Stavolta, però, abbiamo una nuova dicitura inglese fra parentesi: (title). Tale dicitura indica che il frammento in questione riporta solamente il "titolo" del libro biblico in questione. Vi riporto di seguito un frammento di cui parleremo adesso, attraverso una fotografia in contrasto del bianco e nero:
4Q Gen-h (title). Fonte: www.deadseascrolls.com
Va osservato che questo frammento presenta una parola parzialmente illeggibile, con alcune macchie di inchiostro, ma sufficientemente chiara da permettere l’identificazione di almeno quattro lettere (da destra a sinistra):
- ב (bet): la lettera bet, nella parte inferiore, è perforata a causa di un foro nella pergamena.
- ר (resh).
- ש (shin).
- י (yad).
Accanto alla lettera י (yad), si trova una porzione di pergamena mancante, un piccolo foro triangolare che sembra coprire quasi completamente quello che dovrebbe essere il carattere ת (taw). Poiché il frammento è stato rinvenuto insieme ad altri più grandi che riportano il testo di Gen. 1, in ebraico בראשית (bereshit), possiamo con certezza affermare che la lettera mancante è proprio ת (taw), dato che le lettere identificate formano la parola ברשית (brshyt), che si pronuncia brscit. Questa è la prima parola del Genesi, e corrisponde al titolo stesso del libro biblico: בראשית (Bereshit), che in italiano significa «in principio».
In alto a destra, il frammento 4Q Gen-h (title)
L'immagine di sopra mostra la ricostruzione del manoscritto da parte degli epigrafisti.
Molti frammenti hanno mantenuto frastagliature definite, per cui come per la serie di frammenti più grandi non è stato troppo complicato rimetterli insieme.
Dio ci parla anche attraverso gli errori di copiatura?
Arriviamo al punto cruciale. Secondo l'opinione prevalente tra i teologi e gli accademici più rispettati, solo i manoscritti originali della Bibbia possono essere considerati divinamente ispirati. Tuttavia, purtroppo, tali manoscritti originali sono andati perduti. I codici che abbiamo a disposizione sono semplici copie di copie successive, che inevitabilmente hanno subito errori di trascrizione. In molte sezioni, si riscontrano veri e propri passaggi mancanti o omissioni involontarie, emendamenti e interpolazioni. Di conseguenza, ad oggi non è stato ancora scoperto il manoscritto originale della Torah, né esistono manoscritti biblici "originali" risalenti all'epoca esilica e postesilica, un periodo in cui la Torah sembra aver raggiunto la sua forma definitiva (insieme agli altri libri del Tanakh). I manoscritti di Qumran, che risalgono dal III secolo a.C. al I secolo d.C., sono le testimonianze più antiche che possediamo, ma i più antichi manoscritti biblici in assoluto sono quelli della LXX (Septuaginta). E anche della Septuaginta non possediamo gli originali, ma solo copie successive.
Il lettore attento noterà che la parola בראשית (bereshit) nel frammento 4Q Gen-h presenta un "errore" di scrittura: manca la lettera א (alef), risultando così in ברשית invece del corretto בראשית.
- בראשית (corretto)
- ברשית (errato)
Il prof. Ronald S. Hendel, accademico ed esperto di critica testuale e linguistica (e non solo), nella prefazione del suo libro The Text of Genesis 1-11 - Textual Studies and Critical Edition, spiega la motivazione di questo errore:
«Tale errore, motivato dalla quiescenza fonetica dell'alef nel discorso di questo periodo, è abbastanza comune nei Rotoli di Qumran (Qimron 1986: 25-26; cfr. diversi casi della rivisitazione di Genesi 1 in 4Q Jub-a; DJD 13, 13-14). Questa prima prova del titolo ebraico di Genesi fornisce un esempio lampante delle vicissitudini dei testi antichi ed è un appropriato promemoria della semplice necessità di una critica testuale della Bibbia ebraica»
Insomma, il prof. Hendel ci dice che l'assenza di questa lettera è un errore scribale comune «motivato dalla quiescenza fonetica dell'alef». Ma che significa «quiescenza»?
In linguistica, e in particolare nell'ebraico, una lettera quiescente è quella lettera che viene pronunciata solo se accompagnata da una vocale. La lettera א possiede questa caratteristica, in quanto è muta, cioè non produce alcun suono. Di fatto, א rimane una lettera silenziosa se non è associata a una vocale (A, E, I, O, U). Poiché la consonante א è muta, è probabile che durante la stesura del manoscritto, lo scriba abbia omesso questa lettera per errore. Essendo muta, infatti, non influisce sul suono complessivo della parola, consentendo alla scrittura corretta בראשית (bereshit) di essere letta allo stesso modo anche nella sua versione scorretta come riportata nel frammento.
Con l'introduzione delle vocali scritte secoli dopo da parte dei Masoreti, oggi abbiamo una chiara indicazione di come deve essere pronunciata la parola בראשית e di dove le vocali devono essere posizionate. In questo modo, possiamo apprezzare come la vocalizzazione masoretica abbia permesso di rendere esplicita la pronuncia della parola, correggendo le omissioni e gli errori che si verificavano nei testi precedenti, che venivano scritti senza le vocali.
בְּרֵאשִׁית
Nel testo sopra, notiamo che l'alef di בראשית è priva di una vocale, sia sopra che sotto (puntini o trattini), a differenza delle lettere ר ,ב e ש, che presentano una vocalizzazione. La lettera י, in questo caso, funge da matres lectionis per la ש: questa lettera allunga la vocale Hireq, facendola suonare come "i". Il ת, invece, non è una lettera quiescente, poiché emette sempre un suono, sia che sia accompagnata da una vocale o meno (la "T").
Poiché א è una lettera quiescente, quando non è associata a una vocale, funziona come se non fosse scritta (similmente al shevà muta, che è presente nella scrittura ma non viene pronunciata), in quanto non produce suono. א ha una particolare caratteristica: essa "assorbe" il suono della vocale che le è accostata. Come afferma la scrittrice Elena Loewenthal, א è «la voce del respiro prima di ogni parola», un elemento che prelude al suono successivo, ma che in sé non ha una pronuncia autonoma.
Speculazione messianica
Ritornando alla parola errata nel frammento 4Q priva della lettera alef, ברשית (BRShYT), possiamo osservare che, se la prendiamo così com'è, è possibile suddividerla in due parole distinte o sillabe che sembrano offrire un interessante gioco interpretativo, molto apprezzato da chi è incline a speculazioni sensazionalistiche, che tendono a vedere significati nascosti o allusioni a concetti teologici:
- בר (BaR), che in aramaico significa "figlio", e in ebraico "figlio maschio".
- שית (ShYT), che in ebraico ha il significato di "fissare, stabilire, costituire" (BDB #7896, p. 1011), e non "creare", come alcuni potrebbero erroneamente dedurre.
Tuttavia, alcune interpretazioni teologiche alternative forzano un po' troppo l'analisi cristologica. In questi casi, si sostiene che la parola BaR-ShYT sarebbe interamente aramaica e che SHhT significherebbe "creare" o "porre in essere". In questo modo, si cercherebbe di alludere al concetto di "Il Figlio crea", richiamando forse Giov. 1,1ss, in cui si parla della "Parola" che era con Dio e che era Dio, e quindi di Yeshua. Tuttavia, per arrivare a queste conclusioni, è necessario forzare in modo significativo i dizionari e le definizioni, estrapolando il significato di "fare" o "creare" in modo distorto, come se il termine ebraico שית (ShYT) implicasse un atto creativo, cosa che non è supportata dalla lingua stessa.
È fondamentale sottolineare che non esistono casi biblici in cui una parola sia scomponibile in termini di due lingue diverse (come l'ebraico e l'aramaico) per ricavare presunti messaggi cristologici nascosti. Sebbene ci siano porzioni di aramaico in libri come Daniele, Esdra, Nehemia, e in alcune sezioni di Genesi, Numeri, Giobbe e Geremia, non troviamo mai una parola che, scomposta in due parti, diventi portatrice di significati criptati in chiave cristologica.
Infatti, la lettura corretta della parola בראשית (BeReShYT) sarebbe probabilmente "Il Figlio stabilisce" se la parola fosse stata scritta intenzionalmente senza א, ma questa interpretazione non giustifica forzature. È, infatti, più probabile che l'assenza di א sia dovuta a un errore di copiatura, come suggerito dal professor Hendel, che ha affermato che questo tipo di "errore" non è un caso isolato, ma è comune in vari manoscritti di Qumran.
Non si può accettare che tale errore di copiatura sia stato ispirato divinamente, poiché la Scrittura masoretica, che è la base delle traduzioni ufficiali del Tanakh, ammonisce chiaramente contro «la penna bugiarda degli scribi» (Ger. 8,8). Dio non ispira gli errori di copiatura o persino la Masorah stessa, poiché questi derivano dalla limitatezza umana. I redattori delle Scritture, pur scrivendo sotto l'influenza divina, erano esseri umani capaci di commettere errori.
Inoltre, gli Ebrei sono sempre stati molto scrupolosi nel copiare i manoscritti delle Scritture con la massima fedeltà. Se commettevano un errore, non distruggevano il manoscritto, ma lo riponevano per un uso non liturgico, ma didattico. Gli errori di copiatura sono un fenomeno comune, soprattutto nei testi antichi come quelli di Qumran, che sono stati trascritti per un lungo periodo di circa 300 anni.
Infine, la parola aramaica equivalente a BeReShYT non è ברשית (BRShYT), come alcuni potrebbero suggerire, ma בקדמין (BeQaDMYN), come riportato nel Targum Onkelos (la traduzione aramaica della Torah), che significa letteralmente "nei tempi antichi" (BDB #6924, p. 869). Pertanto, la speculazione che colleghi il frammento di Qumran con un messaggio cristologico nascosto risulta essere una forzatura priva di fondamento visto che erano solo copisti e non uomini ispirati da Dio come Mosè, i Profeti e gli autori delle Scritture Apostoliche.
Prova testuale dalla Settanta?
La teologia speculativa sostiene che la LXX possa, in effetti, corroborare la possibilità di una lettura di BaR-ShYT, come evidenziato nel frammento 4Q Gen-h (title), dimostrando indirettamente l'errore di Hendel. A sostegno di tale affermazione, viene esaminato l’apparato critico della Biblia Hebraica Stuttgartensia (BHS) su Gen. 1,1, con particolare riferimento alla parola ebraica בראשית.
Nella prima riga, si riportano due possibili varianti traslitterate in caratteri greci per la lettura di bereshit: «Cp 1,1 a Orig Βρησιθ vel Βαρησηθ (-σεθ)». Le due forme risultano rispettivamente brisith e bariseth, con la seconda che include la sillaba bar, in linea con quanto riportato nel 4Q Gen-h (title), suggerendo una certa conferma di questa lettura. Tuttavia, è importante notare che queste traslitterazioni derivano non dalla LXX, ma da Origene.
Nel suo Commentario sulla Genesi, Origene presenta un midrash su Gen. 1:1:
«In principio Dio fece il cielo e la terra. Qual è il principio di tutte le cose, se non il nostro Signore e salvatore di tutti, Gesù, il primogenito di tutta la creazione? In questo principio, cioè nel suo Verbo, Dio fece il cielo e la terra, come afferma anche l'evangelista Giovanni all'inizio del suo Vangelo [...]»
Origene, che utilizzava la LXX, non interpreta le parole "in principio" (bereshit o bar-shyt) come una conferma che «il Figlio crea» nel senso in cui alcuni teologi interpretano l'errore del frammento. Il suo commento si concentra sull’identità del "primogenito della creazione", come spiegato da Giov. 1,1, nel contesto di un midrash su Gen. 1,1. Inoltre, la LXX non inizia con le parole greche proposte nell’apparato critico della BHS, ma con «Ἐν ἀρχῇ» (en arché), che corrisponde esattamente alla resa di Giov. 1,1, e non con brisith o bariseth.
Nella terza riga, è riportata la sigla della LXX, seguita dalla continuazione del passo di Genesi che descrive la raccolta delle acque: «και συνηχθη το υδωρ» (e l’acqua fu raccolta…), ecc. In sintesi, secondo l'apparato critico, la LXX non fornisce alcuna lettura che possa confermare il testo del frammento; semmai, è Origene ad aver trattato queste parole, ma certamente non per convalidare un errore di trascrizione dello scriba esseno. Le due letture proposte rappresentano fenomeni letterari noti come "ebraismi" o "semitismi", che si ritrovano anche nelle Scritture Apostoliche, nei quali parole ebraiche o aramaiche vengono traslitterate in caratteri greci, come nei casi di Mt. 27,46; Giov. 5,2; 19,13.17; 20,16; Ap. 9,11; 16,16.
In definitiva, il tentativo della teologia speculativa di rafforzare la propria posizione crolla sotto il peso della stessa evidenza testuale.
Conclusione
Il frammento oggetto della nostra analisi presenta esclusivamente il titolo del libro che lo scriba ha trascritto, e non la parola iniziale del racconto di Gen. 1,1. Di conseguenza, se questo rappresenta un errore, è necessario riconoscerlo come tale. Se, al contrario, la scelta è stata intenzionale, si potrebbe supporre che lo scriba abbia ritenuto opportuno abbreviare il titolo, pur mantenendo intatto il testo della narrazione biblica, senza implicazioni teologiche circa l’idea del "Figlio che crea". Gli Esseni, infatti, non concepivano l'idea che il Figlio di Dio, come inteso dalla dottrina giudaico-messianica, avesse partecipato attivamente alla creazione.
La teologia speculativa, che abbraccia la nozione che Dio possa comunicare anche attraverso errori di copiatura, afferma che solo gli atei (nel senso dispregiativo del termine) potrebbero negare tale possibilità. Al contrario, i credenti dovrebbero essere in grado di coglierla immediatamente, in quanto gli studiosi non credenti, limitandosi a un'analisi superficiale, non riuscirebbero ad andare oltre il semplice errore di scrittura. Così, sarebbe attribuito a Dio il ruolo di aver "fatto sbagliare" lo scriba Esseno con l'intento divino di comunicare il concetto di "il Figlio crea".
Ma dal punto di vista biblico, è possibile sostenere che un credente possa realmente giungere a simili conclusioni? Come studioso e credente, mi trovo in una posizione di confronto con la teologia speculativa. Da credente, dovrei essere in grado di vedere ciò che gli studiosi non credenti non riescono a percepire. Tuttavia, non riesco a vedere ciò che la teologia speculativa sostiene che dovrei vedere. Non siamo entrambi credenti? A questo punto, la teologia speculativa suggerirebbe che alcuni credenti abbiano una visione chiara, mentre altri, come me, sarebbero ciechi.
Pertanto, esistono passaggi nelle Scritture che possano dimostrare che Dio parli anche attraverso errori di scrittura? Chi ha deciso o dove è scritto che Dio intenda comunicarci qualcosa anche attraverso errori di copiatura nei testi sacri? Finché non ci sono prove concrete, si tratta di mera speculazione. Un’obiezione comune potrebbe essere che chi ha deciso o dove è scritto che Dio non possa parlarci attraverso errori di copiatura? È vero che Dio può tutto, ma è necessario che ci renda partecipi del Suo modo di comunicare, in quanto è un Dio di pace e non di confusione. In tale contesto, solo la Scrittura può fornirci la risposta, come è stato già dimostrato in precedenza.
In effetti, la Scrittura ci ammonisce contro gli scribi mendaci e contro chi manipola le Scritture, aggiungendo o togliendo da esse. La Torah, i Profeti e l'Apocalisse ci mettono in guardia su questo. È scritto chiaramente che dalla Scrittura non si deve aggiungere né togliere nulla, sia che si tratti di un comandamento o di una lettera, intenzionalmente o per errore. Yeshua, infatti, ha ribadito l'incrollabilità della Torah (e per estensione dell'intera Scrittura), anche nella sua parte più piccola (un iota o un apice), e ha sottolineato che nessuna lettera della Torah deve essere rimossa dal suo posto fino a quando non passeranno i cieli e la terra.
Sarebbe certo un bellissimo messaggio, se gli Esseni ci avessero trasmesso, magari inconsapevolmente, un così profondo insegnamento divinamente ispirato come "il Figlio crea", proprio nella prima parola della Bibbia. Tuttavia, finché si tratta di parole scritte correttamente, possiamo trarre da esse significati validi. Da un albero buono si raccoglie solo frutta buona, mentre da un albero cattivo si raccolgono solo frutti cattivi. Così, se le parole sono scritte correttamente, si può ricavare la giusta informazione, ma se sono scritte erroneamente, si rischia di ottenere informazioni errate, ambigue o fittizie!
Se, invece, si trattasse di parole scritte erroneamente, staremmo parlando semplicemente di una speculazione che forzerebbe il contenuto di un manoscritto biblico, riportante errori di scrittura, e che pertanto, secondo la visione degli antichi Ebrei, sarebbe considerato "scartoffia da scrivania", e non "testo sacro".
Concludo questa riflessione con un principio che mi piace sempre ricordare: potrei sempre sbagliarmi, e se qualcuno fosse in grado di dimostrare il contrario di quanto ho esposto, sarei felice di ascoltarlo. Sono aperto al dialogo e alla possibilità di rivedere le mie posizioni, ma il mio desiderio non è di promuovere un errore a mio favore, bensì di permettere che sia la verità stessa a guidarmi.