Parashah (Esodo 1,1.7; 3,7-8)
Introduzione
Con questa parashah si apre il libro di Esodo, il secondo dei cinque libri della Torah – termine ebraico che significa "istruzione", e che nella tradizione greca è noto come Pentateuco, ovvero "cinque libri". Il titolo italiano "Esodo" deriva dalla traduzione dei Settanta (LXX) e allude all'evento centrale del libro: l’uscita, o la partenza, del popolo d’Israele dalla terra d’Egitto. Tuttavia, nella Bibbia ebraica, il libro è intitolato Shemot, «Nomi», seguendo l’usanza antica di designare ogni sezione del testo a partire dalla prima parola significativa del versetto d’apertura:
E questi sono i nomi dei figli d’Israele... (Es. 1,1)
Secondo la tradizione giudaica, l’autore del libro è Mosè stesso, sebbene si riconosca che alcune porzioni – come il racconto della sua morte – siano state evidentemente redatte da altra mano ispirata. Esodo rappresenta una tappa teologica e narrativa cruciale nel cammino della Rivelazione: in esso si compiono le promesse divine fatte ai patriarchi, ovvero che i loro discendenti sarebbero divenuti una grande nazione. Tramite la figura provvidenziale di Giuseppe, il Signore introduce in Egitto settanta persone; ne farà uscire una moltitudine innumerevole, liberata dalla schiavitù con mano potente. Il testo sacro parla di seicentomila uomini adulti, senza contare donne e bambini, lasciando ipotizzare una cifra complessiva prossima ai due o tre milioni.
Nonostante l’oppressione sistematica esercitata dalla maggiore potenza del mondo antico – l’Egitto –, i figli d’Israele si moltiplicarono con fecondità straordinaria, divennero forti e riempirono il paese (Es. 1,7). È significativo che proprio Shemot sia il primo libro della Scrittura a designare Israele con l’espressione «popolo ebraico». Ed è ancora più degno di nota che a cogliere questa identità collettiva, prima ancora dei figli d’Israele stessi, sia stato il Faraone – l'oppressore –, riconoscendo nel popolo d’Israele non un semplice insieme di individui, ma una nazione temibile per la sua crescita e coesione.
Haftarah (Isaia 27,6–28,13; 29,22-23)
Dio vede, ascolta, riscatta
I figli d’Israele dimoreranno nel dominio Egizio per un periodo di circa quattro secoli. Tuttavia, la fase di schiavitù vera e propria si protrarrà per ottant’anni soltanto. Durante questa lunga parentesi storica, l’Eterno parve tacere, celando la Sua voce dietro il velo del silenzio. Eppure, quel silenzio non fu mai assenza, ma attesa sapiente, tempo gravido di redenzione. Quando il grido del Suo popolo penetrò le altezze celesti e giunse alle Sue orecchie, Dio stesso si mosse a compassione e suscitò un liberatore: Mosè, l’ebreo salvato dalle acque, adottato dalla figlia del Faraone, cresciuto alla corte del potere, ma destinato a divenire lo strumento del divino riscatto.
Besorah (Matteo 2,1–23; Atti 7,17–36; 1 Corinzi 10,1–13)
Un nuovo Esodo in Yeshua
Mosè, eletto da YHWH per essere guida e mediatore, sarà figura profetica del Messia venturo. Così come egli fu sottratto alla morte per divenire salvezza per Israele, allo stesso modo Yeshua fu protetto durante la strage degli innocenti, rifugiato in Egitto, per poi manifestarsi quale Redentore delle nazioni, liberandole dalla schiavitù più profonda: quella del peccato.
Dopo una prima esitazione, Mosè si distinguerà per la sua assoluta fedeltà nel compiere le istruzioni divine, prefigurando la figura messianica del mediatore perfetto. Egli si rivestirà di un'autorità che non è sua, ma che gli è conferita dall’Alto, divenendo ponte tra il Dio tre volte santo e un popolo afflitto. La chiamata di Mosè è accompagnata da parole divine di straordinaria intensità:
Ho visto, ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto. Ho udito il suo grido causato dai suoi oppressori, perché conosco i suoi dolori (Es. 3,7)
E ancora:
Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo risalire verso una terra buona e spaziosa… (Es. 3,8)
In queste affermazioni si rivelano quattro azioni divine che scandiscono l'intervento salvifico del Signore: vede, ascolta, conosce e discende.
- L’insistenza del testo – «ho visto, ho visto» – esprime più che una semplice osservazione: è uno sguardo penetrante, vigile, che testimonia come Dio non abbia mai distolto lo sguardo dai Suoi. Il Suo silenzio non fu dimenticanza, ma veglia misteriosa.
- L’ascolto – «ho udito» – rivela che il grido di Israele aveva raggiunto il punto critico, il limite oltre il quale la sofferenza diventa inaccettabile agli occhi del Giusto.
- Il verbo «Io conosco» (in ebraico yadá‘ti) non indica una semplice informazione, ma una conoscenza empatica, partecipata, intima. Dio conosce il dolore del Suo popolo come un uomo familiare alla sofferenza (Is. 53,3): non dall’esterno, ma da dentro.
- Infine, l’espressione «sono sceso» implica un coinvolgimento diretto e attivo. Il Dio trascendente si abbassa, si immerge nella storia, per giudicare l’oppressore e per innalzare l’oppresso.
La promessa del riscatto è anche promessa di un approdo: una terra «buona e vasta, dove scorrono latte e miele» – immagine di abbondanza, riposo e nuova comunione. Così, ogni discesa di Dio nella nostra afflizione ha come fine una risalita spirituale verso una pienezza promessa. Come proclama il profeta Nahum:
YHWH è buono, un rifugio nel giorno dell’angoscia; egli conosce quelli che confidano in lui (Na. 1,7)
Il Dio biblico non è spettatore distante, ma Padre solidale. Vede, ode, conosce, discende. E per quelli che confidano in Lui, mostra grazia e favore, nel tempo opportuno.
Conclusioni
Il Dio di Abraamo, di Isacco e di Giacobbe è lo stesso ieri, oggi e in eterno. Egli non ha cessato di osservare con attenzione paterna i Suoi figli, di ascoltare il grido del loro cuore, di conoscere a fondo le loro pene e le angosce più nascoste. Il Suo sguardo non si distoglie mai, la Sua memoria non vacilla: il Dio della rivelazione non dimentica.
La Sua compassione si è manifestata in modo supremo nel dono del Suo Unigenito, Yeshua il Messia. In Lui, YHWH ha rinnovato l’Esodo: ci ha tratti fuori dall’Egitto del peccato, ci ha fatto attraversare le acque della salvezza, e ci guida ora – passo dopo passo – nel pellegrinaggio verso la Terra Promessa. Non ci ha illusi circa le difficoltà: ci attende un deserto da attraversare, irto di prove e incertezze. Ma la Sua promessa è chiara: «Io sarò con voi ogni giorno». In questa marcia spesso faticosa, non siamo abbandonati: il Consolatore, lo Spirito Santo, è stato posto accanto a noi come guida, conforto e luce.
Può accadere che in certi momenti Dio sembri tacere. Può sembrare che non risponda, che i Cieli siano chiusi. Ma il Suo silenzio non è indifferenza, bensì attesa sapiente. I tempi di Dio non sempre coincidono con i nostri, ma sono sempre perfetti. Egli non ci sottoporrà mai a prove superiori alle nostre forze. Quando, come Israele, saremo giunti allo stremo e lo cercheremo con tutto il cuore, Egli si lascerà trovare.
Anche noi, come Mosè, possiamo sentirci inadeguati, esitanti, non all’altezza della chiamata. Ma è proprio attraverso i “non qualificati” che Dio ama operare, affinché sia evidente che la potenza appartiene a Lui e non a noi. Non chiama i preparati, ma prepara coloro che chiama. La Sua grazia si perfeziona nella debolezza.
Yeshua ci ha riscattati dalla schiavitù: ora siamo liberi, e in Lui abbiamo la vittoria. Ma questa libertà deve essere custodita nella conoscenza, nell’intimità con YHWH. È nel cuore, più che nella mente, che dobbiamo conoscerLo profondamente, affinché non restiamo prigionieri di pensieri vecchi e schiavitù interiori.
Il Mio popolo perisce per mancanza di conoscenza [intimità] (Os. 4,6)
Questa conoscenza non è accademica, ma relazionale: come Mosè parlava con Dio «faccia a faccia», così siamo chiamati a entrare in una relazione viva, intima, trasformante. L’intimità genera fiducia, la fiducia scaccia la paura, e da questa comunione scaturiscono frutti di santità e giustizia. L’Eterno è fedele. Egli porterà a compimento ogni Sua promessa. A noi è richiesto di perseverare, di camminare nell’obbedienza alla Sua Parola, nella preghiera fervente, nella confidenza che non delude. YHWH ama i Suoi figli con amore eterno, e non è insensibile al loro grido. Chi spera in Lui non resterà confuso.
Ascolta la parashah di Daniele Salamone (07/01/2023)