Introduzione
Le Scritture non ci parlano solo di eventi storici e decisioni spirituali, ma di momenti critici in cui il cuore dell’uomo si misura con la verità del proprio servizio. Siamo giunti all'ultima porzione del Genesi, che chiude sia il primo libro della Torah che il ciclo dei patriarchi. In questa ultima sessione incontriamo tre grandi uomini — Giacobbe, Davide e Yeshua — ciascuno alla soglia della morte, nel momento più vulnerabile e autentico della vita. Ed è proprio in quell’ora che emerge con forza un tema sottile ma potentissimo: il gesto consapevole del servire, radicato nella benedizione.
Parashah (Genesi 48,15)
Giacobbe: benedire servendo
Il patriarca Giacobbe, ormai prossimo alla morte, chiama i suoi figli per benedirli. Tuttavia, ciò che colpisce non è solo il contenuto delle benedizioni, ma il modo in cui egli serve il futuro di Israele, nonostante la vecchiaia e la debolezza. In Gen. 48,15, benedice Giuseppe e i suoi figli con parole che affondano nella memoria della fedeltà divina:
HaElohim asher hithallekhu avotai lefanav...
Il Dio davanti al quale camminarono i miei padri...
Il verbo הִתְהַלְּכוּ (hithalleku) è in forma verbale Hitpa‘el, che è riflessiva: i padri non «camminarono» semplicemente, ma «si fecero camminare», un atto deliberato e continuo di camminare con Dio. Qui si rivela un dettaglio prezioso: camminare con Dio non è automatico; è un servizio costante, un’auto-disciplina relazionale.
Giacobbe, benedicendo, serve. Non cerca gloria, ma trasferisce destino. Il suo è un servizio sacerdotale, profetico, paterno. Nel gesto della benedizione c’è l’essenza del vero servitore: prepara altri a ciò che lui non vedrà.
Haftarah (1 Re 2,1-12)
Davide: servire con autorità e discernimento
In 1 Re 2, Davide parla a Salomone, suo figlio, nei momenti finali della sua vita. Gli consegna non solo un regno, ma una chiamata morale e strategica:
Sii forte, sii uomo, e osserva ciò che YHWH, il tuo Dio, ti ha ordinato (1 Re 2,2-3)
Ma poi, sorprendentemente, Davide dà anche ordini di giustizia e vendetta — in particolare riguardo a Ioab e Shimi. Alcuni leggono in questi versetti contraddizione o cinismo. Ma un occhio "ebraico" riconosce la profondità del gesto: Davide non si sottrae al difficile servizio del discernere, e sa che il vero amore per la Torah richiede anche giustizia applicata, non solo teoria spirituale.
Davide, come Giacobbe, usa le sue ultime parole per servire. Il suo servizio non è emotivo, ma radicato nella fedeltà al patto e nella realpolitik del regno. Anche in questo caso, il morente si fa pastore del futuro, conducendo un’ultima volta il suo gregge.
Besorah (Giovanni 13,1-19)
Yeshua: benedire lavando i piedi
Nel Vangelo di Giovanni, Yeshua sa che l’ora è giunta. In quella che è chiamata la “Lavanda dei piedi”, si alza da tavola, depone le Sue vesti, prende un asciugamano e lava i piedi dei discepoli. È uno dei gesti più intensi del suo ministero.
Il versetto 13,1 dice:
Sapendo che era giunta la Sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i Suoi... li amò sino alla fine.
Il verbo usato è ἀγαπάω (agapáo), ma è l’espressione «sino alla fine» (εἰς τέλος) che merita attenzione. In ebraico, potremmo renderlo con עַד סוֹף ('ad sof) – fino al compimento, al culmine. Non si tratta solo di una misura temporale, ma dell’intensità massima dell’amore: un amore che serve fino all’ultimo respiro.
Yeshua, proprio come Giacobbe e Davide, sceglie di servire nel momento in cui avrebbe potuto essere servito. Non è debolezza, ma autorità che si piega per sollevare gli altri. Quando dice:
Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto Io, facciate anche voi (Giov. 13,15)
sta stabilendo un principio eterno: la vera grandezza si misura nel servire con amore, anche in silenzio, anche nella notte del tradimento.
Una parola che li unisce: עֶבֶד (‘eved) – servo
Tutti e tre i testi condividono un termine, esplicitamente o implicitamente: עֶבֶד (‘eved), servo. Giacobbe è servo nella benedizione. Davide è servo nella giustizia. Yeshua è servo nell’umiliazione gloriosa.
Ma in ebraico, ‘eved deriva dalla radice עבד (‛bd), che implica lavoro, culto, dedizione. Non è un termine dispregiativo, bensì una posizione elevata davanti a Dio. È lo stesso termine usato per Mosheh ‘eved YHWH (Mosè servo di YHWH). Ed è lo stesso spirito che anima i tre uomini nei loro momenti finali: non cercano titoli, ma eredità spirituali.
Conclusione
Questa meditazione ci invita a rivedere il nostro modo di servire. Non si tratta solo di azioni pratiche, ma di uno spirito che benedice, che giudica con discernimento, che lava i piedi anche quando nessuno guarda. Oggi, più che mai, il mondo ha bisogno di uomini e donne che siano ‘avadim nel senso più nobile: servi fedeli, pieni di discernimento, capaci di amare “ino alla fine.
- Domanda per riflettere: nel nostro cammino, stiamo cercando l’onore degli uomini o la benedizione segreta che solo Dio vede?
- Invito all’azione: scegli oggi un atto concreto di servizio umile, silenzioso, autentico. Che sia una parola di benedizione, una decisione di giustizia o un gesto d’amore nascosto. Lascia che il tuo servizio parli più forte delle tue parole.
Shalom uv’rakhah – pace e benedizione su di te!
Guarda la parashah del moreh (07/01/2023)
Per approfondire questa parashah, si consiglia la lettura del Nuovissimo Commento alla Torah dedicato al Genesi.