Shalom Laetitia,
quando ci accostiamo ai testi della Torah con cuore sincero e desiderio di comprendere i tempi di Dio, accade qualcosa di straordinario: anche i dettagli che sembravano nascosti si illuminano e acquistano senso. Ed è proprio il caso di una domanda apparentemente semplice come la tua, ma profondamente radicata nella comprensione della rivelazione: da quale Shabbat si doveva contare per arrivare a Shavuot? E in che modo questo ci aiuta a leggere con occhi nuovi la morte e la risurrezione del Messia?
In Levitico 23, viene comanado di offrire un fascio delle primizie dell’orzo – chiamato omer – “il giorno dopo il sabato”. Questa espressione ha acceso discussioni per secoli: di quale sabato si parla? Alcuni lo hanno inteso come lo Shabbat festivo del 15 Nisan, cioè il primo giorno degli Azzimi, che è comunque giorno di riposo sacro. Altri, invece, lo hanno inteso come il sabato settimanale.
Ma c’è un dettaglio nel testo che, come un piccolo chiodo nascosto, regge tutta la struttura: viene detto che bisogna contare sette settimane intere, e che Shavuot cade “l’indomani del settimo sabato”, ovvero 49 giorni + 1. Ora, qui il testo non dice “il settimo giorno festivo”, ma “sabato” – Shabbat, nel senso consueto del settimo giorno della settimana. Questo linguaggio non si adatterebbe a una festa che può cadere in giorni diversi dell’anno, ma solo a una successione regolare di sabati settimanali.
Il significato è chiaro: il conteggio dell’Omer – i cinquanta giorni che collegano Pesach a Shavuot – parte dalla "domenica" (primo giorno settimanale ebraico) successiva al primo sabato settimanale che cade dopo l’offerta dell’agnello. Questo piccolo dettaglio ci porta dritti a un grande mistero: il giorno delle primizie non era un giorno qualunque, ma la cosiddetta domenica, il primo giorno della settimana. Ed è proprio in quel giorno che, secoli più tardi, il Messia risuscitò dai morti.
Matteo ci racconta che Yeshua morì nel pomeriggio del venerdì, alla vigilia di un sabato particolarmente solenne. Quello Shabbat, infatti, coincideva sia con il 15 Nisan (Azzimi) sia con il sabato settimanale: un raro allineamento che rende ancora più denso di significato ciò che stava per accadere. Dopo il riposo sabbatico settimanale, al primo barlume dell’alba, le donne andarono al sepolcro e lo trovarono vuoto. Era il giorno dopo il sabato – proprio come dice Levitico – ed era il giorno del Reshit, delle primizie (bikkurim).
Yeshua non è risorto in un giorno a caso, ma nel giorno in cui si agitava il primo fascio d’orzo davanti a YHWH, come segno di ciò che sarebbe venuto: la grande mietitura delle anime. Come dice Paolo: «[il] Messia è risorto dai morti, primizia di quelli che dormono». La Sua risurrezione, dunque, non è solo un fatto glorioso, ma un adempimento preciso della Torah, un segno inserito da Dio stesso nel cuore della Sua rivelazione.
E così, il conteggio che ci porta fino a Shavuot – la festa del dono della Torah al Sinai – diventa anche il conto che ci conduce fino al giorno in cui lo Spirito fu effuso sui talmidim (Atti 2). Cinquanta giorni dopo il Reshit, Israele ricevette la Torah; e cinquanta giorni dopo la risurrezione, la Kehillah ricevette la Ruach. La Parola e lo Spirito, lo scritto e il vivente, la legge esterna e il cuore rinnovato: tutto si tiene, tutto è armonia.
In sintesi
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Lo Shabbat di Levitico 23 si riferisce al sabato settimanale, non a quello festivo.
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Il conteggio dell’Omer inizia la domenica seguente al sabato che segue Pesach.
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Yeshua morì il 14 Nisan (venerdì), riposò nella tomba il 15 (sabato), e risorse il 16 (domenica), nel giorno del Reshit.
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La Sua risurrezione adempie la figura delle primizie offerte a Dio.
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Shavuot cade esattamente cinquanta giorni dopo, collegando la risurrezione al dono dello Spirito come nuova alleanza.
Il calendario divino non ha errori. Ogni giorno ha un peso eterno, e ogni festa è una profezia in atto.