Introduzione
Ognuno di noi affronta momenti in cui si chiede chi stia davvero guidando la propria vita. Siamo noi a prendere le decisioni basandoci sulle nostre capacità e conoscenze, o permettiamo a Dio di condurci secondo la Sua volontà? La storia di Mosè ci offre un potente esempio di come Dio possa trasformare una vita, rendendo un uomo debole e insicuro uno strumento di liberazione e redenzione.
La formazione di Mosè
Dio non sceglie uomini e donne forti e perfetti, ma prende uomini e donne deboli e li rende forti nelle Sue mani. Mosè è un esempio lampante di questo principio. La sua storia, narrata in Esodo, si sviluppa in tre fasi principali:
- Quarant'anni alla corte del faraone.
- Quarant'anni in esilio presso il suocero.
- Quarant'anni come liberatore d'Israele.
Nei primi tre mesi di vita, Mosè visse con sua madre, che lo nascose per proteggerlo dall'ordine del faraone di uccidere i neonati maschi degli ebrei. Quando non poté più tenerlo nascosto, lo affidò alla Provvidenza, mettendolo in una cesta e affidarlo al fluire del Nilo. Fu la principessa d'Egitto, figlia del faraone, a trovarlo e, ironicamente, lo riconsegnò alla madre naturale per lo svezzamento. Questo periodo fu cruciale per Mosè, poiché gli permise di ricevere un imprinting materno fondamentale.
L'imprinting, in psicologia, è il legame forte e spesso permanente che si sviluppa con la prima figura di riferimento. Questo legame inizia già nel grembo materno e si rafforza attraverso il contatto fisico e le interazioni affettive con la madre [1]. Per Mosè, quei primi anni con la madre furono essenziali per la sua identità e il suo futuro ruolo.
La crisi di Mosè e la fuga in Madian
Dopo essere stato allevato come un principe egiziano destinato al trono e istruito in tutta la sapienza che l'Egitto aveva da offrire (At. 7,22), Mosè compì un'azione impulsiva: uccise un egiziano che stava maltrattando un ebreo. Il suo gesto, seppur mosso da un senso di giustizia contro l'ingiustizia, lo costrinse a fuggire nel deserto di Madian, dove visse altri quarant'anni come pastore. Qui sposò Sefora, figlia di Ietro (altrove è chiamato "Reuel" una sola volta, Es. 2,18), e si trovò a condurre una vita umile, lontano dal lusso e dal potere a cui era abituato.
Possiamo immaginare i pensieri di Mosè mentre portava il gregge al pascolo: il rimorso per aver ucciso un uomo, il senso di colpa, l'amarezza per aver "abbandonato" i suoi fratelli ebrei in quella condizione di schiavitù. La sua vita sembrava segnata dall'esilio e dall'anonimato, ma Dio aveva altri piani per lui.
Il bastone di Dio
Un giorno, Dio apparve a Mosè in un roveto ardente, chiamandolo a essere il liberatore d'Israele. Mosè, insicuro e timoroso, cercò di giustificarsi dicendo di non essere un buon oratore e di non avere le capacità per tale missione. Ma Dio non cerca strumenti perfetti, bensì persone disposte a fidarsi di Lui.
Un elemento simbolico centrale in questa chiamata è il bastone di Mosè. Fino a quel momento, quel bastone era stato il suo supporto, un simbolo della sua vita da pastore e della sua zona di comfort. Tuttavia, quando Dio lo trasformò nel «bastone di Dio» (Es. 4,17-20), esso divenne uno strumento di prodigi e liberazione. Questo ci insegna che quando mettiamo la nostra vita nelle mani di Dio, Egli trasforma le nostre debolezze in strumenti di forza e riscatto.
La lezione del giogo leggero
Yeshua ci invita a prendere il Suo giogo, promettendo che sarà «dolce e leggero» (Mt. 11,28-30). Nell'antichità, un bue giovane veniva affiancato a uno più esperto per imparare a lavorare con il minimo sforzo. Allo stesso modo, quando ci affidiamo a Dio, Egli ci guida e ci solleva dal peso delle nostre paure e insicurezze.
La lettera ebraica ל (lamed) che ha la forma di un bastone, rappresenta l'idea di forza e autorità. Unita alla lettera א (alef), forma la radice אל (el), che fonde insieme i concetti di potenza (ל) che quello di giogo (א). Questo significa che Dio non ci schiaccia sotto il peso della nostra vita, ma ci insegna a vivere liberi dalle catene del passato.
Conclusione
Mosè fu chiamato per liberare Israele, e oggi noi, come figli di Dio, siamo chiamati a liberare chi è ancora prigioniero delle proprie paure e del proprio passato. Questo accade solo quando smettiamo di aggrapparci al nostro "bastone" e permettiamo a Dio di guidarci con il Suo. La domanda finale è chiara e diretta: chi vuoi che guidi la tua vita?
Nota
[1] Sull'imprinting neonatale si veda il portale imamma.it (link all'articolo:Bonding neonatale: cos’è e come rafforzarlo ).