Passa al contenuto

Parashat Acharei Mot (Lev. 16,1—18,30)

Chi salirà sul monte del Signore? La via del cuore puro e delle labbra sante
9 agosto 2025 di
Parashat Acharei Mot (Lev. 16,1—18,30)
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
| Ancora nessun commento

Introduzione

Viviamo in un tempo in cui la purezza è una parola sbiadita. Il concetto di santità, spesso confinato in ambiti liturgici o religiosi, ha perso la sua forza propulsiva nella coscienza morale dell’uomo moderno. Eppure, l’interrogativo antico risuona ancora potente come tuono dal cielo:

Chi salirà sul monte di YHWH? Chi potrà stare nel Suo luogo santo? (Sal. 24,3)

Le porzioni di Scrittura che oggi esploreremo ci conducono in un cammino audace tra fuoco e sangue, impurità e redenzione, idolatria e amore. Levitico 16–18 ci mostra il cuore sacro del culto d’Israele: il Giorno dell’Espiazione, ma anche l’urgenza di una vita sessualmente, spiritualmente e socialmente santa. Ez. 22 denuncia una nazione che ha profanato tutto ciò che era santo. Yeshua, nel Vangelo, ribalta ogni ipocrisia e ci chiama a guardare nel profondo del cuore. E infine, uno studioso serio della Torah può scoprire, con lo stupore del sapiente, che la vera essenza della Legge non è il rito, ma l’amore.

Ci attende una rivelazione: la santità non è un regolamento, ma una relazione. Non è un codice, ma un cuore. Non è solo un’azione, ma una trasformazione.


Parashah (Levitico 16,1–18,30)

L’altare, la capra e il confine della carne

Nel cuore della Torah risplende una liturgia unica: Yom Kippur, il giorno in cui il sommo sacerdote, solo, entra nel Santo dei Santi. Il sangue dell’espiazione viene sparso sull’arca dell’alleanza. Una capra viene sacrificata. Un’altra, caricata simbolicamente di tutte le colpe d’Israele, viene mandata nel deserto, in balia del demone Azazel.

Tutto in questo rito urla una verità solenne: la santità è costosa. La comunione con Dio non è scontata. Il peccato contamina, separa e uccide. Ma Dio provvede un modo per riunirci a Sé.

Il sangue espia. Il fuoco purifica. Il sacerdote intercede. Il popolo si umilia. È la liturgia della misericordia. Eppure, Levitico 17–18 ci avverte: il perdono non è una licenza. La sezione che segue il Kippur non parla più di offerte, ma di vita concreta: cosa mangiare, come onorare il sangue (che è la vita!), e soprattutto, come vivere la propria sessualità. Non secondo l’anarchia dell'Egitto o di Canaan, ma secondo la santità di un Dio che dimora in mezzo al Suo popolo.

Siate santi, perché Io, YHWH vostro Dio, sono santo (Lev. 19,2)

Qui non si tratta solo di morale: si tratta di presenza divina. Una vita profanata rende Dio distante. Una vita santa apre le porte alla Gloria.


Haftarah (Ezechiele 22,1-19)

La fornace dell’iniquità

Il profeta Ezechiele, nel capitolo 22, si fa voce di Dio che urla come un giudice tradito. Gerusalemme è chiamata «città sanguinaria», perché in essa il sangue scorre per le strade. I prìncipi sono lupi. I sacerdoti profanano le cose sacre. I profeti mentono. Il popolo opprime. Nessuno fa distinzione tra puro e impuro.

Io ho cercato un uomo che si ergesse come riparo davanti a Me, per la città, ma non l’ho trovato (Ez. 22,30)

Un passaggio terribile. Il Dio che perdona, il Dio che aspetta, il Dio che supplica… non trova un uomo. E allora, dice YHWH, «Ti scioglierò come metallo nella fornace» (vvv. 20-22). La connessione con Levitico è potente. Dove il sangue purificava, qui il sangue condanna. Dove il sacrificio riconciliava, qui il fuoco consuma. La città che doveva essere Tempio è diventata fornace. Il peccato non è solo individuale: corrompe il sistema, contamina i cuori e deforma la verità.

Ma c’è un’eco che ancora attende una risposta: chi sarà quell’uomo che si ergerà tra Dio e il popolo?


Besorah (Matteo 15,10-20; Marco 12,28-34)

Il cuore che contamina e la legge che salva

Yeshua, in Matteo 15, rompe la crosta dell’ipocrisia farisaica. I religiosi del Suo tempo erano ossessionati dalla taharah, la purità rituale: mani lavate, stoviglie purificate, regole su regole. Tutto doveva brillare... da fuori. Ma Yeshua guarda più in profondità:

Non è ciò che entra nella bocca che contamina l’uomo, ma ciò che esce dalla bocca (Mt. 15,11)

E continua:

Dal cuore provengono pensieri malvagi, omicidi, adulteri, fornicazioni, false testimonianze, calunnie.

Qui avviene lo spartiacque: la santità non è solo esterna. È interna. È questione di cuore. Yeshua non abolisce la Torah. Ne svela la profondità e il telos (il fine ultimo). Non nega il Levitico. Lo perfeziona. Là dove il sangue doveva essere sparso, Lui offrirà il proprio. Là dove le impurità erano fisiche, Lui mostra che sono spirituali.

Ma il colpo di scena arriva in Marco 12. Un sofer, un scriba esperto della Torah, chiede: «Qual è il comandamento più grande?»E Yeshua risponde con la Shema: «Ascolta, Israele [...]». Ma poi aggiunge: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». E lo scriba, colpito, dice: «Hai detto bene, Maestro [...] amare Dio e il prossimo vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Yeshua, allora, pronuncia una frase mozzafiato, come per dirgli "Bravo, ben detto!":

Tu non sei lontano dal Regno di Dio.

Non lontano, certo, ma ancora non dentro. Il Regno non si conquista con la sapienza, ma con la resa del cuore. Puoi conoscere i comandamenti a memoria, ma se non ne comprendi (e ne partichi) il loro fine, il Regno puoi vederlo solo "col binocolo", cioè da lontano come Mosè vide il panorama della Terra Promessa solo da lontano: non era lontano dal Regno, ma neanche dentro il Regno.


Conclusione

Dalla capra per Azazel al fuoco della fornace, dal cuore contaminato al comandamento dell’amore, lo Spirito ci conduce lungo un sentiero sottile e infuocato: Dio desidera un popolo santo, ma la vera santità non si misura con regole esterne, bensì con un cuore rinnovato. Levitico ci mostra che il peccato è reale e ha bisogno di espiazione. Ezechiele ci avverte che la nazione che dimentica la giustizia si avvia verso la rovina. Yeshua ci illumina sul fatto che la vera impurità è interna, e che la Torah si compie nell’amore. Ma l’amore non è solo sentimento: è sacrificio. È fuoco. È obbedienza. La santità non è per i perfetti, ma per i pentiti, così come il medico non è per i sani, ma per i malati che desiderano guarire. Non è per chi osserva ogni rito, ma per chi ha un cuore circonciso, un cuore che ama Dio con tutto se stesso.

Circoncidete il cuore
Fratelli e sorelle, oggi siamo chiamati ad alzare lo sguardo. Non solo a “pulire il bicchiere fuori”, ma a guardare dentro. Se Dio cercasse oggi un uomo, una donna che si erga tra Lui e il popolo, Lo troverebbe? Se il fuoco purificatore passasse per la tua vita, resterebbe oro o solo scorie?
Yeshua ha aperto la Via, non con sangue di capri, ma con il Suo. Non con un rito annuale, ma con un’offerta eterna. A noi resta una sola domanda: siamo pronti a lasciarci purificare? A lasciare che la Torah ci penetri fino al cuore? A vivere la santità non come imposizione, ma come risposta d’amore?
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio, dice la Scritrura. La porta è aperta. Il Regno non è lontano. Entraci. Con cuore puro, mani alzate e labbra che parlano vita.

Ascolta la parashah di Daniele Salamone (29/04/2023)


Condividi articolo
Etichette
Archivio
Accedi per lasciare un commento