Passa al contenuto

I tre segreti scritti nel nome di Adamo

La profondità dell'ebraico biblico rivela il senso dell'uomo
10 agosto 2025 di
I tre segreti scritti nel nome di Adamo
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
| Ancora nessun commento

Introduzione

Esistono parole che, come pietre antiche incastonate in un Tempio millenario, custodiscono in sé una bellezza e una profondità che il tempo non può erodere. Una di queste è אָדָם ('adam). Antica come la polvere primordiale eppure viva come il respiro che ancora oggi anima l’umanità, essa è una parola che trascende la mera funzione linguistica per divenire rivelazione. In ebraico, il termine significa «essere umano» e più etimologicamente «colui che viene dal suolo» e si presenta nelle prime pagine della Torah come definizione dell’identità creata (Gen. 1,26-27; 2,7).

Eppure, ridurre 'adam a un semplice indicatore biologico sarebbe come scorgere la superficie di un oceano senza intuirne le profondità. L’analisi filologica, intrecciata alla riflessione teologica, rivela che 'adam è un prisma in cui convergono la struttura linguistica, la vocazione spirituale e il filo narrativo della redenzione.


Alef e Dam: il mistero dell’unione

La parola אָדָם (Adam), nella sua forma grafica e fonetica, si apre con la lettera א (alef) e prosegue con la sequenza דָּם (dam), termine che in ebraico significa «sangue». Questa struttura, apparentemente semplice, racchiude in realtà un nucleo di alta densità teologica e antropologica.

L’Alef, prima lettera dell’alfabeto ebraico, è tradizionalmente associata al valore numerico 1, simbolo dell’unità assoluta e dell’unicità di Dio (Deut. 6,4). Nella grammatica, l’alef non ha suono proprio: è una lettera muta, che prende voce solo attraverso le vocali che la accompagnano. Questa sua “silenziosa centralità” è stata spesso letta come immagine della trascendenza divina, che sostiene l’universo pur rimanendo invisibile e insondabile.

Sul piano etimologico, l’alef si collega alla radice אַלּוּ​ף ('alluf), che indica un capo, un condottiero, un campione o un leader autorevole. Nella tradizione rabbinica, questo termine è legato all’espressione אַלּוּף הָעוֹלָם ('alluf ha-‘Olam), «Campione dell’universo», epiteto che esprime il dominio sovrano di Dio sulla creazione. Non si tratta dunque di una lettera neutra o puramente ornamentale: l’alef, posta in apertura di 'adam, diventa segno del principio divino che è sorgente, guida e senso ultimo dell’esistenza umana.

Nelle linee silenziose di questa lettera è velata la maestà del Nome ineffabile, il tetragramma יהוה (di cui א è composta da un [waw] e due י [yod]) eco dell’Eterno che percorre tutta la Scrittura. Così, già dalla prima consonante, 'adam reca impresso un sigillo teologico: l’essere umano non nasce da un caos impersonale, ma da una volontà personale e sovrana.

Segue דָּם (Dam), «sangue», elemento che nel Tanakh è segno della vita biologica e materiale: «poiché la vita della carne è nel sangue» (Lev. 17,11). Esso è al tempo stesso simbolo di vitalità e di fragilità, portatore di energia vitale e testimonianza della condizione mortale. Nel sangue pulsa la memoria della creatura terrena, plasmata dalla polvere ('adamah) e soggetta alla caducità.

La giustapposizione di א ('alef) e דָּם (dam) genera una sintesi antropologica di straordinaria potenza: lo spirito divino e la materia terrena, l’eterno e il temporale, il respiro dell’Infinito e la fragilità della carne convivono in un’unica realtà chiamata 'adam. L’uomo biblico è dunque descritto come un essere liminare, posto tra cielo e terra, ponte vivente tra il Creatore e la creazione, chiamato a custodire entrambe le dimensioni senza smarrirne l’equilibrio.


La vocazione alla somiglianza

L’assonanza di אָדָם ('adam) con אַדְמֶה ('admeh, «somiglierò») introduce una seconda chiave interpretativa, di natura semantica e teologica. Il termine 'admeh deriva dal verbo דָּמָה (damah), «assomigliare, essere simile», radice che nella Bibbia ebraica possiede un campo semantico ricco e sfaccettato. In Isaia 14,14, questo verbo appare nella dichiarazione orgogliosa del re di Babilonia: אַדְמֶה לְעֶלְיוֹן ('admeh le-‘Elyon), «somiglierò all’Altissimo». In quel contesto, l’espressione è caricata di arroganza e ribellione, descrivendo la presunzione di voler usurpare il posto di Dio.

Tuttavia, letta al di fuori della sua connotazione negativa, la radice damah conserva un nucleo di verità teologica fondamentale: l’essere umano è concepito per essere simile a Dio, non nel senso di sostituirLo, ma di rifletterLo. Questo principio è esplicitato nel racconto della creazione: «Facciamo l’uomo a nostra immagine [tzelem] e a nostra somiglianza [demut]» (Gen. 1,26-27). Qui, tzelem indica l’immagine come rappresentazione concreta, mentre demut suggerisce la corrispondenza qualitativa, la conformità etica e spirituale al modello divino.

La «somiglianza» (demut) non è dunque un’illusione prometeica di onnipotenza, bensì la vocazione originaria dell’umanità: partecipare della vita di Dio attraverso l’obbedienza, l’amore e la santità. È un compito relazionale e dinamico, non statico: l’uomo è chiamato a crescere progressivamente verso questa conformità, fino a diventare segno vivente del carattere divino nella storia.

In prospettiva omiletica, 'adam diventa un promemoria costante: la nostra identità non si definisce unicamente per ciò che siamo ora, ma per ciò che siamo chiamati a diventare, poiché questo è il "destino" dell'uomo fin dalla sua creazione: «[...] l'uomo diventò un'anima vivente». La creaturalità limitata e fragile non è un ostacolo, ma il contesto stesso in cui la santità e la giustizia dell’Altissimo possono riflettersi. Essere 'adam significa riconoscere che la nostra vita è un processo di trasformazione, in cui ogni gesto, parola e scelta può essere un’eco visibile della gloria di Dio nel mondo.


Adam come acronimo della storia della salvezza

Un ulteriore livello di lettura di אָדָם ('adam) emerge dalla tradizione ebraica e, in prospettiva cristiana, anche da quella messianica: la possibilità di interpretare le tre lettere del termine come un acronimo teologico che sintetizza l’intera storia della redenzione. La parola contiene i nomi dei tre personaggi della Bibbia che hanno cambiato e/o veicolato le sorti dell'umanità:

אדם

  • א ('aleph) per אַבְרָהָם ('avraham), il patriarca chiamato da Dio a lasciare la propria terra per diventare il padre di una moltitudine di nazioni (Gen. 12,1-3). In Abraamo si inaugura il patto (berit) che lega Dio a un popolo e, attraverso esso, a tutte le genti. L’alef, prima lettera dell’alfabeto, rappresenta il principio, la chiamata originaria, il momento in cui la storia della salvezza prende avvio.
  • ד (dalet) per דָּוִד (David), il re unto (mashiach) secondo il cuore di Dio (1 Sam. 13,14), il cui Trono è legato a una promessa eterna (2 Sam. 7,12-16). La dalet, quarta lettera, ha una valenza simbolica legata all’idea di «porta» (delet), richiamando l’idea che attraverso la dinastia davidica si apre il passaggio verso il compimento messianico.
  • ם (mem) per מָשִׁיחַ (Mashiach), il Messia, compimento delle promesse e speranza ultima di redenzione universale (Is, 11,1-10; Lc. 24,44-47). La Mem finale, con la sua tipica forma chiusa, suggella il percorso, rappresentando la pienezza e il compimento. La Mem finale — a differenza della Mem aperta — è chiusa, simbolo di ciò che è definitivo, perfetto e irreversibile: la pace messianica che conclude la storia.

In questa lettura tipologica, 'adam non è soltanto un nome individuale, ma un compendio narrativo: dall’elezione di Abraamo, alla regalità davidica, fino alla restaurazione cosmica operata dal Messia. Si delinea così un asse storico-salvifico in cui l’umanità intera, rappresentata in 'adam, è inserita nella trama della redenzione.

Sul piano omiletico, questo significa che ogni essere umano, in quanto 'adam, partecipa potenzialmente a questa storia: è chiamato, come Abraamo, a rispondere alla voce di Dio; a regnare, come Davide, sotto l’autorità divina; e a vivere nell’attesa e nella speranza del compimento messianico. In tal senso, 'adam diventa non solo un punto di partenza lessicale, ma un percorso esistenziale che attraversa la Scrittura e si riflette nella vita di ogni credente.

Poiché אָדָם (’adam) unisce in sé א — simbolo della divinità, dell’Uno assoluto — e דָּם, il sangue, la stessa parola sembra racchiudere un’eco del mistero della redenzione: il piano divino in cui il «sangue di Dio», versato per l’espiazione dei peccati, diventa il mezzo attraverso cui l’intera umanità viene riconciliata e salvata. E Adamo, questo, lo aveva scritto nel suo nome.


Conclusione

'Adam non è un lemma neutro né una designazione puramente antropologica: è un termine liminale, sospeso tra la polvere della terra e la gloria celeste. Filologicamente, unisce l’unità divina ('alef) alla vita terrena (dam); teologicamente, indica la vocazione alla somiglianza con Dio; narrativamente, riassume la traiettoria storica che conduce dall’elezione di Abraamo al compimento messianico.

Questo triplice livello fornisce un esempio di come il lessico biblico possa integrare fonetica, simbolismo e teologia. Esso richiama ogni lettore a riconoscere nella propria identità il riflesso di un disegno eterno: essere un ponte vivente tra cielo e terra, radicato nel sangue ma animato dal soffio dell’Unico.

In definitiva, dire אָדָם ('adam) significa pronunciare una parola che è insieme radice e destino, passato e promessa, ricordo e profezia. È confessare che l’essere umano non è solo ciò che è, ma ciò che è chiamato a diventare nella luce dell’Altissimo.

Condividi articolo
Etichette
Archivio
Accedi per lasciare un commento