Passa al contenuto

Parashat Shemini (Lev. 9,1—11,47)

Dal Tabernacolo al Giordano: il prezzo della disobbedienza e la via dello Spirito
19 luglio 2025 di
Parashat Shemini (Lev. 9,1—11,47)
Marco Manitta
| Ancora nessun commento

Introduzione

Subito dopo la consacrazione di Aronne e dei suoi figli al servizio del Tabernacolo, la parashah presenta un evento alquanto drammatico e tragico: la morte di due dei figli di Aronne, Abiu e Nadab, divorati dal fuoco divino. Anche nel collegamento con il passo della Haftarah (2 Samuele), troviamo la morte di Uzza per aver cercato di sostenere l’arca dell’alleanza. Andiamo a scoprire il motivo per cui YHWH sia stato così severo nei confronti di questi personaggi, entrando, senza pregiudizi, nel fulcro della questione con mente aperta e lucida. A tal fine, ci viene in aiuto anche il passo della Besorah (Matteo 3), con il battesimo di Yeshua.


Parashah (Levitico 10,1-2.8-9)

L’insegnamento dalla morte di Abiu e Nadab

Per quanto possa apparire tragico e discutibile, l’episodio ci offre un insegnamento importante e fondamentale: YHWH richiede dai Suoi figli totale ubbidienza e consacrazione. I sacerdoti e il sommo sacerdote svolgevano un ruolo cultuale nel Tabernacolo e fungevano da mediatori tra Dio e il popolo. Essi erano autorizzati a offrire sacrifici sia per sé stessi che per il popolo, a prendersi cura del Santuario e a istruire il popolo sulla Torah. Dovevano garantire il corretto svolgimento del culto e la custodia del luogo sacro secondo tutte le istruzioni che YHWH aveva dato tramite Mosè. La loro responsabilità era dunque molto grande, poiché avevano a che fare con le cose sante di Dio.

Dobbiamo immaginare l’interno del Tabernacolo, dove risiedeva la presenza di YHWH, come un luogo asettico: nulla di impuro o di estraneo poteva entrare in contatto con il Santo. Così, quando Abiu e Nadab offrirono a Dio del fuoco estraneo, diverso da quello che era stato loro ordinato, un fuoco uscì dalla presenza di YHWH e li divorò (Lev. 10,1-2). Qualche versetto più avanti (vv. 8-9) vediamo che Dio dà ordini ad Aronne e ai suoi due figli rimasti. Tra questi vi è il divieto di bere bevande alcoliche quando dovevano entrare nel Tabernacolo, per poter discernere tra ciò che è santo e ciò che è profano, tra ciò che è impuro e ciò che è puro, e per poter insegnare ai figli d’Israele tutte le leggi. Questa può essere una spiegazione plausibile di ciò che è accaduto.

La problematica dell’avodah zarah

Ma entriamo ora ancora più in profondità. A questo proposito ci viene in soccorso il passo di Ef. 5,18:

Non ubriacatevi! Il vino porta alla dissolutezza. Ma siate ricolmi di Spirito.

Con questa associazione, l’apostolo Paolo vuole enfatizzare il concetto dell’essere riempiti dello Spirito Santo. Così come l’alcool in eccesso esercita un controllo sulla persona, allo stesso modo lo Spirito Santo ha il controllo sul credente che si lascia guidare. Se il credente non è ripieno dello Spirito, allora è vulnerabile agli effetti negativi associati all’ubriachezza, compromettendo così la propria vita spirituale e cadendo nel peccato. Essere riempiti — inzuppati come una spugna — dello Spirito Santo implica essere controllati e quindi guidati e rafforzati da Lui per una progressiva santificazione interiore al servizio e all’onore del Signore.

L’offerta illecita di Nadab e Abihu in uno stato di ebbrezza, unita al comandamento sul divieto delle bevande alcoliche, ci rivela una realtà troppo spesso trascurata: una vita nella dissolutezza della carne equivale, per Dio, a una vita nell’idolatria, cioè un culto estraneo, avodah zarah, che scatena l’ira di Dio stesso. Non possiamo accostarci a Dio se non siamo completamente lucidi. 


Haftarah (2 Samuele 6,1—7,17)

Eccesso di zelo nella buona fede

Anche la morte di Uzza da parte di Dio, per aver cercato di sostenere l’arca dell’alleanza, può suscitare perplessità se non si va in profondità. L’arca dell’alleanza — simbolo della presenza di YHWH — era stata posta su un carro trainato da buoi, violando così la Torah, la quale prescrive che essa venga trasportata da uomini, a spalle, e non su un carro trainato da animali. Inoltre, era proibito toccare l’arca, salvo che ai Leviti incaricati (Num. 4,15), pena la morte. Ecco dunque che Uzza, per quanto il suo gesto potesse essere, umanamente parlando, nobile, ha comunque violato il comandamento di Dio, e la conseguenza è stata la morte. Dio non ha bisogno di essere sorretto; è, al contrario, l’uomo che deve essere sostenuto continuamente da Lui (leggi articolo correlato).

L’eccesso di zelo, il farsi troppo giusti, l’avere un concetto più alto di quello che ci è stato conferito, anche se in buona fede, equivale per Dio alla disubbidienza. Dio ci chiama alla fedeltà e all’obbedienza assoluta alle Sue leggi, e dobbiamo imparare a praticare il «non oltre ciò che è scritto» (1 Cor. 4,6). 


Besorah (Matteo 3,11-17)

Lo Spirito che equipaggia

Il battesimo di Yeshua, descritto in Matteo 3, segna l’inizio del Suo ministero terreno. Esso rappresenta l’atto di consacrazione al sommo sacerdozio, così come lo è stato per Aronne, e culmina con la discesa dello Spirito Santo in su di Lui in forma di colomba, appena battezzato, che esce dall’acqua, e con la voce del Padre che proclama: «Questo è il Mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt. 3,16-17).

Yeshua, portando a compimento la Sua missione terrena, è la Via al Padre, e lo Spirito Santo ci mette nelle condizioni di poterLo servire degnamente. Ciò che era impossibile all’uomo, grazie a Yeshua e allo Spirito Santo che dimora in noi, è reso possibile. Ecco l’importanza di essere riempiti dello Spirito Santo per servire Dio e camminare in santità.

Lo Spirito Santo ci è stato dato non per darci super poteri o per diventare anomisti (anarchici spirituali), ma per darci le capacità e gli strumenti per poter osservare i comandamenti secondo lo Spirito e non più secondo la carne.

L’espressione: «Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e con il fuoco» (Mt. 3,11) deve essere dunque interpretata nel seguente modo: Spirito e fuoco non sono sinonimi. Il contesto ci fa comprendere che il fuoco non si riferisce, come molti pensano, all’evento di Pentecoste, bensì a un fuoco divorante. Lo Spirito Santo è il fuoco edificante per il credente rigenerato che cammina secondo lo Spirito. Per chi invece si trova in uno stato di ribellione, è riservato l'immersione nel fuoco consumante. In Eb. 12,28-29 l'autore biblico ci esorta a offrire un culto gradito, con riverenza e timore, poiché Dio è anche un fuoco consumante. Grazie al sacrificio di Yeshua, siamo stati giustificati nel Suo sangue e salvati dall’ira — dal fuoco — per mezzo di Lui (Rom. 5,9). 


Conclusione

Le due vicende ci mettono in guardia sulla santità di Dio, che è inviolabile e non negoziabile. Ma attraverso Yeshua, Dio ci ha donato il Consolatore per scampare all’ira a venire. Non possiamo vivere una vita di dissolutezza, ma una vita consacrata e riempita di Spirito Santo, per essere sacrifici viventi, graditi a Dio, e per servirLo degnamente (Rom. 12,1-2).


Ascolta la parashah di Daniele Salamone (15/04/2023)


Condividi articolo
Etichette
Archivio
Accedi per lasciare un commento