Passa al contenuto

Quando la Bibbia scandalizza

Deuteronomio 21,18-21. Il figlio ribelle va davvero lapidato?
18 aprile 2025 di
Quando la Bibbia scandalizza
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
| Ancora nessun commento

Introduzione

Se un uomo ha un figlio caparbio e ribelle, che non ubbidisce alla voce di suo padre né di sua madre e che non dà loro retta neppure dopo che l'hanno castigato, suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della sua città, alla porta della località dove abita, e diranno agli anziani della sua città: «Questo nostro figlio è caparbio e ribelle; non vuole ubbidire alla nostra voce, è senza freno e ubriacone»; allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno a morte. Così toglierai via di mezzo a te il male, e tutto Israele lo saprà e temerà.

Uno dei testi più fraintesi e frequentemente citati come esempio di presunta brutalità della Bibbia e di Dio stesso è Deut. 21,18-21. Il passo recita che un figlio ostinato e ribelle, che non ubbidisce ai genitori e disdegna ogni correzione, può essere condotto davanti agli anziani della città e, su testimonianza dei genitori, messo a morte tramite lapidazione. A una lettura superficiale, questo testo appare disumano, crudele, e incompatibile con l’immagine di un Dio giusto e amorevole. Eppure, fermarsi alla superficie è proprio il contrario di ciò che la Bibbia richiede a chi la legge con timore di Dio: la Scrittura va compresa nel suo contesto storico, culturale, giuridico e teologico. Solo così essa rivela la sua reale natura: non un codice spietato, ma una rivelazione pedagogica, giuridicamente evoluta per il suo tempo, e spiritualmente profonda.


La vera natura del testo

📜 Contesto giuridico: la Torah nel suo tempo

Il Deuteronomio non nasce in un vuoto etico. È parte di un corpo giuridico che, nel mondo antico, rappresentava una netta evoluzione rispetto alle leggi delle civiltà circostanti. In una cultura patriarcale dove il potere del padre era assoluto (incluso il diritto di vita e di morte sui figli), la Torah invece introduce un limite alla vendetta privata e al potere genitoriale:

  • non è il padre a decidere arbitrariamente, ma la comunità giudicante, composta dagli anziani alla porta della città.

Questo è già rivoluzionario: non è più ammessa l’esecuzione sommaria. La Torah stabilisce che nessuno può essere punito se non dopo un procedimento pubblico e comunitario, con l'intervento di testimoni (i genitori) e di giudici (gli anziani). La Torah, quindi, non insegna a lapidare il figlio per un capriccio [né a divorziare dalla moglie per un qualsiasi motivo], ma istituisce un protocollo di giustizia comunitaria, con lo scopo di salvaguardare l’integrità della società e il rispetto dell’autorità familiare, fondamento della coesione sociale nell’antico Israele.

✊ Il figlio: non un adolescente ribelle, ma un deviante cronico

Il testo ebraico parla di un בן סורר ומורה (ben sorer u’moreh) – un figlio ostinato e ribelle. Le parole usate non indicano un ragazzino che risponde male, ma una persona adulta, moralmente deviata, che rifiuta ogni forma di disciplina. Inoltre, il testo specifica che è «senza freno e ubriacone» – due termini che nel linguaggio biblico indicano uno stile di vita dissoluto, irresponsabile, distruttivo per sé e per gli altri. Non si tratta quindi di un ragazzino che fuma di nascosto, ma di un pericolo sociale conclamato.

Secondo il Talmud Babilonese (Sanhedrin 68b), per fare sì che il figlio venisse condannato a morte, dovevano configurarsi dei requisiti specifici che rendevano l'applicazione di questo precetto quasi impossibile. I rabbini stabilirono che il figlio doveva avere essere condotto a morte

  • «entro tre mesi» da un precedente peccato (furto di denaro ai genitori per consumare un abbondante pasto a base di carne e vino in compagnia di uomini dei "bassifondi", cfr. Prov. 23,20-21);
  • che entrambi i genitori dovevano essere viventi, con la stessa voce, altezza e aspetto fisico (Mishnah Sanhedrin 71a,4 ss). Il rabbino Yehudah interpreta il versetto di Deut. 21,20 come indicante che i genitori devono avere voci identiche. Da questa interpretazione, egli deduce ulteriori requisiti: se le voci devono essere identiche, allora anche l'aspetto e l'altezza devono esserlo.

Tutto questo per dimostrare l’estrema difficoltà di condurre a termine questo tipo di giudizio. Il messaggio implicito secondo i saggi? Questo testo è preventivo, non prescrittivo.

🎓 Funzione pedagogicae deterrente

La clausola finale «così toglierai il male di mezzo a te, e tutto Israele udrà e temerà» (v. 21) rivela lo scopo reale del testo: creare un monito pubblico contro la degenerazione morale. Come molte leggi antiche, la sua funzione principale è didattica e deterrente, non semplicemente punitiva. Si tratta di un esempio estremo, simbolico, volto a preservare l’ordine morale e spirituale del popolo.

Poi, naturalmente, qualora la ribellione del figlio si fosse davvero configurata nei termini estremi previsti dalla Torah, la pena veniva applicata in modo letterale. Una minaccia priva di concretezza, infatti, perde la sua efficacia educativa: una legge che non si attua quando se ne verificano le condizioni diventa una finzione, un codice disarmato, un monito che si svuota di autorità. In una società fondata sul timore del Signore e sulla giustizia comunitaria, non attuare ciò che è stato dichiarato come giusto e necessario equivaleva a compromettere la credibilità della legge stessa e a trasformare il principio di correzione preventiva in parola vana. Perciò, la coerenza tra minaccia e attuazione era percepita non come crudeltà, ma come giustizia fedele, come strumento per preservare la santità del patto tra Dio e il suo popolo. La parola detta doveva concretizzarsi in fatti.

Oggi, purtroppo, molti genitori minacciano castighi e punizioni ai figli senza attuarli veramente quando se ne configurano i presupposti, ed è anche e soprattutto per questo motivo che molti figli crescono viziati da una disciplina mal applicata o mai impartita, infischiandonsene deliberatamente della parola dei genitori, tanto non verranno mai puniti veramente.

Lo stesso principio emerge in numerosi altri contesti biblici, dove le pene più severe non mirano tanto a essere eseguite alla lettera (si veda il caso di Giona e Ninive), quanto a sottolineare la gravità del peccato e le sue conseguenze potenzialmente disastrose. La finalità non è la paura in sé, ma il suo impiego come strumento educativo, volto a instillare un salutare timore e rispetto per l’ordine familiare e sociale, vero fondamento della stabilità collettiva. È simile al modo in cui un padre, esasperato, esclama al figlio: “Se lo rifai ancora, ti ammazzo di botte!”. Non con reale intento violento di "ammazzarlo", ma per imprimere un senso del limite e scoraggiare la ripetizione dell’errore, anche se con parole dure. In tale scenario, se il figlio persiste nel suo comportamento, non è il padre a essere biasimato per la minaccia, bensì il figlio che, pur conoscendo l’autorità paterna, la disprezza apertamente e continua nel suo atteggiamento ribelle.

🎓 La teologia della responsbilità

In definitiva, ciò che emerge da questo testo è una teologia della responsabilità, tanto personale quanto collettiva. Israele non è semplicemente un popolo con una legge, ma una nazione chiamata alla santità comunitaria, dove ogni deviazione persistente, arrogante e priva di ravvedimento non è vista come una semplice trasgressione privata, bensì come un attacco al cuore stesso della coesione sociale (genitori e comunità) e spirituale (a Dio). La ribellione ostinata non è tollerata non per instaurare un regime autoritario e tirannico, ma perché la santità è fragile e la disobbedienza sistematica è contagiosa e corrosiva. La severità di questa legge, quindi, non è una celebrazione della punizione, ma un grido d’allarme contro la distruzione dall’interno: quando l’autorità è disprezzata e l’ordine familiare viene ridicolizzato, la comunità non ha più fondamenta su cui reggersi.


Conclusione

Quando mi confronto con questo passaggi come questo, non scorgo affatto l’immagine di un Dio crudele o assetato di sangue, come troppo spesso viene banalmente affermato. Vedo, piuttosto, un Dio che prende sul serio la responsabilità morale, sia dell’individuo che della collettività. Un Dio che si inserisce in una realtà umana profondamente segnata dalla violenza e dall’arbitrarietà patriarcale, non per assecondarla, ma per riformarla dall’interno, introducendo limiti precisi alla vendetta privata, fondando una giustizia pubblica e comunitaria, e stabilendo criteri etici che responsabilizzano i genitori, i giudici e la società nel suo insieme.

Questo passo, se letto con attenzione, non è un comandamento alla lapidazione, ma un appello alla riflessione profonda su quanto possa essere distruttiva una ribellione ostinata e incurante verso l’autorità giusta e verso i legami che fondano la comunità. È una legge preventiva, educativa, e in fondo profondamente pedagogica.

Questo tipo di legge va vista come uno specchio: così come i figli hanno il dovere di onorare i genitori, gli esseri umani devono onorare Dio. In tal caso ci saranno delle conseguenze: la minaccia, tuttavia, non ha lo scopo di concretizzarsi in pena, ma ha il fine di indurre al ravvedimento.

Come studioso e come credente, rigetto categoricamente ogni tentativo di usare questo testo per screditare Dio o la Scrittura. Un simile uso è superficiale, retoricamente ingannevole e intellettualmente disonesto. Solo chi ignora — o volutamente trascura — il contesto culturale, linguistico e teologico in cui questo testo è nato può ridurlo a una presunta prova della barbarie biblica.

In realtà, ciò che questo passo rivela è una tensione profonda e autentica tra giustizia e misericordia, tra la necessità di preservare l’ordine e quella di proteggere la dignità dell’individuo. È un testo che non ha perso la sua attualità, anzi: ci interpella ancora, chiedendoci se siamo capaci di costruire società dove l’autorità sia rispettata senza oppressione, dove la correzione non degeneri in violenza, e dove la responsabilità collettiva non sia mai abbandonata sull’altare del permissivismo.

Condividi articolo
Archivio
Accedi per lasciare un commento