Introduzione
La parashah affronta una tematica alquanto cruciale e di vitale importanza: la santità. Attraverso le porzioni della Torah, Haftarah e Besorah, questo tema verrà sviluppato in diverse chiavi di lettura con l’obbiettivo di portare il lettore ad avere una maggiore consapevolezza di come Dio, il Santo, considera la santità e tutte le sue implicazioni, affinché egli ne possa trarne frutto per il suo percorso di santificazione, basato sull’amore verso Dio e verso il prossimo.
Parashah (Levitico 19,1-20,27)
Preparazione di un popolo santo durante il tragitto nel deserto
La parashah prende, appunto, il nome Qedoshim, termine che significa «santi». Essa, infatti, comincia con l’ordine di YHWH rivolto a tutta la comunità dei figli d’Israele (Lev. 19,2):
Siate qedoshim [santi], perché Io, il SIGNORE, il vostro Dio, sono Qadosh [Santo].
Questo ordine viene ripetuto sia in Lev. 20,26 che in altre porzioni della Torah (Lev. 11,44-45 e Lev. 21,8) e negli Scritti Apostolici (1 Pt. 1,16).
Durante la permanenza nel deserto, quindi lontano dall’influenza pagana, YHWH stava preparando e ammaestrando i figli d’Israele per essere un popolo santo, cioè appartato, che si distinguesse, infatti, dai popoli pagani circostanti, affinchè rispecchiassero la santità di Dio prima di entrare nella Terra Promessa. Era un momento cruciale per l’intera comunità d’Israele, dato che erano da poco usciti dal paese d’Egitto, dove avevano assimilato molte delle loro pratiche e costumi. Infatti molte mitzvot non riguardavano solamente le pratiche religiose, ma avevano molti aspetti sociali e morali inter-relazionali. In altre parole tutte le leggi e le prescrizioni avevano a che fare sia con la comunione verso l’unico vero Dio che verso il prossimo.

Approfondimento sul concetto di "santità"
Come ho appreso in questa Yeshivah, con la santità di Dio non si scherza. Dio prende molto seriamente tutto ciò che riguarda la parte cultuale e quindi l’avodah zarah – il culto estraneo, cioè tutto ciò che è idolatria (Lev. 19,4) e anche la lashon hara – la maldicenza e quindi tutto ciò che riguarda il rapporto con il prossimo (Lev. 19,16-18). Per ulteriori approfondimenti potete vedere anche questi video: avodah zarah e lashon hara. Inoltre la santità non è contagiosa, invece, l’impurità è sì contagiosa. Cioè quando qualcosa di impuro viene in contatto con qualcosa di puro, non vuol dire che la cosa impura diventa pura, ma, al contrario, la cosa pura diventa impura. Per questo tutto ciò che di impuro entra in contatto con la purità deve essere eliminato. In altre parole la santità di Dio non può entrare in contatto con ciò che impuro.
Ora desidero spiegare al lettore questa importante nozione attraverso un'analogia. Dio è Colui che siede sul Trono, Egli è l’Altissimo (Sal. 7,17) e i vari monti nella Bibbia sono associati alla Sua presenza, alla Sua gloria e dimora celeste. Per l’uomo il monte simboleggia il luogo di rivelazione e di trasformazione, in cui egli entra in contatto diretto con Dio sperimentando la Sua presenza e potenza. Il Sal. 24, per esempio, risponde alle domande:
Chi salirà al monte di YHWH?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
L'uomo innocente di mani e puro di cuore, che non eleva l'animo a vanità e non giura con il proposito di ingannare (Sal. 24,3-4)
Immaginiamo, adesso, una pietra che si trova sulla cima di una montagna. Essa si trova in perfetto equilibrio. Ma è un equilibrio instabile, perché basta un nulla che la pietra inizia a rotolare a valle, una volta che non si trova più nel suo punto di equilibrio iniziale. È un processo irreversibile, cioè il sasso da solo non può ritornare nel suo punto iniziale. Ora anche l’uomo prima del peccato – stato di purità – era sul monte di Dio alla Sua presenza in uno stato di equilibrio. Ma quando l’impurità del peccato è entrato nell’uomo, come il sasso che rotola verso valle, l’uomo, cadendo verso l’abisso, si è allontanato sempre di più dalla presenza di Dio, dalla Sua santità verso la morte e il caos.
Solo grazie a Yeshua e l’opera dello Spirito Santo, che ci tiene in equilibrio, che possiamo “salire” sul monte di Dio, finché però camminiamo secondo i Suoi comandamenti. Guai chi cerca di farlo con le proprie forze o con il proprio discernimento. Ecco perché bisogna fare molta attenzione e perseverare fino alla fine, finché non abbiamo ancora un corpo incorruttibile.
Haftarah (Amos 9,7-15)
Restaurazione del popolo, la santità come valore profetico
Il popolo d’Israele è stato chiamato da Dio stesso a essere un popolo santo. Sebbene il popolo nel corso della sua storia abbia tentato più volte di assimilarsi alle altre nazioni, Dio lo ha riportato sempre sulla retta via in virtù del patto unilaterale che ha fatto con Abraamo (Gen. 15). Pertanto il processo di santificazione assume anche valore profetico. Infatti, alla fine dei tempi tutto Israele verrà restaurato (Rom. 11,26-27) e ritorneranno a ricostruire e ad abitare le città desolate per piantare vigne e coltivare giardini. Dio stesso li pianterà nella loro terra e non saranno più sradicati da quella terra che Egli ha dato loro (Am. 9,14-15).
Dio non ha rigettato il Suo popolo, ma attraverso i castighi e le correzioni (Prov. 3,11-12; Eb. 12,5-11) nel corso della sua storia, lo sta plasmando per essere un popolo santo e giusto, che rispecchiasse la Sua santità, e noi gentili ereditiamo, attraverso la fede in Yeshua, le promesse fatte ai figli d’Israele, essendo che siamo stati innestati nel contesto d’Israele (Rom. 11,16-21).
Besorah (Marco 12,28-34)
La santità incorporata nei due grandi comandamenti immersi nell’amore
Yeshua, rispondendo a uno scriba, mette in evidenza attraverso i due gran comandamenti che essi hanno come fondamento l’amore verso Dio e verso il prossimo. Chi accoglie e osserva i comandamenti, ama Yeshua e sarà amato dal Padre (Giov. 14,21). Amore e obbedienza sono strettamente legati. Questo concetto è molto importante: se affermiamo di amare Dio senza essere ipocriti, osserviamo la Sua Parola e cerchiamo di piacerGli. Come un figlio ama suo padre, di certo non gli vuol dare dispiacere, allo stesso modo siamo noi nei confronti del nostro Padre celeste.
L’amore, in ebraico ahavah, non è un mero sentimento, ma implica sempre un’azione che si dimostra quotidianamente. Invito il lettore, pertanto, ad analizzare con attenzione 1 Cor. 13, dove l’apostolo Paolo espone l’importanza dell’amore che non avrà mai fine, essendo Dio stesso Amore. E non è un caso che si trovi in 1 Corinzi in mezzo all’illustrazione dei doni spirituali che sono conferiti per il bene comune e per l’edificazione della Kehillah. E invece, i membri della comunità di Corinto li usavano per sé stessi, provocando confusione, dispute e divisioni, “sporcando” così la santità di Dio.
Ecco che amare Dio e il prossimo è molto di più di una semplice formula teologica. Yeshua, con questi due comandamenti che racchiudono il primo comandamento del Decalogo e un comandamento del Levitico, eleva la Torah all’ennesima potenza mettendo in risalto l’amore stesso. Essere appartati implica una vita devota a Dio, amandoLo e servendoLo, che si traduce nell’amore disinteressato per il prossimo. Ciò è possibile se siamo immersi nello Spirito di Dio, Colui che dà la capacità e gli strumenti di mettere in pratica le mitzvot. Ciò non è qualcosa di istantaneo che si riceve nella nuova nascita, bensì è un percorso, come Israele nel deserto, che dura tutta la vita. E solo se perseveriamo fino alla fine allora possiamo entrare nella Terra Promessa, nel Regno del Messia.
Per prendere l’esempio della pietra, è solo attraverso Yeshua che essa, cioè noi, viene riportata alla cima del monte mantenendola in equilibrio, cioè alla presenza di Dio.
Conclusione
Abbiamo visto che essere santi implica vivere una vita in conformità con la Parola di Dio, rispecchiando le Sue virtù e distinguendoci da una comune vita ordinaria. Il fondamento è l’amore verso Dio e il prossimo che si traduce in opere. Come è scritto in Gal. 5,6: «la fede opera per mezzo dell’amore», e insieme a esso «pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine e autocontrollo» si manifestano come «il frutto dello Spirito» (Gal 5,22). Così facendo, teniamo alta la reputazione di Dio e mostriamo al mondo che siamo veramente i Suoi figli.
Infine, essere santi o camminare in santità è più un processo che uno status quo. Siamo in un cammino fondato sull’amore verso Dio e il prossimo, verso la perfezione attraverso gli insegnamenti di Yeshua e la guida dello Spirito Santo. Solo alla fine, cioè alla resurrezione, raggiungeremo la vetta del monte Santo, la gloria di Dio per rimanerci per sempre.
Ascolta la parashah di Daniele Salamone (29/04/2023)