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La Trinità nei quattro Vangeli

Tre che operano, Uno che rivela: La Trinità nella struttura dei Vangeli
7 aprile 2025 di
La Trinità nei quattro Vangeli
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
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Introduzione: il linguaggio silenzioso della rivelazione

C’è una bellezza nascosta nella Scrittura che spesso sfugge a chi la legge con occhio distratto o mente già colma di convinzioni precostituite. La rivelazione divina non è soltanto nei contenuti espliciti, nei miracoli clamorosi o nei discorsi solenni di Yeshua. A volte, è proprio nella struttura, nella forma, nella composizione stessa della Bibbia, che Dio lascia impresso il Suo volto, come un’impronta eterna sulla sabbia della storia.

I quattro Vangeli canonici sono stati letti, studiati, commentati per secoli, eppure c’è un dettaglio che continua ad affascinare e interrogare: perché quattro? Perché tre Vangeli simili, quasi paralleli, e un quarto completamente diverso, unico nel suo genere, a tratti quasi “alieno” rispetto agli altri?

La suddivisione tra sinottici (Matteo, Marco e Luca) e il quarto Vangelo (Giovanni) non è soltanto accademica o letteraria. È, in realtà, un riflesso della rivelazione trinitaria. Nei tre sinottici, infatti, possiamo scorgere, con occhio attento e spirito desto, una manifestazione distinta delle tre Ipostasi o Persone divine. Non che gli autori abbiano scritto con l’intento esplicito di “spiegare la Trinità” — sarebbe anacronistico e teologicamente forzato affermarlo — ma è evidente che lo Spirito, che ha ispirato questi testi, ha saputo orchestrare un disegno straordinario: quello di mostrare le tre Persone all’opera nella storia della salvezza, ciascuna con un accento particolare, ma tutte orientate verso un unico fine: la redenzione dell’umanità.


Il Padre, il Figlio, lo Spirito: tre sinottici, tre riflessi dell’Eterno

Nel Vangelo secondo Matteo, emerge con forza la figura del Padre, il Dio delle promesse, il Dio d’Israele, che muove la storia verso il compimento. Yeshua è presentato come il Re-Messia atteso, figlio di Davide e figlio di Abraamo, Colui nel quale ogni parola data da Dio trova la sua realizzazione. Il Regno dei cieli è il tema ricorrente, e la volontà del Padre è la bussola che guida l’azione del Figlio. La paternità divina in Matteo non è una cornice poetica, ma una forza che regge tutto il racconto, dalla genealogia fino al mandato finale: 

Andate dunque e fate discepoli [...] battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (28,19)

Marco, invece, si concentra sul Figlio nella Sua piena obbedienza, nel Suo abbassamento. È un Vangelo asciutto, essenziale, che racconta più i fatti che le parole. Yeshua vi appare come il Servo, l’Uomo di dolore, Colui che non è venuto per essere servito ma per servire e dare la Sua vita in riscatto per molti (10,45). La Sua identità divina è svelata con pudore, quasi con riservatezza, fino a esplodere sulla croce, quando persino un centurione romano esclama: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!» (15,39). In Marco, è il Figlio che agisce, che guarisce, che perdona, che combatte contro le tenebre, mostrando con i fatti di essere Dio fatto carne.

Luca, da parte sua, mette in risalto l’opera dello Spirito Santo. Dall’inizio alla fine, lo Spirito aleggia sulle pagine: concepisce il Figlio nel grembo di Maria (1,35), discende su Yeshua al battesimo (3,22), lo conduce nel deserto (4,1), lo accompagna nel Suo ministero e viene promesso come dono supremo ai discepoli. Luca mostra un Yeshua profondamente umano, compassionevole, vicino ai peccatori e agli emarginati, eppure sempre mosso da un vento divino. Lo stesso Spirito che inaugura la Sua missione terrena sarà anche il protagonista del “secondo volume” lucano, il libro degli Atti.

Così, nei tre sinottici, Padre, Figlio e Spirito Santo si rivelano nel loro agire distinto ma armonico, in una coreografia divina che attraversa il tempo e la carne. È come se il lettore fosse guidato, pagina dopo pagina, a contemplare la Trinità nella Sua economia, cioè nel modo in cui Dio si manifesta e opera nel mondo.


Il Quarto Vangelo: il Verbo che rivela la gloria del Dio uno

Ma quando si apre il Vangelo secondo Giovanni, il tono cambia. Il linguaggio si fa più alto, più profondo, quasi mistico. Non ci sono genealogie né parabole, non ci sono racconti dell’infanzia o cronache dettagliate dei miracoli. C’è una sola cosa in primo piano: la Deità del Verbo.

Nel principio era il Verbo, il Verbo era con Dio, e il Verbo era Dio (1,1).

Se nei sinottici vediamo le tre Persone all’opera, in Giovanni ci troviamo al cospetto dell’essenza divina stessa, rivelata nel Figlio.

In Giovanni, Yeshua parla come chi viene dall’alto, come Colui che ha visto il Padre (6,46), che è Uno con Lui (10,30), che condivide la Sua gloria da prima che il mondo fosse (17,5). Ma non solo: è in questo Vangelo che troviamo anche la spiegazione più chiara della relazione tra le tre Persone divine. Il Padre manda il Figlio; il Figlio compie la volontà del Padre; lo Spirito viene inviato dal Padre nel nome del Figlio (14,26). Qui non c’è confusione, né sovrapposizione: c’è unità perfetta, coesistenza eterna, amore reciproco.

Ed ecco che il “misterioso” 3 = 1 acquista senso. Tre Vangeli che ci fanno contemplare le Persone, uno che ci fa entrare nella sostanza unica del Dio trino. Una rivelazione progressiva, sapiente, voluta. Non una coincidenza redazionale, ma un disegno divino. Tre che operano nella storia, uno che rivela il mistero eterno. Tre manifestazioni dell’amore trinitario, un’unica voce che dice:

Chi ha visto Me, ha visto il Padre (14,9)

La luce dopo l’ombra: una confessione personale

A questo punto del discorso, non posso che abbandonare l’analisi per un momento e lasciare che la mia esperienza personale emerga. Per un tempo non breve, la Trinità è stata per me un mistero sospetto, un’idea respinta più per reazione che per ragione. Troppe voci contrastanti, troppi schemi mal presentati, troppe dottrine imposte come dogmi da digerire senza gusto. Così, pur amando Dio, mi sono ritrovato a cercarlo senza accettare ciò che Egli stesso aveva rivelato.

Ho rigettato la Trinità non perché fosse oscura, ma perché mi era stata oscurata. Non perché fosse falsa, ma perché non avevo occhi per vederne la verità. Poi, come un’alba dopo una lunga notte, Dio ha cominciato a rischiarare la mia mente. Lo ha fatto con pazienza, attraverso lo studio serio della Scrittura, ma anche — e soprattutto — attraverso momenti di rivelazione interiore che nessun libro poteva darmi. È stato come se l’intelletto e lo spirito si fossero incontrati, e da quell’unione fosse nato un nuovo sguardo.

Oggi, non solo comprendo, ma contemplo. Vedo la Trinità nei Vangeli non come una teoria astratta, ma come una presenza viva, come un amore eterno che ha deciso di manifestarsi nella storia per redimermi. E nel riconoscere ciò che prima avevo rigettato, non provo vergogna, ma una commozione profonda. Perché senza la fede che avevo un tempo — quella, seppur imperfetta, che mi ha tenuto in cammino — non avrei mai potuto ricevere questa luce. E ora che la vedo, ora che l’ho toccata con l’anima, non posso più guardare Dio come prima.

Tre Persone, un solo Dio. Un solo amore, rivelato in quattro Vangeli. Una sola gloria, eterna, indivisibile.


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