Passa al contenuto

Parashat Vayeshev (Gen. 37,1—40,23)

Giuseppe: Il Messia sofferente e la gloria della restaurazione
22 marzo 2025 di
Parashat Vayeshev (Gen. 37,1—40,23)
Adriana Pigolotti
| Ancora nessun commento

Parashah (Genesi 37,2-5; 35,22)
Introduzione

La parashah di questa settimana inizia con un'affermazione solenne:

Questa è la discendenza di Giacobbe

Tuttavia, anziché un elenco genealogico, il testo concentra immediatamente l'attenzione su Giuseppe, il figlio prediletto di Giacobbe, nato da Rachele. Questo spostamento dell'attenzione indica che la storia di Giuseppe non è soltanto una vicenda familiare, ma un evento centrale nel disegno divino della redenzione (geulah).

Giuseppe, a 17 anni, è descritto come «il figlio della vecchiaia» (Gen. 37,3), espressione che non si riferisce solo all'età avanzata di Giacobbe, ma all'affetto speciale che il patriarca nutriva per lui. Tale predilezione si manifesta concretamente con la donazione della ketonet passim, la veste variopinta (Gen. 37,3), segno di distinzione e possibile indicazione della trasmissione della primogenitura a Giuseppe al posto di Ruben, il quale aveva disonorato suo padre (Gen. 35,22). Questo gesto suscita l’invidia dei suoi fratelli, i quali, incapaci di tollerare il favore divino su Giuseppe, alimentano un odio crescente nei suoi confronti (Gen. 37,4-5).


Da "Mashiach ben Yosef" a Yeshua

La vita di Giuseppe anticipa in maniera straordinaria la figura del Messia, rivelando attraverso eventi concreti un archetipo di Yeshua. Alcuni paralleli fondamentali includono:

  • Il Figlio prediletto: Giuseppe è amato da suo padre (Gen. 37,3), come Yeshua è il Figlio amato del Padre celeste, in cui Egli si compiace (Mt. 3,17).
  • Odiato dai fratelli: Giuseppe è rigettato dai suoi fratelli per invidia (Gen. 37,4), così come Yeshua fu rigettato dai capi d'Israele (Giov. 1,11; Mc. 15,10).
  • Venduto per denaro: Giuseppe viene venduto per venti sicli d’argento (Gen. 37,28), mentre Yeshua fu tradito per trenta sicli d’argento (Mt. 26,15).
  • Calunniato e condannato ingiustamente: Giuseppe fu accusato falsamente dalla moglie di Potifar (Gen. 39,16-20), così come Yeshua fu vittima di false testimonianze prima della condanna (Mt. 26,59-60).
  • Sofferenza e redenzione: Giuseppe passò anni in prigione prima della sua liberazione (Gen. 40,14-15, 23; 41,1), similmente Yeshua trascorse tre giorni nel sepolcro prima della resurrezione (Mt. 12,40; 1 Cor. 15,4).
  • Esaltazione e gloria: Giuseppe fu innalzato come secondo solo al faraone e governatore dell’Egitto (Gen. 41,41-44), prefigurando l’innalzamento di Yeshua alla destra del Padre (Flp. 2,9-11; Eb. 1,3).
  • Salvezza per le nazioni: Giuseppe provvide cibo per tutte le nazioni del mondo antico durante la carestia (Gen. 41,57), mentre Yeshua è il Pane della Vita per il mondo (Giov. 6,35).
  • Non riconosciuto dai fratelli: quando i fratelli di Giuseppe vennero in Egitto, non lo riconobbero subito (Gen. 42,8), così come Israele non ha ancora riconosciuto subito Yeshua come il Messia (Rom. 11,25-26).

Yeshua incarna così sia il ruolo del Messia figlio di Giuseppe che quello del Messia figlio di Davide: venne, patì, risorse dai morti, ascese al cielo e tornerà una seconda volta per regnare.


Besorah (Mt 10,22.34-36)
L'odio dei fratelli: un tema universale

Sarete odiati da tutti a causa del Mio nome; ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato (Mt. 10,22)
Non pensate che Io sia venuto a mettere pace sulla terra, non sono venuto a metter pace ma spada, perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell’uomo saranno quelli di casa sua (Mt. 10,34-36)


L’odio che i fratelli nutrivano nei confronti di Giuseppe non era rivolto solo alla sua persona, ma esprimeva un conflitto più profondo: il rifiuto e l'accettazione del piano divino. Questo schema si ripete lungo tutta la narrazione biblica: da Caino e Abele (Gen. 4,8), Isacco e Ismaele (Gen. 21,9-10), fino a Giacobbe ed Esaù (Gen. 27,41). Ogni volta, la contesa ruota attorno all’elezione divina e alla promessa.

Quando gli occhi spirituali non sono aperti alla rivelazione di YHWH, l’uomo cade nella ribellione e nel risentimento. I fratelli di Giuseppe si oppongono inconsciamente al disegno divino, rifiutandosi di accettare la sovranità di Dio nella loro vita. Similmente, il rifiuto di Yeshua come Dio, Signore, Messia e Maestro da parte delle autorità religiose del Suo tempo rappresenta un'incomprensione della volontà di YHWH (At. 3,17; Giov. 15,22-25). Ma gloria a Dio, perché nulla può fermare il Suo piano! Anche oggi, seguire il Signore ha un prezzo. Chi annuncia un "vangelo della prosperità", promettendo solo felicità e successo, predica un inganno. Yeshua è il nostro Maestro: se hanno perseguitato Lui, perseguiteranno anche noi, perché il discepolo non è più grande del suo maestro. Le prove più dure spesso vengono proprio da chi ci è più vicino, spesso da chi condivide il nostro stesso sangue. L’elezione divina porta spesso con sé il rigetto di chi non comprende il disegno di Dio. L’odio che riceviamo non è altro che ribellione contro di Lui.

Così i fratelli di Giuseppe, rifiutando di inchinarsi come rivelato nel sogno, non stavano solo respingendo lui, ma stavano opponendosi alla sovranità di Dio stesso.


Applicazioni spirituali

La storia di Giuseppe insegna che le difficoltà non sono segno di abbandono divino, ma strumenti di formazione spirituale. Alcuni principi chiave emergono dalla sua vicenda:

  • La fede nelle promesse di Dio: anche nei momenti più bui, Giuseppe si affidò alla fedeltà di YHWH (Gen. 39,2-3). Allo stesso modo, i credenti sono chiamati a confidare nelle Sue promesse (Eb. 10,23).
  • Le prove preparano alla gloria: l'umiliazione precede l'esaltazione: Giuseppe fu schiavo e prigioniero prima di diventare governatore (Gen. 41,14). Così Yeshua dovette soffrire prima di entrare nella Sua gloria (Lc. 24,26).
  • La giustizia di Dio trionfa: Giuseppe non cercò mai vendetta personale, ma attese la giustizia che viene da Dio (Gen. 50,20). Noi siamo esortati a fare altrettanto (Rom. 12,19).
  • Le avversità come protezione divina: la prigione fu per Giuseppe una protezione contro ulteriori pericoli (Gen. 39,20), così come le prove possono rivelarsi una salvaguardia spirituale (Sal. 119,71).
  • Il tempo di Dio è perfetto: l'impazienza può ritardare i piani divini, come nel caso di Giuseppe che dovette attendere due anni in più (per un totale di tre anni) in prigione (Gen. 40,23—41,1). I credenti sono chiamati a fidarsi del perfetto tempismo di Dio (Eccl. 3,11).

Conclusione

La vicenda di Giuseppe non è solo una storia di sofferenza e riscatto personale, ma una parabola vivente della redenzione messianica. Essa ci insegna che il cammino della fede è spesso segnato da ostilità, incomprensioni e sofferenze, ma anche che la fedeltà a Dio porta sempre a un compimento glorioso. Giuseppe fu esaltato dopo anni di ingiustizie, così come Yeshua, dopo aver sofferto, fu glorificato e siederà per sempre sul Trono (Ap. 22,3-5). La sua storia rimane per tutti noi un'inesauribile fonte di edificazione, incoraggiamento e speranza.


Guarda la parashah del moreh (17/12/2022)


Per approfondire questa parashah, si consiglia la lettura del Nuovissimo Commento alla Torah dedicato al Genesi.

Condividi articolo
Etichette
Archivio
Accedi per lasciare un commento

>> Leggi articolo successivo >>
L'importanza della preghiera