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La legge naturale secondo la Bibbia

La legge di Dio non è opinabile
15 marzo 2025 di
La legge naturale secondo la Bibbia
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
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Introduzione

Da tempi immemori, filosofi, giuristi e teologi hanno cercato di rispondere a una domanda fondamentale: esistono principi morali e normativi che siano validi per tutti gli esseri umani, indipendentemente dalle leggi scritte e dalle convenzioni sociali? Questo interrogativo ha dato origine al concetto di "legge naturale", secondo il quale vi è un ordine oggettivo inscritto nella natura stessa dell’uomo e del mondo, accessibile alla ragione e vincolante per ogni società.

Il concetto di legge naturale non è un’invenzione moderna, ma affonda le sue radici nella filosofia greca, dove Aristotele parlava di un ordine intrinseco nelle cose e gli stoici sostenevano l’esistenza di un principio universale di giustizia. Nel Medioevo, Tommaso d’Aquino arricchì questa concezione, vedendo nella legge naturale un riflesso della legge eterna di Dio, conosciuto dall’uomo tramite la ragione. Seppur sviluppatasi in contesti diversi, tale idea ha influenzato pensatori come Locke e Montesquieu, che la posero alla base dei diritti fondamentali e della legittimità politica. Tuttavia, l’applicabilità di questa legge nell’etica e nel diritto contemporanei è ancora oggetto di dibattito.

In questo articolo, esploreremo le caratteristiche di tale concetto, il suo sviluppo storico e le sue applicazioni, tentando di comprendere se e come la legge naturale possa continuare a orientare la nostra società.


La legge naturale secondo la Bibbia:
il Decalogo e la distinzione dalle leggi di Mosè

Anche la Bibbia fa riferimento a un principio di legge naturale, simile a quello sviluppato dalla filosofia. Se nella riflessione filosofica la legge naturale è intesa come un ordine morale inscrito nella natura umana e conoscibile attraverso la ragione, la Scrittura ci offre un principio analogo: Dio ha impresso nel cuore dell’uomo la conoscenza del bene e del male. Tuttavia, la Bibbia distingue chiaramente tra la legge naturale universale, espressa nel Decalogo, e le leggi cerimoniali e civili date a Mosè, che, pur essendo approvate da Dio, non possiedono lo stesso carattere universale e immutabile.

La legge naturale e il Decalogo

Un passaggio cruciale per comprendere la legge naturale nella Bibbia si trova in Eccl. 3,11, dove si afferma:

Egli ha messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità; sebbene l’uomo non possa comprendere dal principio alla fine l’opera che Dio ha fatta.

Questo versetto sottolinea che Dio ha posto nell’uomo una consapevolezza innata dell’eternità e, di conseguenza, una percezione del bene e del male. L’espressione ebraica העולם (ha‘olam), tradotta come «l'eternità», indica non solo la durata non calcolabile del tempo, ma anche un ordine divino che permea la creazione, il quale manifesta la giustizia e la moralità di Dio. Tale consapevolezza del bene e del male è innata in ogni uomo, poiché l’uomo è stato creato a immagine di Dio (Gen. 1,27), portando in sé un riflesso della volontà divina.

Il Decalogo, cioè i Dieci Comandamenti dati da Dio sul Monte Sinai (Es. 20), non sono semplici precetti religiosi per Israele, ma manifestazioni della legge naturale divina, valida per ogni epoca e popolo. Comandamenti come «Non assassinare», «Non rapire», «Non commettere adulterio» e «Onora tuo padre e tua madre» sono principi universali che rispecchiano l’ordine morale inscritto nella creazione stessa, un ordine che trascende le convenzioni storiche e culturali. Oltre che essere "leggi naturali", andrebbero considerate anche "leggi della natura".

Le leggi di Mosè: norme contestuali e temporali

In aggiunta al Decalogo, la Bibbia riporta numerose altre leggi date a Israele attraverso Mosè, che regolavano la vita sociale, religiosa e civile del popolo. Pur essendo approvate da Dio, queste leggi non possiedono la stessa universalità e immutabilità del Decalogo, rispondendo a esigenze specifiche e storiche di Israele. Per esempio, le leggi sui sacrifici (Lev. 1—7) erano necessarie per l’antico culto ebraico, ma non fanno parte della legge naturale universale. Le norme sulla purezza rituale (Lev. 11—15) servivano a distinguere Israele dalle nazioni pagane, ma non sono vincolanti per tutti i popoli e tempi. Le leggi sul divorzio (Deut. 24,1-4) furono concesse da Mosè «a causa della durezza del cuore» degli uomini (Mt. 19,8), ma non rappresentavano il progetto originale di Dio.

Yeshua stesso sottolineò questa distinzione. Quando gli fu chiesto del divorzio, rispose che in principio Dio aveva stabilito l’indissolubilità del matrimonio, ma che Mosè aveva concesso il divorzio come misura temporanea per la fragilità del popolo (Mt. 19,3-9). Questo ci insegna che alcune leggi mosaiche erano adattamenti alle condizioni storiche di Israele, mentre la legge naturale divina resta immutabile.


Legge naturale e Scritti Apostolici

Il concetto di legge naturale viene ripreso anche nelle Scritture Apostoliche, in particolare nelle parole di Paolo in Rom. 2,14-15:

Quando i pagani, che non hanno Torah, adempiono per natura le cose della Torah, essi, che non hanno Torah, sono Torah a sé stessi; essi mostrano che l’opera della Torah è scritta nei loro cuori, ne rendono testimonianza la loro coscienza e i loro pensieri.

Questo passo conferma che la Torah di Dio non è solo qualcosa di esterno, ma è inscritta nel cuore di ogni uomo. Anche chi non ha ricevuto la rivelazione biblica può riconoscere i principi morali fondamentali attraverso la propria coscienza. La coscienza, quindi, diventa una sorta di "tribunale interiore", che approva o condanna le azioni degli uomini in base a una moralità oggettiva.

Una persona sa innatamente che non bisogna uccidere né rubare, così come un uccellino sa costruire un nido o un ragno una ragnatela, senza che nessuno li abbia istruiti a farlo.

Inoltre, Paolo ci insegna che ogni uomo sarà giudicato non solo in base alla legge rivelata, ma anche in base alla risposta data alla propria coscienza. Rom. 1,20 afferma che

le perfezioni invisibili di Dio, la Sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere Sue

rendendo evidente che nessuno ha scuse davanti a Dio.


L'incoerenza di una lettura parziale del Decalogo

Un problema che spesso emerge riguarda l’incoerenza di coloro che accettano i Dieci Comandamenti solo parzialmente, ignorando aspetti fondamentali del Decalogo. Un esempio lampante è la santificazione dello Shabbat. Molti riconoscono l’autorità del Decalogo nel proibire l’omicidio, il furto o l’adulterio, ma ignorano deliberatamente il quarto comandamento che ordina non a un popolo ma a tutta l'umanità di santificare il giorno di riposo, lo Shabbat.

E non è un caso che anche altre culture del Vicino Oriente antico avevano un legame particolare con il "settimo giorno", interrompendo ogni attività lavorativa (ANET).

Tuttavia, lo Shabbat non è semplicemente un precetto rituale destinato esclusivamente a Israele, ma rappresenta un principio più ampio: il riconoscimento del tempo sacro e del riposo come parte della volontà divina per l’uomo.

Il principio dello Shabbat ha radici nella creazione stessa. In Gen. 2,2-3 leggiamo che

Dio, dopo aver completato l’opera della creazione, si riposò il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatto. E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò

Questo mostra che il riposo sabbatico precede la Legge mosaica ed è inscritto nell’ordine divino della creazione, rendendolo parte integrante della legge naturale o legge della natura. Lo Shabbat è quindi un segno della relazione tra Dio e l’umanità, un invito al riposo fisico e spirituale, un richiamo alla fiducia nella provvidenza divina. Yeshua, inoltre, affermò: «Lo Shabbat è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per lo Shabbat» (Mc. 2,27), ricordandoci che il riposo sabbatico è un dono, non un peso legalistico.

Bisogna porre attenzione alle parole del Maestro, il quale disse che lo Shabbat è stato fatto «per l'uomo» non «per l'ebreo», estendendo quindi questo principio naturale universale all'intero genere umano non a un popolo in particolare!


Conclusione

La distinzione tra il Decalogo come legge naturale universale e le leggi mosaiche come norme temporanee è essenziale per comprendere il piano di Dio nella storia della salvezza. La legge naturale di Dio è eterna, inscritta nel cuore dell’uomo e confermata dalla rivelazione del Messia. Chi non ha ancora ricevito questa rivelazione continuerà a contemplare il Decalogo sempre e solo in modo parziale e marginale. Nove comandamenti su dieci sono validi per tutti, uno solo per gli ebrei. Questo è falso.

Le leggi date a Mosè, invece, hanno avuto un ruolo specifico nella storia di Israele, ma non sono vincolanti per tutta l’umanità. Riconoscere la legge naturale impressa da Dio nel cuore dell’uomo ci permette di comprendere il senso profondo della moralità e della giustizia, richiamandoci alla responsabilità di seguire non solo le leggi esteriori, ma la voce della coscienza illuminata dalla rivelazione di YHWH.

A Dio sia la gloria, e siano santificati tanto il Suo Nome quanto il Suo giorno special, che non è la domenica!

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