Shalom, fratello,
grazie per la tua domanda.
Parto subito da 1 Cor. 12,10, dove Paolo parla di διακρίσεις πνευμάτων (diakríseis pneumatōn), tradotto comunemente con «discernimento degli spiriti». Il termine greco διάκρισις (diákrisis) viene da diakrinō (διακρίνω), che significa letteralmente “separare”, “distinguere”, “valutare attentamente”. È molto vicino al senso italiano di discernimento come capacità di distinguere il vero dal falso, il bene dal male, lo Spirito di Dio dallo spirito dell’inganno. Tuttavia, nel contesto neotestamentario assume una connotazione spirituale e carismatica, legata a un dono dello Spirito, non semplicemente a una facoltà naturale dell’intelletto.
In ebraico, il termine che più propriamente esprime il concetto di discernimento è בִּינָה (binah), non haddà’at né yadaʿ. Binah deriva dalla radice בין (byn), che significa “distinguere”, “separare”, “penetrare con l’intelligenza”. È un termine spesso associato alla sapienza (חָכְמָה chokhmah) e alla riflessione spirituale. Si trova ad esempio in Proverbi, dove il discernimento è visto come dono di Dio e strumento per vivere rettamente.
Per quanto riguarda yadaʿ (יָדַע), da cui deriva daʿat (דַּעַת), questo si traduce più correttamente con conoscenza, ma in senso esperienziale, relazionale, intimo. È il verbo usato per conoscere Dio, ma anche per l’intimità sessuale (Gen. 4,1). Quindi daʿat e binah non sono equivalenti, anche se possono coesistere nel percorso sapienziale: il primo si riferisce all’esperienza del vero, il secondo alla comprensione e distinzione del vero.
Riguardo all’albero della conoscenza del bene e del male (עֵץ הַדַּעַת טוֹב וָרָע – ‘etz haddaʿat tov varaʿ), qui viene usato proprio daʿat, non binah. Si tratta dunque di un’esperienza conoscitiva, e non di un semplice discernimento intellettuale. L’uomo vuole conoscere il bene e il male per esperienza personale, autonoma, non per rivelazione o per partecipazione obbediente alla volontà di Dio. È questa la radice del problema: non la distinzione morale in sé, ma l’appropriarsi della definizione del bene e del male.
Infine, in Proverbi 3,5, dove è scritto:
«Confida in YHWH con tutto il cuore e non ti appoggiare sul tuo discernimento»
il testo ebraico dice: וְאֶל־בִּ֝ינָתְךָ אַל־תִּשָּׁעֵן (ve’el-binatkha al-tisha’en) «e non ti appoggiare sulla tua binah». Quindi il termine usato è proprio binah, il discernimento, la capacità umana di distinguere e comprendere. È interessante notare che non viene demonizzata la binah in sé, ma l’autonomia da Dio in ciò che si comprende. La vera sapienza è quella che parte dalla fiducia radicale in YHWH.
Riassumendo:
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Binah = discernimento (capacità di distinguere il bene dal male).
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Daʿat = conoscenza (esperienza vissuta, anche del bene e del male).
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Yadaʿ = verbo "conoscere", da cui daʿat.
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Diákrisis (gr.) = discernimento spirituale, dono di distinzione degli spiriti.
Il messaggio che trapela è che Dio desidera che l’uomo comprenda e conosca, ma nell’obbedienza, nella relazione, non nell’autonomia orgogliosa.