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La bilancia della Verità

Esperienza spirituale = dottrina? No, grazie!
17 marzo 2025 di
La bilancia della Verità
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
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Introduzione

Non facciamo delle nostre esperienze spirituali le nostre dottrine; piuttosto, devono essere le dottrine bibliche a valutare se le nostre esperienze spirituali sono autentiche oppure no.

L'esperienza spirituale è una componente essenziale della fede, ma non può mai sostituire la verità oggettiva della rivelazione biblica. Viviamo in un'epoca in cui l'esperienza individuale e soggettiva viene spesso elevata a criterio ultimo di verità, ma la Scrittura ci ammonisce a discernere gli spiriti

Carissimi, non credete a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio, perché molti falsi profeti sono usciti fuori nel mondo (1 Giov. 4,1)

e a verificare ogni cosa alla luce della Parola di Dio:

Ora questi [i Bereani] erano di sentimenti più nobili di quelli di Tessalonica, perché ricevettero la Parola con ogni premura, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così (At. 17,11)

Questa attitudine non solo protegge la fede dall'inganno, ma assicura che l'esperienza spirituale sia radicata nella verità e non in percezioni soggettive o emotive.


L'Esperienza e la Verità: una relazione asimmetrica

L'esperienza di Dio non avviene in un vuoto, ma è influenzata dal contesto culturale, teologico e storico in cui viviamo. Questo significa che la nostra percezione della realtà divina è sempre mediata da fattori soggettivi. La fede cristiana ha da sempre distinto tra la fides qua creditur, cioè la fede soggettiva del credente, e la fides quae creditur, il contenuto oggettivo della fede. Questa distinzione è fondamentale per evitare il pericolo di ridurre Dio a una semplice proiezione della nostra interiorità:

Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Dio (Rom. 10,17)

Se la fede si basasse esclusivamente sulle esperienze personali, rischieremmo di confondere il nostro vissuto interiore con la realtà trascendente di Dio. In questo modo, la teologia degenererebbe in antropologia, e la relazione con Dio si trasformerebbe in un monologo interiore privo di fondamento oggettivo:

Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa e insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo? (Ger. 17,9)

Proprio per questo motivo, le esperienze spirituali devono essere valutate alla luce della Scrittura e non viceversa, per evitare di essere ingannati da false percezioni o da spiriti seduttori (2 Tim. 3,16-17).


Il ruolo della Scrittura nel discernimento spirituale

La Parola di Dio è il criterio ultimo di verità. Il Messia stesso dichiarò: «La Tua Parola è Verità» (Giov. 17,17). Qualsiasi esperienza spirituale deve essere esaminata alla luce delle Scritture, per evitare di cadere in inganni spirituali o in false dottrine che, pur apparendo autentiche, potrebbero allontanarci dalla verità.

Nel corso della storia, molte eresie sono nate dall'elevazione dell'esperienza personale a fonte primaria della dottrina. Si pensi al misticismo gnostico, che poneva l'illuminazione soggettiva sopra la rivelazione biblica, o a certe correnti moderne che enfatizzano le emozioni e le manifestazioni spirituali senza verificarne la coerenza con la Bibbia:

Guardate che nessuno vi faccia sua preda con la filosofia e con vani inganni, secondo la tradizione degli uomini, secondo gli elementi del mondo e non secondo il Messia (Col. 2,8)

L'apostolo Paolo ammonisce chiaramente:

Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema (Gal. 1,8)

Questo ci insegna che nessuna esperienza, per quanto intensa o straordinaria, può contraddire la rivelazione biblica senza cadere nell'errore. Infatti, satana stesso si traveste da angelo di luce (2 Cor. 11,14), per questo il discernimento basato sulla Parola è essenziale per non cadere nelle sue macchinazioni.


L'equilibrio tra esperienza e dottrina

Ciò non significa negare il valore dell'esperienza spirituale. Dio si manifesta ai Suoi figli in modi profondi e personali, e la vita di fede è un cammino di incontro reale con Lui (Sal. 34,8). Tuttavia, la genuinità di queste esperienze deve essere sempre verificata attraverso la Scrittura e il discernimento spirituale.

Qualcuno potrebbe dire: "Io ho avuto esperienza di questo: niente e nessuno potrà mai farmi cambiare idea perché l'ho vissuto sulla mia pelle!". Bene, per "niente e nessuno" si intende anche la Bibbia? L'esperienza deve quindi essere subordinata alla dottrina, non il contrario! Quando la nostra vita spirituale è radicata nella Parola di Dio, allora le nostre esperienze possono diventare un mezzo di crescita nella fede, anziché un potenziale rischio di deviazione. La spiritualità deve essere ricondotta a una riflessione teologica sana, così come la teologia deve nutrirsi di una spiritualità autentica e biblicamente fondata senza appoggiarsi sul proprio discernimento (Prov. 3,5-6). Il "proprio" discernimento è un discernimento che non viene da Dio ma dalla carne, dalle proprie convinzioni, dai propri preconcetti, dai propri filtri teologici e dogmatici, dalle proprie scule di pensiero; poiché non a tutti viene dato il charisma del discernimento (1 Cor. 12).


Conclusione

In un'epoca in cui l'individualismo e il soggettivismo minacciano la purezza della fede, è essenziale ricordare che la nostra esperienza spirituale soggettiva non è un criterio sufficiente per determinare la verità. La Scrittura deve essere il metro di misura attraverso cui valutiamo ogni esperienza, evitando di cadere in illusioni o inganni. Solo ancorandoci alla verità rivelata possiamo vivere una fede autentica, in cui l'esperienza e la dottrina non si contrappongono, ma si armonizzano nel cammino verso il Messia:

Affinché non siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini, per l'astuzia con cui tendono insidie all'errore; ma, seguendo la verità nell'amore, cresciamo in ogni cosa verso Colui che è il Capo, cioè il Messia (Ef. 4,14-15)

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