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Parashat Beshallach (Es. 13,17—17,16)

Attraversare le acque del giudizio
10 maggio 2025 di
Parashat Beshallach (Es. 13,17—17,16)
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
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Introduzione

Nella vicenda biblica, le acque svolgono un ruolo ambivalente: da un lato sono elemento di giudizio e distruzione, come nel diluvio o nel Mar Rosso; dall’altro, diventano veicolo di salvezza e rivelazione, come il fiume Giordano o il mare su cui cammina Yeshua.

In questa meditazione, esploreremo come il tema delle acque collegandole attraverso un filo conduttore che evidenzia il concetto di יַבָּשָׁה (yabashah), letteralmente «terra asciutta», lo spazio di fede che Dio crea nel cuore delle acque. Questa terra asciutta non è semplicemente un luogo fisico, ma un percorso spirituale in cui l’uomo è chiamato a camminare in fede, nonostante la tempesta che lo circonda.


Parashah (Esodo 15,24)

La yabashah come spazio di salvezza

Il contesto della nostra parashah è drammatico: il popolo d’Israele ha appena lasciato l’Egitto, ma si trova intrappolato tra l’esercito del Faraone e le acque del Mar Rosso. Qui, Dio ordina a Mosè di alzare il bastone e le acque si aprono, creando un passaggio su yabashah, terra asciutta. Questo termine ricorre in modo strategico (cfr. Gen. 1,9), non come semplice descrizione geografica, ma come un concetto teologico profondo.

La yabashah rappresenta lo spazio sicuro in mezzo al caos delle acque. È il luogo in cui Dio opera la salvezza non solo fisica, ma anche spirituale, invitando Israele a passare attraverso la prova con fede. L’acqua, simbolo di giudizio e distruzione per gli egiziani, diventa per Israele un veicolo di salvezza. Ma la yabashah non è un luogo statico: richiede movimento, richiede fede attiva. Non è sufficiente guardare il cammino aperto da Dio; occorre camminarvi attraverso, sfidando la paura e il dubbio.

Il popolo d’Israele sperimenta una salvezza che non è solo una liberazione dal nemico esterno, ma una chiamata alla fiducia nel Dio che può trasformare le acque di morte in un cammino di vita. Eppure, subito dopo il passaggio, Israele mormora contro Mosè per la mancanza d’acqua nel deserto (Es. 15,24). La yabashah, dunque, è un simbolo potente: il miracolo dell’attraversamento non basta se non è accompagnato da una fede che persiste anche nella sete del deserto.


Haftarah (Giudici 5,20)

Acque come strumento di giudizio

La yabashah riappare, in forma differente, nella vicenda di Deborah e Barak. In questa narrazione, il torrente Kishon gioca un ruolo centrale. Qui le acque non si aprono per salvare, ma si gonfiano per giudicare. Sisera, il temibile generale cananeo, viene sconfitto quando il torrente si trasforma in un’arma contro di lui, travolgendo i suoi carri di ferro.

Debora canta:

Dal cielo le stelle combatterono, dai loro sentieri combatterono contro Sisera (Gdc. 5,20)

Le acque del Kishon, apparentemente innocue, diventano strumento di giustizia divina, rendendo vano il potere dell’oppressore. Anche qui emerge il concetto di yabashah: mentre Sisera affonda nel fango del torrente, Israele ritrova la propria stabilità sulla terra asciutta, liberata dalla minaccia nemica.

Deborah non è solo una profetessa; è un modello di fede che trasforma un campo di battaglia in un luogo di rivelazione. Proprio come Mosè aveva aperto le acque per Israele, Deborah utilizza le acque per sconfiggere il nemico. Il torrente, che per Sisera è un campo di morte, diventa per Israele un segno della fedeltà di Dio, che non dimentica il Suo popolo e lo guida su «terra asciutta» anche nelle battaglie della vita.


Bseorah (Matteo 14,22-33)
La yabashah come spazio di fede

Infine, arriviamo a uno degli episodi più iconici delle Scritture Apostoliche: Yeshua cammina sulle acque. Mentre i discepoli lottano contro le onde, Yeshua appare, sfidando le leggi naturali. Egli non apre le acque come Mosè, né le utilizza per giudicare come Deborah, ma le domina, camminandovi sopra come se fossero yabashah.

Il concetto di yabashah assume qui una dimensione spirituale: Yeshua non crea un sentiero fisico, ma un cammino di fede in mezzo alla tempesta. Quando Pietro chiede di camminare verso di Lui, Yeshua risponde con una parola potente: θαρσέω (tharseo), «abbi coraggio». È lo stesso invito che Dio aveva rivolto a Israele di fronte al Mar Rosso: non temere, cammina!

Pietro inizia a camminare, ma quando distoglie lo sguardo da Yeshua e osserva le onde, inizia ad affondare. La yabashah spirituale è persa nel momento in cui la fede viene sostituita dal dubbio. Ma anche qui, Yeshua tende la mano, rivelando che la salvezza non è solo nel camminare sulle acque, ma nel riconoscere la Sua presenza come il punto fermo in mezzo alla tempesta.


Conclusione

Attraverso queste tre porzioni, vediamo come il concetto di yabashah non sia semplicemente uno spazio fisico, ma una dimensione spirituale in cui Dio chiama i Suoi figli a camminare con fede. Sia nel Mar Rosso che nel Kishon o nel mare di Galilea, le acque rappresentano le prove, le tempeste, le forze che tentano di sopraffarci. Ma Dio non ci chiama a evitare le acque, bensì a camminarvi attraverso, cercando la yabashah, la terra asciutta, il punto fermo che Egli stesso crea per noi.

👣Invito all'azione
E tu, dove ti trovi oggi? Sei circondato dalle onde delle difficoltà? Senti il nemico che ti insegue o la tempesta che minaccia di travolgerti? Ricorda che la yabashah è già stata creata. Ma per camminarvi sopra, occorre mantenere lo sguardo fisso su Yeshua, il Signore delle acque. Tharseo! Abbi coraggio, perché anche nel cuore della tempesta, la terra asciutta è lì. Sta a te camminarvi sopra con fede, senza distogliere lo sguardo dal Messia che ti tende la mano.

Ascolta la parashah di Daniele Salamone (04/02/2023)


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