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Il fico, Israele e la cattiva ermeneutica

Quando l’illusione esegetica diventa eresia travestita da rivelazione
17 aprile 2025 di
Il fico, Israele e la cattiva ermeneutica
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
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Introduzione

Osservate attentamente l’immagine di cui sopra. Ora immaginate che al posto di quel bambino ci sia vostro figlio, vostro nipotino, o magari il compagnetto di scuola di vostro figlio. Cosa provereste? Io, sinceramente, rischierei un infarto sul colpo. Incidete questa scena nella mente, fissatela bene… e lasciate che vi accompagni passo dopo passo nella lettura di questo breve articolo.

C'è una linea sottile — ma letale — tra il leggere la Bibbia e il farle dire ciò che non ha mai detto. Una cattiva esegesi, infatti, porta inevitabilmente a una cattiva ermeneutica (leggi articolo correlato). E quando entrambe sono compromesse, non solo si smarrisce il senso della Scrittura, ma si costruiscono vere e proprie teologie alternative, fondate su illusioni spirituali che contraddicono l’intero tessuto biblico. È questo il caso della maledizione del fico operata da Yeshua, che molti affrettatamente interpretano come una condanna simbolica di Israele. Un’idea tanto diffusa quanto pericolosa.


L’errore della simbolizzazione forzata

Secondo alcuni interpreti, ogni volta che nella Bibbia si parla di «fico», si dovrebbe leggere «Israele». Quasi fosse una chiave magica, una specie di decoder spirituale che svela un misterioso significato nascosto sotto il testo. Arrivano persino a dire che le foglie di fico con cui Adamo ed Eva si coprirono siano una figura profetica di Israele. E da lì si costruisce un intero castello interpretativo, che culmina nella scena evangelica in cui Yeshua maledice un fico senza frutto — scena letta, in questa visione distorta, come una sentenza di maledizione eterna su Israele.

Ora, mettiamo in pausa l’emotività e attiviamo la mente. Se davvero Yeshua, Dio incarnato, avesse maledetto Israele, ciò implicherebbe che Dio stesso avrebbe maledetto il popolo dell’alleanza. Ma la Scrittura non dice forse il contrario?

Benedirò chi ti benedirà, maledirò chi ti maledirà (Gen. 12,3)

E Paolo, in Romani 11, non dichiara forse con forza che i doni e la vocazione di Dio a Israele «sono irrevocabili»? Chi osa, allora, dire che Yeshua abbia revocato ciò che Dio ha promesso per sempre?


Una logica spirituale devastante

Questa ermeneutica cieca porta a una conclusione tragicamente sbagliata: che Dio avrebbe contraddetto la Sua stessa promessa. Che Yeshua, il fedele Israele di Dio, si sarebbe fatto strumento di maledizione eterna contro il popolo da cui Lui stesso proviene secondo la carne. Ma se questo fosse vero, allora il Yeshua dei Vangeli sarebbe in conflitto diretto con il Dio della Torah. Ecco dove porta un uso irresponsabile degli strumenti esegetici: alla costruzione di un Messia anti scritturale.

Immagina il bambino davanti a un quadro elettrico ad alta tensione. Gli si dà in mano un cacciavite e gli si dice: «Gioca pure, collega qualche filo». Il risultato? Una folgorazione inevitabile. Così è colui che, non padroneggiando gli strumenti dell’esegesi e dell’ermeneutica, si avventura tra i fili elettrici della Scrittura: un gioco pericoloso con conseguenze mortali. Non basta avere la Bibbia in mano per essere interpreti affidabili.


Una sana esegesi del testo

Vediamo allora cosa afferma davvero il testo, liberandolo da letture fantasiose e teologismi da quattro soldi. Il racconto si trova in Mc. 11,12-14.20-21 e nel parallelo di Mt. 21,18-22. Yeshua ha fame. Si avvicina a un albero di fico: tante foglie, nessun frutto. Lo maledice con parole nette: «Nessuno mangi mai più frutto da te». Il giorno dopo, l’albero è seccato dalle radici. Ma chi legge con attenzione non può non notare un dettaglio cruciale: l’episodio è incastonato tra due eventi chiave — l’ingresso trionfale a Gerusalemme e la purificazione del Tempio.

Non è una maledizione contro Israele. È un atto profetico, una denuncia pubblica contro il giudaismo ipocrita del tempo. Il bersaglio non è il popolo dell’Alleanza, ma l’apparato corrotto che lo stava ingannando e opprimendo. È il sistema farisaico, legalista, sterile. Un'istituzione che ostentava foglie rigogliose — riti, paramenti, gesti sacri — ma non portava alcun frutto di giustizia, misericordia e verità.

  • L’albero, dunque, è l’immagine viva di un falso giudaismo, marcio fino al midollo, corrotto interiormente come un sepolcro, anche se fuori lucido e ben curato — proprio come disse Yeshua: «imbiancato».
  • Le foglie rappresentano l’apparenza, la facciata religiosa.
  • I frutti mancanti sono gli insegnamenti che, sotto la copertura della “tradizione”, hanno svuotato la Parola di Dio, neutralizzandola.

Yeshua non sta maledicendo Israele — il popolo scelto, figlio della promessa, oggetto dell’amore eterno di Dio. No! Sta smontando pubblicamente la religiosità teatrale, che ha fatto della fede un’industria liturgica senz’anima, un teatro sacro privo della Shekinah. Come il fico rigoglioso di foglie ma sterile, così quel sistema religioso prometteva vita e offriva morte.

Ignorare questo messaggio, o peggio ancora, spiritualizzare l’albero riducendolo a "Israele tout court", è non solo esegeticamente scorretto, ma teologicamente irresponsabile. È accusare il Messia di aver maledetto ciò che il Padre ha giurato di benedire in eterno. È capovolgere la verità. È chiamare profetico ciò che è solo frutto di una fantasia ignorante vestita da rivelazione.

  • Yeshua non ha maledetto Israele.
  • Ha denunciato un’illusione.
  • Ha smascherato l’ipocrisia.

Ermeneutica: come applicare questo principio oggi?

Per leggere rettamente questo passo, occorre una triplice chiave di discernimento, senza la quale ogni interpretazione rischia di essere fuorviante, se non addirittura blasfema:

  • Contesto. Yeshua è alle porte di Gerusalemme, e ciò che accade non è casuale: Egli si sta preparando a smascherare l’ipocrisia religiosa dei capi del popolo. L’episodio del fico è parte integrante del Suo confronto diretto con una religiosità apparente, fatta di facciata ma priva di sostanza.
  • Coerenza. Nessun passo della Scrittura può essere isolato dal suo insieme. La Bibbia si interpreta con la Bibbia. Dio ha giurato benedizione su Israele, e maledire Israele significherebbe contraddire la Sua stessa promessa. Ma Dio non si contraddice. Yeshua, che è una cosa sola con il Padre, non può maledire ciò che il Padre ha eletto con amore eterno.
  • Contenuto. In questo caso il fico non è il popolo d’Israele, ma rappresenta un sistema religioso deformato, un culto svuotato di vita, autoreferenziale, incapace di produrre i frutti dello Spirito. È una denuncia contro un'apparenza spirituale che inganna, seduce e illude, ma non nutre.

E oggi, quella parola di Yeshua continua a risuonare con potenza profetica contro ogni forma di fede gonfia di foglie ma vuota di frutti. Contro ogni religione che recita liturgie, che conosce i versetti a memoria, indossa paramenti sacerdotali e mostra zelo… ma è arida, secca, sterile, lontana dal cuore di Dio.


Conclusione

Una spiritualizzazione non è, di per sé, un atto esegetico. È spesso una fuga comoda, una scorciatoia per evitare la fatica di confrontarsi con il testo nel suo reale contesto storico, letterario e teologico. È il tentativo di far dire alla Bibbia ciò che si vuole sentirsi dire, anziché ascoltare ciò che essa realmente dice.

🔍 Eisegesi

Dal greco eis (“dentro”) e hēgēsis (“interpretazione”) – è il termine usato per indicare l’atto di introdurre nel testo un significato che non vi è presente, basandosi su idee, pregiudizi o convinzioni personali dell’interprete. A differenza dell’esegesi, che si sforza di trarre fuori dal testo il suo significato autentico, rispettandone contesto, lingua, autore e intenzione originaria, l’eisegesi è un processo soggettivo, proiettivo, e spesso manipolatorio. In pratica, si fa dire alla Bibbia ciò che si vuole che dica.

In parole semplici:

Eisegesi è quando leggi il testo con le lenti delle tue idee, anziché lasciarti correggere da ciò che il testo davvero dice.

Leggere il passo in cui Gesù maledice il fico (Marco 11) e decidere che quel fico rappresenta Israele, senza alcun fondamento testuale o conferma del contesto biblico, solo perché si vuole supportare una certa visione teologica.

⚠️ L’eisegesi non è solo un errore metodologico: è un rischio spirituale, perché trasforma la Parola di Dio in uno specchio deformante delle nostre opinioni.

Attribuire significati arbitrari, manipolare simboli, imporre schemi fissi come “il fico è sempre Israele”, è un abuso interpretativo. Non perché i simboli debbano essere rigettati — anzi, la Scrittura ne è ricca e profondamente simbolica — ma perché i simboli non sono giocattoli. Richiedono rigore, umiltà e discernimento. Usarli senza criterio equivale a mettere in mano a un bambino una bomba accesa, e chiamare “rivelazione” ciò che in realtà è solo improvvisazione spirituale travestita da sapienza.

🔍 Abuso

La parola abuso deriva dal latino abusus, participio passato di abuti, che significa «usare male, usare oltre misura». In italiano, abuso indica l’uso scorretto, eccessivo o illecito di qualcosa, o anche un comportamento che eccede i limiti del lecito, del giusto o del conveniente.

Abuso: uso improprio, eccessivo o ingiustificato di qualcosa o di qualcuno, spesso con danno per altri.

Alcuni esempi di uso:

  • Abuso di potere: quando un'autorità usa il proprio ruolo per fini personali o in modo ingiusto.
  • Abuso di alcol: consumo eccessivo e dannoso di bevande alcoliche.
  • Abuso di fiducia: tradimento della fiducia ricevuta, sfruttandola a proprio vantaggio.
  • Abuso verbale o fisico: forma di maltrattamento, anche psicologico o corporeo.

Nel contesto che stiamo trattando, per esempio, si può parlare di abuso delle Scritture quando qualcuno le interpreta o le manipola per scopi estranei alla loro intenzione originaria, spiritualizzando arbitrariamente o distorcendo il senso dei testi biblici.

Chi gioca con gli strumenti dell’esegesi senza averne appreso nemmeno l’ABC, si fa profeta di sé stesso, e non della Parola. Chi pretende di interpretare la Scrittura senza metodo, senza spirito critico, senza rispetto per il contesto, senza confronto con fratelli maturi nella fede, e soprattutto senza sottomissione al testo stesso, non è guidato dallo Spirito di Dio, ma da una presunzione travestita da rivelazione.

C'è un'urgenza, oggi più che mai, di voci lucide, coraggiose e affilate, capaci di smascherare gli abusi spirituali, le eisegesi travestite da illuminazione, e di riportare la Kehillah alla sobrietà del vero. Perché no, Dio non ha mai maledetto Israele. E chi lo afferma, anche se animato da fervore, è purtroppo solo vittima di una spiritualizzazione illusoria, che confonde l’emozione con la rivelazione.

La Scrittura è sacra, non è una lavagna su cui scarabocchiare le proprie fantasie. Non è un parco giochi dove dilettanti con in mano gli strumenti dell’esegesi si improvvisano dottori, con il rischio di fare più danni che bene. È come consegnare a un bambino inesperto le chiavi di un quadro elettrico ad altissimo voltaggio: il risultato non è illuminazione… è folgorazione.

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