Introduzione
Tra gli insegnamenti più disarmanti e rivoluzionari di Yeshua, nessuno ha suscitato tanto stupore quanto il comandamento: «Amate i vostri nemici» (Mt. 5,44). In un mondo lacerato dalla vendetta, dalla rivalità e dall'onore violato, questa affermazione si erge come un Monte Sinai etico che sfida ogni logica umana. Tale precetto, celebrato da credenti e ammirato persino da pensatori laici, sembra a prima vista dissonante rispetto ad alcuni testi delle Scritture veterotestamentarie che parlano di odio per i malvagi e di distruzione degli avversari di Dio. Come può, dunque, l'amore per il nemico conciliarsi con i Salmi imprecatori, i comandi divini di guerra e stermini e le invettive profetiche? Possiamo davvero credere che Yeshua abbia contraddetto il Tanakh, la Scrittura che Egli stesso ha dichiarato di non abolire ma perfezionare (Mt. 5,17)?
L’obiettivo di questa riflessione è mostrare che il comando di Yeshua non è un'abolizione della giustizia veterotestamentaria, ma la sua pienezza redentiva. Esamineremo le apparenti tensioni e mostreremo, con il Sal. 139 come guida, che giustizia e amore non sono in conflitto, ma si completano nel cuore stesso di Dio.
Il contesto giudaico del comandamento di Yeshua
Yeshua non parla nel vuoto. Le Sue parole si inseriscono in un contesto religioso e culturale carico di tensioni politiche, fermento apocalittico e tradizioni settarie. La Torah, in Lev. 19,18, comandava chiaramente: «Ama il tuo prossimo come te stesso». Tuttavia, nel linguaggio corrente dei giorni di Yeshua, questa prescrizione era stata piegata e reinterpretata in modo tale da divenire esclusiva, se non addirittura tribale. «Voi avete udito che fu detto: "Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico"» (Mt. 5,43) non è una citazione della Torah e nemmeno una traduzione orale dei Farisei, bensì una deformazione interpretativa che rifletteva un clima religioso segnato dallo zelo identitario e dall'odio verso i dominatori stranieri, in particolare Roma.
Questa mentalità è documentata anche nei manoscritti ritrovati a Qumran, presso le grotte del Mar Morto. In particolare, il documento della Regola della Comunità (1QS 1,9-11) prescrive ai membri del gruppo di amare tutti i figli della luce e odiare tutti i figli delle tenebre. In questo dualismo etico e spirituale, il prossimo è solo colui che appartiene alla comunità dell'alleanza; chi è estraneo a essa è considerato nemico e maledetto. Secondo Geza Vermes e Florentino García Martínez, questo atteggiamento si estendeva anche alle preghiere e agli inni liturgici della comunità, dove l'odio verso gli empi era teologicamente giustificato come manifestazione di fedeltà a Dio.
Yeshua ribalta questa logica settaria: è troppo facile amare chi ci ama. Il vero figlio del Padre celeste è colui che ama anche chi lo perseguita (Mt. 5,45), perché così si riflette il cuore stesso di Dio, che fa sorgere il Suo sole sui malvagi e sui giusti. Tuttavia, questa rivoluzione etica non si fonda su una negazione dell'Antico Patto, ma sul suo compimento più alto. Yeshua non abolisce la giustizia della Torah: la porta a compimento con la potenza dell'amore redentivo. L'amore non cancella la giustizia: la purifica, la redime, la rende partecipazione alla misericordia del Padre.
Lo zelo per l'onore di Dio: Davide non è in contrasto con Yeshua
Testi imprecatori pro-violenza?
Ci sono testi in cui Dio ordina a Israele di distruggere i Suoi nemici (Deut. 7,2; 13,15; Gios. 6,21). Ci sono anche Salmi imprecatori che implorano Dio di giudicare i malvagi (Sal. 5; 17; 28; 35; 40; 137) e alcuni testi che esprimono l’odio per i nemici di Dio (Deut. 32,41; 33,11). Un testo che sembra contraddire le parole di Yeshua viene dal Sal. 139.
Il Sal. 139 sembra costituire una pietra d'inciampo per chi legge superficialmente il Vangelo. Davide esclama:
Non odio forse quelli che ti odiano, oh YHWH? Non detesto forse quelli che si levano contro di Te? Io li odio di un odio perfetto (vv. 21-22)
A prima vista, sembrerebbe l'opposto delle parole di Yeshua. Ma ciò che muove Davide non è un livore personale, bensì lo zelo per la santità divina. Egli odia il male, perché ama profondamente Dio. L'odio di Davide è un rifiuto della ribellione contro il Santo d'Israele, e in ciò egli si conforma a ciò che anche i Profeti e Dio stesso condannano.
Yeshua non chiede di smettere di amare la giustizia. Egli stesso, nel Getzemani, cita il Sal. 69, uno dei più duri fra i Salmi imprecatori. L'amore del discepolo per il nemico non è un invito a ignorare il male, ma a combatterlo con un cuore redento e non vendicativo.
La giusta ira e l'introspezione spirituale
Sempre nel Sal. 139, subito dopo aver espresso la sua avversione per i malvagi, Davide eleva una preghiera profondissima:
Esaminami, oh Dio, e conosci il mio cuore [...] vedi se c'è in me qualche via iniqua (vv. 23-24)
Qui sta la chiave. L'ira verso l'ingiustizia non diventa peccato se è accompagnata da un cuore scrutato da Dio. Anche l'apostolo Paolo dirà: «Adiratevi e non peccate» (Ef. 4:26). Non ogni ira è peccaminosa; l'ira santa è quella che scaturisce dalla fedeltà a Dio e che è pronta ad essere purificata, se contaminata da orgoglio o vendetta personale.
Amare il nemico, allora, non significa anestetizzare la coscienza. Significa presentare le proprie reazioni a Dio, chiedendo che Egli purifichi la nostra ira, rendendola simile a quella del Messia che si indignava per l'ipocrisia, ma piangeva per Gerusalemme.
Il comando personale e non politico
Yeshua parlava a individui, non a istituzioni civili. Quando dice «amate i vostri nemici», non stava stabilendo la politica penale d'Israele. Il Suo appello non era rivolto al Sinedrio, né alla struttura giuridica dell’epoca, bensì alla coscienza del discepolo, all’anima che desidera camminare secondo la volontà del Padre. Non è il diritto civile a essere qui in discussione, ma la disposizione del cuore umano.
Davide, re e giudice d'Israele, agiva anche in quanto autorità pubblica, responsabile della giustizia e garante del patto nazionale tra Dio e il popolo. Il suo ruolo non era solo spirituale, ma anche istituzionale. L’odio espresso in alcuni Salmi attribuiti alla sua penna è l'odio per le opere malvagie che minano il patto di Dio, non un sentimento personale di vendetta. È un odio teologico, non passionale; è lo stesso sdegno che troviamo nei Profeti quando denunciano l'idolatria, la corruzione, l'oppressione dei poveri.
Lo stesso apostolo Paolo, parlando della funzione dello Stato, scrive che esso «non porta la spada invano» (Rom. 13,4). In questo riconosce una legittima autorità al potere civile di esercitare la giustizia per reprimere il male e tutelare l’ordine. L’amore cristiano non è un’anarchia etica o un permissivismo ingenuo. Non esclude il giudizio, ma lo redime nella carità. La parola di Yeshua, infatti, si rivolge al discepolo che nella vita quotidiana incontra il torto, la calunnia, la persecuzione: a lui è chiesto di rispondere non con vendetta, ma con amore, spezzando la spirale del male.
Amare il nemico, dunque, non significa rinunciare alla giustizia pubblica o all’ordine sociale. Significa che il discepolo non prende la giustizia nelle proprie mani per vendicarsi, ma affida tutto a Dio e, se necessario, alle autorità costituite. È una rivoluzione interiore che mira alla pace, ma non disarma lo Stato dal suo ruolo. La forza dell’amore evangelico non abolisce la legge: la purifica alla radice.
Yeshua e i Salmi imprecatori
Infine, un errore diffuso è quello di costruire un "Vangelo parziale", isolando alcune parole di Yeshua e ignorandone altre. Ma Yeshua non ha mai rinnegato i Salmi né insabbiato le pagine più "indigeste" del Tanakh. Nella passione, le Sue labbra pronunciano il Sal. 22 («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»), e nei momenti più dolorosi della croce riecheggia il linguaggio dei Salmi imprecatori, come quello del Sal. 69, che invoca il giudizio su chi perseguita il giusto.
Non è un caso che i primi discepoli, nella loro preghiera dopo la persecuzione (At. 4,25-27), citino proprio un Salmo imprecatorio (Sal. 2) per affermare la sovranità di Dio sugli eventi e sui persecutori del Suo Unto. Anche Yeshua, nel Suo ministero, non ha mai nascosto l'ira di Dio contro il peccato. Egli ha pianto su Gerusalemme, ma ne ha anche annunciato la desolazione; ha benedetto i mansueti, ma ha maledetto l'ipocrisia dei Farisei. La Sua mitezza non era complicità, ma compassione redentrice.
L'amore che Egli predica non è debolezza, ma forza che redime. Egli ama i Suoi nemici non perché siano giusti, ma perché possano essere salvati. Il nemico non è giustificato nella sua condotta, ma è amato nonostante essa. E quando la Scrittura maledice i malvagi, lo fa non con spirito di vendetta, ma con il dolore di un Dio che offre tempo per il ravvedimento e che non annulla la responsabilità morale. Come ha detto Pietro:
Il Signore è paziente [...] non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento (2 Pt. 3,9)
Quando il Vangelo ci chiama ad amare i nemici, ci chiama a spezzare il ciclo dell'odio, non a giustificare il male. E quando la Scrittura invoca il giudizio su chi resiste ostinatamente a Dio, lo fa con il linguaggio di un amore santo che ama anche quando corregge, che benedice anche quando purifica.
In Yeshua, i Salmi imprecatori non vengono censurati, ma trasfigurati: il giudizio di Dio non è abrogato, ma assunto sulla croce. Il giusto giudizio si unisce all'amore in un unico atto redentivo. Così, la Bibbia intera, dai Salmi alla croce, canta all'unisono la giustizia misericordiosa di Dio.
Conclusione
L'insegnamento di Yeshua su «amare i nemici» non è un invito al relativismo morale, ma alla santità radicale. Un amore che prega per chi perseguita, che benedice chi maledice, ma che non chiude gli occhi davanti al peccato. È un amore che nasce da un cuore nuovo, scrutato da Dio, trasformato dalla grazia.
Una Bibbia completa e tagliata rettamente forma un discepolo completo e retto. Non possiamo innalzare l'amore come idolo contro la giustizia, né brandire la giustizia senza l'amore. L’amore di Dio è giusto, e la Sua giustizia è piena di amore. Solo in questa tensione risolta nella croce del Messia possiamo imparare ad amare davvero, anche chi ci fa del male.
Che ognuno di noi, dunque, possa pregare come Davide:«"Esaminami, oh Dio [...] e guidami per la via eterna» (Sal. 139,24), perché solo chi ama nella verità cammina davvero nella luce.