Introduzione
In un’epoca in cui la libertà viene spesso confusa con l’anarchia spirituale, si moltiplicano i messaggi che, in nome di una grazia “esagerata”, svuotano il Vangelo della sua potenza trasformante. Alcuni sedicenti profeti e predicatori moderni, impregnati di passione e abilità retorica, propongono una visione della grazia radicalmente scollegata dal resto del consiglio di Dio. Pur partendo da affermazioni veritiere, costruiscono un sistema sbilanciato che, nel respingere il legalismo, finiscono per promuovere l’antinomismo: una distorsione storicamente condannata da apostoli, riformatori e padri della fede. È nostro compito, con spirito di mansuetudine ma fermezza dottrinale, rispondere con acume biblico e profondità esegetica.
Grazia: dono che educa, non scusa che assolve a priori
È vero che Tito 2,11-12 afferma che «la grazia di Dio ci insegna a rinunciare all’empietà». Ma proprio perché educa, la grazia non è un campo libero all’autonomia etica. La pedagogia della grazia presuppone l’esistenza di uno standard: la giustizia e la pietà. Ma chi definisce questi termini, se non la legge morale di Dio? Dire che la legge «non dà la forza» per obbedire è corretto (Rom. 8,3), ma concludere che essa sia inutile o dannosa è fuorviante. Paolo afferma in Rom. 7,12:
La legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono.
Il problema non è la legge in sé, ma la carne. Per questo la nuova alleanza, annunciata da Ger. 31,33, scrive la legge nei cuori. Non la elimina. L’opera della grazia, quindi, non è abolire la legge, ma renderla attuabile per mezzo dello Spirito (Ez. 36,27). È un vangelo dimezzato quello che proclama la grazia senza la santificazione, come se il frutto potesse nascere senza l’albero.
Romani 5,20 e l’equivoco del “tutto iper”
Questi profeti fondano gran parte della loro apologia sul verbo greco hypereperisseusen (sovrabbondò) per sostenere che la grazia sia per natura «iper». Ma commettono qui una fallacia esegetica. Paolo dice che «dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata» (Rom. 5,20) — ma non che la grazia promuove l’abbondanza del peccato. Infatti, lo stesso apostolo, anticipando l’abuso di questa affermazione, prosegue immediatamente in Rom 6,1-2:
Che diremo dunque? Rimarremo nel peccato affinché la grazia abbondi? No di certo!
Lo stesso Paolo, preso in questione per avallare la predicazione dell’iper-grazia, la rigetta con forza quando viene intesa come licenza. «Dio non voglia!», esclama. La grazia è abbondante nella sua capacità di riscattare, non nella sua presunta permissività.
Il falso dualismo: legge = morte, grazia = vita
I falsi profeti creano un dualismo errato, facendo della legge una carnefice e della grazia una liberatrice assoluta da ogni dovere. Ma nella Scrittura, la legge non è il problema — lo è il cuore dell’uomo. 1 Cor. 15,56, citato impropriamente («il potere del peccato è la legge»), va compreso nel suo contesto escatologico: Paolo sta parlando della vittoria finale sulla morte. Non sta dicendo che la legge causa il peccato, ma che lo definisce, ti fa vedere che volto ha! Senza la legge, il peccato sarebbe invisibile, non assente.
Il salmista, ben lontano dal legalismo, canta:
Oh, quanto amo la tua Torah! È la mia meditazione di tutto il giorno (Sal. 119,97)
Chi ama davvero il Messia Yeshua, ama anche le Sue vie (Giov. 14,15). La grazia non è l’alternativa alla Torah, ma la potenza per adempiere la volontà del Padre.
Galati 3 e la maledizione: di quale legge parliamo?
Questi ministri del nulla citano Galati 3,10 per affermare che chi vuole vivere secondo la legge è sotto maledizione. Ma non distinguono la legge mosaica cerimoniale dalla legge morale eterna di Dio.
Il contesto di Galati 3 è chiaro: Paolo combatte coloro che volevano imporre la circoncisione e le opere della Torah per ottenere la giustificazione. Non condanna la vita santa, ma l’idea che l’uomo possa giustificarsi con i propri sforzi.
Il cristiano non osserva la legge per guadagnare la salvezza, ma perché l’ha ricevuta. L’albero buono produce frutto buono (Mt. 7,17), non per essere piantato, ma perché è già vivo.
Il pericolo dell'antinomismo: storia e dottrina
L’idea che predicare la grazia significhi rigettare qualsiasi "dover fare” ha un nome teologico: antinomismo. Già condannato da Paolo, esso fu rigettato da ogni riformatore. Lutero stesso scrisse:
Chi rifiuta la legge non ha compreso né il Vangelo né la giustificazione per fede.
Anche Dietrich Bonhoeffer parlò della “grazia a buon mercato”, quella che non costa nulla e non trasforma nulla:
Grazia senza discepolato, senza croce, senza Gesù Cristo vivo e incarnato.
L’iper-grazia, quando si svincola dalla santità e dalla responsabilità, non è più grazia, ma licenza mascherata da amore.
Il Messia ha adempiuto: e ora?
Il Messia Yeshua ha adempiuto (letteralmente, «perfezionato») la legge — ma proprio perché l’ha adempiuta, non significa che noi siamo ora liberi da ogni standard. Mt. 5,17-19 è cristallino:
Non pensate che Io sia venuto per abolire la Torah [...] chiunque trasgredirà uno solo di questi minimi comandamenti sarà chiamato minimo nel Regno dei Cieli.
Yeshua non è venuto per abrogare, ma per compire e confermare. E ha lasciato ai Suoi discepoli l’imperativo: «Se mi amate, osserverete i Miei comandamenti».
Conclusione
La grazia non è un tappeto sotto cui nascondere il peccato, ma una dinamite celeste per distruggerlo. Essa giustifica il peccatore ma mai il peccato. È la mano di Dio che ci rialza, ma anche il Suo Spirito che ci guida alla santità (Gal. 5,16). Chi oppone la grazia alla legge non ha capito né l’una né l’altra. Chi predica solo «ciò che ha fatto Lui» e mai «ciò che ora siamo chiamati a fare» (Ef. 2,10) predica un Vangelo monco, quindi diverso e di perdizione. La Scrittura è unitaria: la salvezza è per grazia mediante la fede (Ef. 2,8), ma la fede senza le opere è morta (Giac. 2,17).
Quindi sì, proclamiamo la grazia, ma quella vera, che salva, trasforma, santifica e prepara un popolo zelante nelle opere buone appositamente create da Dio per noi (Tt. 2,14). Quella che non solo giustifica, ma glorifica (Rom. 8,30). Quella che non ci lascia come siamo, ma ci rende simili a Yeshua.
Se questo è essere “iper”, allora che sia. Ma che sia l’iper-santità, l’iper-amore, l’iper-verità. Non l’iper-permissività. Perché il Vangelo è grazia… ma mai a buon mercato.