Introduzione
La tradizione cristiana ha spesso affermato con sicurezza che il «discepolo che Yeshua amava», menzionato più volte nel Vangelo secondo Giovanni, fosse l'apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Questa convinzione, radicata nella storia della Chiesa post-aspostolica, è stata accolta senza troppe obiezioni per secoli. Tuttavia, una lettura critica e attenta del testo biblico rivela una verità sorprendente: il Vangelo non fornisce mai un'identificazione esplicita di questo discepolo. Questa omissione, lungi dall'essere una semplice casualità o una dimenticanza, appare piuttosto come una scelta deliberata da parte dell'autore del quarto Vangelo. Perché mai egli avrebbe mantenuto nell'ombra l'identità di una figura tanto centrale?
Se Giovanni fosse davvero il discepolo amato, perché non dirlo apertamente? Il fatto che il testo non lo indichi mai per nome suggerisce che la questione non sia così semplice come la tradizione ci ha portato a credere. In effetti, il problema non riguarda solo un nome, ma tocca aspetti più profondi della struttura narrativa, della teologia giovannea e della funzione di questo misterioso personaggio nel messaggio evangelico.
L'assenza del nome e l'intento dell'autore
Ogni volta che il Vangelo di Giovanni menziona questo discepolo che Yeshua amava, lo fa senza mai svelarne il nome. Un dato del genere non può essere trascurato, poiché l'autore dimostra in tutto il suo scritto di essere estremamente attento ai dettagli e di possedere una profonda coerenza narrativa. Se l'anonimato di questa figura ricorre in episodi chiave del racconto — l'Ultima Cena (Giov. 13,23-25), la crocifissione (Giov. 19,26-27), la scoperta del sepolcro vuoto (Giov. 20,2-8) e l'apparizione presso il lago di Tiberiade (Giov. 21,7.20-24) — allora bisogna chiedersi quale possa essere lo scopo di tale scelta. Secondo Raymond E. Brown, insigne biblista, questa assenza del nome non può essere interpretata come un dettaglio trascurabile, bensì come una precisa strategia narrativa tesa a lasciare aperta l'identità del personaggio per favorire una lettura più ampia e coinvolgente.
La tradizione e la sua base scritturale
L'attribuzione di questa figura a Giovanni, figlio di Zebedeo, non si basa su un chiaro riferimento biblico, ma sulla testimonianza della tradizione ecclesiastica. Già nel II secolo, Ireneo di Lione affermava che il quarto Vangelo fosse stato scritto dall'apostolo Giovanni (Adversus Haereses), e di conseguenza si è ritenuto naturale che il discepolo amato fosse lo stesso autore del quarto Vangelo. Tuttavia, questa identificazione si regge più su un'ipotesi consolidata nel tempo che su prove scritturali evidenti. Martin Hengel, studioso di Cristianesimo delle origini, suggerisce che la tradizione giovannea potrebbe aver assegnato il Vangelo a Giovanni più per ragioni apologetiche e di autorità che per un'autentica attribuzione storica.
Se dunque la tradizione si basa su supposizioni piuttosto che su prove bibliche, quali sono gli indizi che potrebbero effettivamente sostenere l'identificazione del discepolo amato? Alcuni studiosi hanno cercato di individuare passaggi che possano collegare Giovanni a questa figura, ma senza risultati definitivi.
Passaggi biblici ambigui e alternative interpretative
I tentativi di individuare un collegamento tra Giovanni e il discepolo amato da Yeshua si scontrano con l'ambiguità dei testi. Giov. 21,2-7 elenca alcuni discepoli presenti alla pesca miracolosa, tra cui «i figli di Zebedeo», ma non stabilisce un legame diretto con il discepolo amato. Inoltre, Giov. 21,20-24, pur chiudendo il Vangelo con un riferimento a questa figura, non chiarisce la sua identità.
Ben Witherington III, come anche Cullmann citato da Bruno Corsni, ha proposto una lettura alternativa, suggerendo che il discepolo che Yeshua amava possa essere Lazzaro. La motivazione sta nel fatto che Giov. 11,3.5.36 sottolinea come Yeshua amasse Lazzaro, un dettaglio che non viene mai esplicitaente detto per Giovanni, figlio di Zebedeo; inoltre, Lazzaro fa parte della comitiva di Yeshua e senza essere mai indicato fra i Dodici. A rafforzare questa tesi è la reazione di Yeshua nell'apprendere la notizia della morte di Lazzaro: «Yeshua pianse» (Giov. 11,35), un pianto che si può manifestare nei confronti di una persona che si ama in modo particolare.
Inoltre, se il discepolo amato è presente all'Ultima Cena, come si spiega che Giovanni stesso non venga mai esplicitamente nominato in quella scena? Il citato Corsani, della sua Introduzione al Nuovo Testamento, sostiene che la mancata identificazione sia voluta, perché il vero protagonista non è l'individuo, ma il concetto di discepolo amato da Yeshua. Similmente, Daniel Marguerat, curatore di una Introduzione al Nuovo Testamento, riporta il punto di vista di Jean Zumstein, secondo cui in primo luogo l'autore del quarto Vangelo non è un testimone oculare; in secondo luogo, il discepolo che Yeshua amava deve essere interpretato come una figura simbolica che rappresenta ogni autentico credente.
L'intento teologico e il coinvolgimento del lettore
L'anonimato del discepolo amato, dunque, non è una semplice mancanza di informazione, ma una scelta stilistica e teologica dell'autore biblico. Richard Bauckham evidenzia che il Vangelo di Giovanni fa largo uso della testimonianza oculare e della memoria collettiva, e la mancata identificazione potrebbe avere lo scopo di coinvolgere direttamente il lettore, invitandolo a riconoscersi nel discepolo amato.
L'autore del quarto Vangelo non vuole proporre un eroe specifico che, inevitabilmente, avrebbe suscitato gelosia tra gli altri discepoli, ma un modello di fede che tutti i credenti possano abbracciare. Se il discepolo amato fosse stato identificato chiaramente con Giovanni, la sua figura sarebbe diventata esclusiva. Ma rimanendo anonimo, il discepolo amato diventa il simbolo di ogni persona che sperimenta l'amore del Messia.
Conclusione
Alla luce di queste riflessioni, emerge con maggiore evidenza come l'identificazione del discepolo che Yeshua amava con Giovanni, figlio di Zebedeo, non trovi un fondamento scritturale esplicito, ma si radichi piuttosto in una tradizione successiva, potenzialmente influenzata da esigenze ecclesiali più che da un'attendibile ricostruzione storica. L'anonimato deliberato di questa figura sembra configurarsi, piuttosto, come una scelta narrativa volta a coinvolgere il lettore, invitandolo a immedesimarsi nel ruolo del discepolo prediletto. In tal senso, ogni credente è implicitamente chiamato a riconoscersi come il discepolo amato, divenendo testimone personale dell'amore del Signore Yeshua.
È interessante osservare come, in ambito evangelico, si tenda frequentemente a criticare il Cattolicesimo per il suo ricorso alla tradizione dei padri della Chiesa, senza tuttavia riconoscere che tale dinamica è presente anche nelle loro stesse affermazioni. L'attribuzione del titolo di discepolo amato a Giovanni, infatti, si fonda su un'eredità interpretativa che, pur non essendo attestata direttamente nelle Scritture, viene accettata e tramandata come dato acquisito. Se, tuttavia, questo discepolo portasse realmente il nome Giovanni, resta una questione irrisolta. Qualunque altra posizione distante dai dati oggettivi a disposizione è, a mio avviso, speculativa.
Bibliografia
- Brown, Raymond E., The Community of the Beloved Disciple. Paulist Press, 1979.
- Hengel, Martin, The Johannine Question. SCM Press, 1989.
- Witherington III, Ben. John’s Wisdom: A Commentary on the Fourth Gospel. Westminster John Knox Press, 1995.
- Corsani, Bruno, Introduzione al Nuovo Testamento. Claudiana, Torino 1991, pp. 313-316.
- Marguerat, Daniel (a cura di), Introduzione al Nuovo Testamento. Claudiana, Torino 2004, pp. 384-386.
- Bauckham, Richard, Jesus and the Eyewitnesses: The Gospels as Eyewitness Testimony. Eerdmans, 2006.