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L'Amore di Dio e la conformità alla Sua Parola

Come l’ahavah divina guida la nostra relazione con Dio e con gli altri, e ci chiama a vivere in unità attraverso lo Spirito Santo
20 marzo 2025 di
L'Amore di Dio e la conformità alla Sua Parola
Marco Manitta
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Introduzione

L’amore divino, motore stesso della creazione dei cieli e della terra, trova la sua suprema espressione nel dono di Yeshua il Messia, offerto in sacrificio per la redenzione dell’umanità. Questo amore è incondizionato, immutabile ed eterno, poiché Dio è Amore (1 Giov. 4,8), e nella Sua essenza Egli incarna la pienezza di tale realtà.

Nella lingua ebraica, l’amore incondizionato è espresso dalla parola ahavah, termine che non si limita a un sentimento, ma implica un’azione concreta e costante. Analogamente, il greco agape porta con sé la dimensione di un amore che si dona senza riserve. Così, l’ahavah divina è un amore operante, dinamico, che si manifesta attivamente nella storia della salvezza (Giov. 3,16).

L’apostolo Paolo, nella sua celebre esposizione in 1 Cor. 13, descrive la centralità e la natura eterna di questo amore, che non solo perdura al di là del tempo, ma costituisce il fondamento della comunione fraterna all’interno della Kehillah. In esso si radica l’essenza stessa della vita spirituale, poiché senza ahavah ogni opera e ogni dono perdono il loro valore.

Yeshua Figlio del Padre

Prima di procedere, è essenziale approfondire la relazione tra il Padre e Yeshua, rispondendo a una domanda fondamentale: perché Yeshua è Figlio del Padre? Questa risposta non è immediata, ma è cruciale per comprendere l’intimità del loro legame. Yeshua è il Figlio del Padre perché è la manifestazione perfetta della Sua volontà, Colui che trasmette e incarna la Parola divina con assoluta conformità e obbedienza. Egli è l’espressione vivente del pensiero del Padre, realizzandone ogni decreto con totale adesione alla Sua volontà (Giov. 1,1-2,14; 5,19; 5,30). A legare il Padre e il Figlio è lo Spirito Santo, che opera come vincolo perfetto nella Tri-unità. Le tre Persone divine cooperano in perfetta sinergia e unità, essendo echad, un’unità complessa e indivisibile.


Il peccato, che mina comunione con Dio, Yeshua come l’esempio per resistere

 Quando Yeshua venne sulla terra come uomo per redimere l’umanità dal peccato, non si avvalse del Suo essere Dio, ma come uomo ha portato avanti il Suo mandato in obbedienza al Padre senza mai peccare.

 Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce (Flp. 2,5-8)

 Un altro passo fondamentale è:

 Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato (Eb. 4,15)

L'autore della lettera agli Ebrei ci rivela una verità profonda: Yeshua ha vissuto le nostre stesse tentazioni, percependo il peso della prova umana. Tuttavia, Egli non cedette a esse, né divenne schiavo del peccato, ma resistette per ahavah — amore — verso il Padre e verso di noi. Il peccato e la morte non hanno avuto potere su di Lui, perché Egli è il Santo, il Giusto, Colui che ha vinto per noi.

Attraverso il Suo sacrificio, Yeshua si è fatto peccato per noi, affinché fossimo riscattati dalla maledizione della Torah (Gal. 3,13), maledizione che entrò nel mondo con la trasgressione di Adamo ed Eva. Ma la potenza della redenzione non si ferma alla croce: il cuore del piano divino si manifesta nella resurrezione di Yeshua, che lo innalza come la Via per la nostra riconciliazione con il Padre e la vita eterna, accessibile attraverso la nuova nascita.

Questo progetto di salvezza non è un rimedio tardivo, ma è presente fin dal principio. Nel primo versetto della Torah, la parola “Bereshit” (Gen. 1,1), è nascosta una rivelazione sorprendente: il Figlio di Dio, capo della Sua casa (Kehillah), ha distrutto la schiavitù del peccato mediante la croce. Così, sin dall’inizio, il piano di redenzione era già scritto nella Parola.

Altro passo importante, che ci riguarda direttamente, quando vediamo tentati, è:

Nessuna tentazione vi ha còlti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via di uscirne, affinché la possiate sopportare (1 Cor. 10,13)

 Nel pensiero ebraico antico, i concetti astratti venivano spesso personificati attraverso immagini allegoriche. L’inclinazione al male (yetzer harà), identificata anche con il serpente (nachash), rappresenta questa realtà interiore ed è associata al diavolo. In 1 Cor. 10, l’apostolo Paolo ci aiuta a comprendere che la radice della tentazione non è qualcosa di esterno, ma si manifesta dentro di noi, nella nostra natura umana.

Quando Yeshua viene condotto dallo Spirito nel deserto per essere provato, il conflitto che affronta non è solo con un’entità esterna, ma anche con la natura della carne, come già accadde con Eva nel Gan Eden. Tuttavia, a differenza di Eva, Yeshua non cede alla seduzione del male. La Sua fiducia nel Padre è totale, certo che Dio non lo avrebbe mai provato oltre le Sue possibilità (1 Cor. 10.13).

Le tentazioni che affronta nel deserto (Mt. 4,1-11) si ripresentano durante tutto il Suo ministero. Per esempio, nella moltiplicazione dei pani, avrebbe potuto trasformare le pietre in pane – esattamente per come il diavolo lo aveva tentato – ma scelse invece di alzare gli occhi al cielo (Sal. 121,1-3), affidandosi alla provvidenza del Padre. La Sua missione non era dimostrare la propria potenza, ma agire in perfetta conformità alla volontà divina.

Molti Gli chiedevano un segno per provare la Sua messianicità o si aspettavano che Egli instaurasse un regno terreno combattendo contro i Romani. Ma Yeshua non si lasciò mai condizionare da queste aspettative umane. Nemmeno nel Getsemani, di fronte all’agonia dell’arresto imminente, cedette alla paura, ma rimase saldo nella Sua missione.

Dio mette alla prova i Suoi figli non per farli cadere, ma per addestrarli nella fede e nella resistenza alle tentazioni, sia interne che esterne. Per questo, Yeshua ci insegna in Mc. 9,40-50 a rimuovere ogni ostacolo che ci allontana da Lui, affinché possiamo camminare in fedeltà e santità.

Amore che anima la Kehillah

Come riflesso all’amore incondizionato ricevuto, siamo spinti dallo Spirito Santo a fare altrettanto. E se amiamo Dio amiamo anche la Sua Parola: la Torah diventa così uno stile di vita piuttosto che mera osservanza (Giov. 14,21-24).

 Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli (1 Giov. 3,16) 
Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Giov. 13,35)

 L’ahavah è il fondamento che anima la Kehillah e si manifesta attraverso i doni di grazia che lo Spirito Santo dà come Lui vuole ai vari individui per il bene comune. Come una pietra che viene posta su un’altra nella costruzione di un medesimo edificio, anche noi siamo echad, formando insieme il Tempio di Dio, dove Egli dimora.

Conclusioni

Attenzione: se ciò che ci muove non è l’ahavah di Dio attraverso lo Spirito Santo, ma la concupiscenza della carne, rischiamo di deviare dalla verità. Quando abbiamo un concetto di noi stessi più alto di quello che ci è stato conferito (Rom. 12,3) o trasformiamo le nostre esperienze in dottrine personali, finiamo per interferire con l’insegnamento biblico. In questo caso, la carità diventa solo un’apparenza, mentre si rinnega la potenza dello Spirito Santo (2 Tim. 3,5).

Yeshua stesso ammonisce la kehillah di Laodicea, mettendo in guardia coloro che si ritengono ricchi e dotati di ogni carisma, ma che in realtà sono poveri e miserabili. Non è l’amore di Dio a guidarli, ma la concupiscenza della carne e le proprie ambizioni (Ap. 3,14-22). Ma la correzione di Yeshua è sempre mossa dall’ahavah:

Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti (Ap. 3,19)

Queste parole ci ricordano che il vero cammino nella fede non si misura con i doni spirituali o con l’apparenza della religiosità, ma con la sottomissione allo Spirito Santo, che opera attraverso l’ahavah autentica, lontana dall’egoismo e dall’ambizione umana.

Non è la Parola di Dio che deve adattarsi a noi, ma siamo noi che dobbiamo conformarci ad essa. La vera saggezza sta nell’affidarsi completamente al Signore, come ci ammonisce la Scrittura:

“Confida in YHWH con tutto il cuore e non ti appoggiare sul tuo discernimento. Riconoscilo in tutte le tue vie ed Egli appianerà i tuoi sentieri. Non ti stimare saggio da te stesso; temi YHWH e allontanati dal male (Prov. 3,5-7)

L’ahavah verso Dio si manifesta nell’amore reciproco, un amore che non è frutto dello sforzo umano, ma del Soffio vitale dello Spirito Santo, che ci muove interiormente e ci spinge ad operare per il bene comune.

Che questa sia la nostra predisposizione quotidiana:

  • L’ahavah nell’echad: un amore che si realizza nell’unità.
  • L’echad nell’ahavah: un’unità che si fonda sull’amore.

Solo così possiamo camminare nella vera volontà del Padre, lasciando che sia Lui a guidare ogni nostro passo.

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