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Importanza della preghiera nel nome di Yeshua

Non un fattore culturale, ma un comandamento del Maestro
4 settembre 2025 di
Importanza della preghiera nel nome di Yeshua
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
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Introduzione

Perché concludiamo le nostre preghiere con l’espressione nel nome di YeshuaGesù? Si tratta solo di un’abitudine religiosa tramandata dalla tradizione, oppure queste parole hanno un fondamento biblico e un significato profondo? In ambito evangelico-protestante, pregare nel nome di Yeshua è più che un semplice rituale: è un principio fondamentale insegnato dallo stesso Messia e radicato in tutta la Scrittura. Cominceremo considerando il comandamento diretto di Yeshua riguardo alla preghiera nel Suo nome. Successivamente analizzeremo il ruolo unico di Yeshua come mediatore tra Dio e gli uomini e vedremo perché l’invocazione del Suo nome non è un formalismo vuoto ma un gesto di fede e ubbidienza. Esploreremo poi come questa pratica trascenda le usanze culturali, costituendo una realtà universale per tutta la Kehillah, e infine rifletteremo sull’efficacia promessa alla preghiera fatta nel nome di Yeshua – e le conseguenze di trascurare tale istruzione.


L’istruzione di Yeshua: pregare nel Suo nome

Il fondamento di questa pratica si trova direttamente nelle parole di Yeshua. Nella notte in cui fu tradito, durante il discorso di addio ai discepoli, Yeshua enfatizzò ripetutamente la necessità di pregare nel Suo nome. Egli disse chiaramente:

e quello che chiederete nel mio nome, lo farò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio (Giov. 14,13)

Questa non fu un’istruzione isolata: Yeshua la ribadì immediatamente, aggiungendo

Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome io la farò (Giov. 14,14)

L’insistenza di Yeshua su questo punto è notevole. Nel medesimo discorso Egli affermò anche:

affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia (Giov. 15,16) 

sottolineando che la preghiera nel Suo nome è la via designata per ottenere risposta dal Padre.

In Giov. 16, poco prima della Sua passione, Yeshua approfondì ulteriormente il concetto. Disse ai discepoli che, una volta che Egli fosse tornato al Padre, il loro modo di pregare sarebbe cambiato:

In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda. In verità, in verità vi dico che qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Fino ad ora non avete chiesto nulla nel mio nome; chiedete e riceverete, affinché la vostra gioia sia completa (Giov. 16,23-24)

Qui Yeshua indica che fino a quel momento i discepoli non avevano ancora pregato direttamente nel nome di Yeshua, ma li invita a iniziare a farlo, con la promessa che il Padre avrebbe risposto e riempito di gioia il loro cuore. Pregare nel nome di Yeshua, quindi, non è un’invenzione posteriore della Kehillah, ma un’istruzione esplicita data da Yeshua stesso. Egli collegò a questa pratica una promessa potente di efficacia («lo farò [...] egli ve la darà»), mostrando che tale modo di pregare glorifica il Padre e rallegra il credente con le risposte ricevute.

Vale la pena notare che Yeshua non presentò il pregare nel Suo nome come un’opzione facoltativa o un dettaglio secondario, bensì come parte integrante della vita di preghiera dei Suoi discepoli. L’uso dell’espressione «in verità, in verità vi dico» (Giov. 16,23) indica l’importanza e l’assoluta certezza di ciò che stava affermando. Di fronte a queste chiare istruzioni, comprendiamo che concludere o formulare le preghiere nel nome di Yeshua non è un’aggiunta arbitraria: è il modo stesso in cui il Signore ci ha insegnato a rivolgerci a Dio. Ogni volta che pronunciamo con fede «nel nome di Yeshua/Gesù» in preghiera, stiamo dunque obbedendo direttamente a un comando del Messia. E, come disse il Maestro: «chi mi ama osserva i miei comandamenti» (Giov. 14,21.24).


Yeshua il Messia, l’unico mediatore tra Dio e l’uomo

Perché è così essenziale pregare nel nome di Yeshua? La risposta risiede nell’identità e nell’opera unica di Yeshua come mediatore. La Bibbia proclama chiaramente che

c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, il Messia Yeshua uomo (1 Tim. 2,5)

Un mediatore è colui che fa da tramite, che mette in contatto due parti altrimenti distanti. Mentre una volta c'era la figura del sommo sacerdote che fungeva da mediatore fra YHWH e il popolo d'Israele, oggi abbiamo il più grande Sommo Sacerdote, Yeshua, senza il quale non c'è alcuna mediazione. Nel caso della preghiera, Yeshua è il ponte tra noi esseri umani e il Dio tre volte santo. Egli stesso dichiarò:

Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Giov. 14,6) 

Questa affermazione decisiva esclude ogni altra via di accesso a Dio: possiamo avvicinarci al Padre solo attraverso il Figlio.

Invocare il nome di Yeshua nella preghiera significa dunque avvalersi di quella Via di accesso che Dio ha provveduto. Senza il Messia, saremmo tagliati fuori dalla comunione con Dio a causa del nostro peccato. La Scrittura insegna che è solo grazie a Yeshua che abbiamo «libertà e accesso a Dio, con fiducia, mediante la fede in lui» (Ef. 3,12). Allo stesso modo, «per mezzo di lui abbiamo gli uni e gli altri accesso al Padre in un medesimo Spirito» (Ef. 2,18). Notiamo in questi versi l’espressione «per mezzo di lui»: è tramite Yeshua, e non tramite noi stessi o qualsiasi altro, che possiamo accostarci a Dio. Quando preghiamo nel nome di Yeshua, stiamo riconoscendo in pratica questa realtà: Yeshua è l’unico mediatore e l’unica ragione per cui le nostre preghiere possono essere udite ed esaudite presso il Trono divino.

Possiamo comprendere l’importanza della mediazione del Messia attraverso alcune analogie. Pregare senza passare per Yeshua è come spedire una lettera senza francobollo: la lettera manca del requisito fondamentale per essere recapitata. Analogamente, una preghiera che non tenga conto della mediazione di Yeshua manca del “francobollo” spirituale necessario per raggiungere la destinazione, cioè il cuore del Padre. Un’altra metafora efficace è quella del telefono senza connessione: provare a comunicare con Dio senza Yeshua è come tentare di fare una telefonata senza essere collegati a una rete – la chiamata non può andare a buon fine. Yeshua è la nostra “linea” diretta con il cielo, Colui che ha aperto la via nuova e vivente mediante il sacrificio della Sua vita (Eb. 10,19-20). Infatti, nel momento in cui Yeshua morì sulla croce, «la cortina del tempio si squarciò in due» (Mt. 27,51), a simboleggiare che, grazie alla Sua morte espiatoria, ora l’accesso alla presenza di Dio è aperto a tutti coloro che si avvicinano per mezzo di Lui.

La mediazione esclusiva di Yeshua implica che nessun altro nome, per quanto rispettabile o religioso, può mettere in contatto l’uomo con Dio. Gli apostoli proclamarono:

Non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per il quale noi dobbiamo essere salvati (At. 4,12)

Se questo vale per la salvezza, che è la nostra riconciliazione iniziale con Dio, vale anche per la preghiera quotidiana: solo nel nome di Yeshua, che incarna il Nome eccelso di YHWH, troviamo accesso e favore presso YHWH stesso. In cielo abbiamo un Sommo Sacerdote e Avvocato che intercede per noi. La Bibbia dice che il Messia «vive sempre per intercedere» a favore di quelli che per mezzo di Lui si accostano a Dio (Eb. 7,25) e che «abbiamo un avvocato presso il Padre: Yeshua Messia, il giusto» (1 Giov. 2,1). Quando dunque preghiamo nel nome di Yeshua, facciamo valere l’intercessione del Messia e la Sua giustizia al posto della nostra indegnità. Presentiamo le nostre richieste non sulla base dei nostri meriti, ma sulla base del merito perfetto del Figlio di Dio.

In breve, pregare nel nome di Yeshua significa riconoscere che Yeshua è l’unica ragione per cui possiamo osare avvicinarci a Dio. Egli è il nostro Mediatore e Sommo Sacerdote. Ignorare il Suo nome nella preghiera equivarrebbe a pretendere di entrare alla presenza di Dio con le proprie forze – una sorta di arroganza spirituale destinata al fallimento, proprio come un israelita antico che fosse entrato nel luogo santissimo del Tempio senza il sommo sacerdote designato. Al contrario, invocare Yeshua è appoggiarsi con umiltà e fede sull’opera Sua:
Perciò, fratelli, avendo piena libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù… accostiamoci con cuore sincero in piena certezza di fede (Eb. 10,19.22)

Ecco perché ogni vera preghiera cristiana è fatta nel nome di Yeshua – senza di Lui non avremmo né diritto né capacità di rivolgerci a Dio.


Non un semplice formalismo, ma un atto di obbedienza sincera

Dato che pregare nel nome di Yeshua è un comando biblico del Maestro stesso, ripeterlo meccanicamente senza comprenderne il senso sarebbe svuotarlo del suo significato. Yeshua non intendeva che «nel mio nome» fosse una formula magica o una specie di sigillo automatico su ogni richiesta. Al contrario, vuole che quelle parole siano pronunciate con fede genuina e obbedienza sincera. Non si tratta di un formalismo liturgico, ma dell’espressione di un rapporto vivo con il Messia.

È importante chiarire cosa pregare nel nome di Yeshua non è e cosa è davvero:

  • Non è un mantra o una formula magica: le parole in sé non costringono Dio a esaudirci. Pronunciare all afine delle nostre preghiere le parole «nel nome di Yeshua» senza avere realmente fede in Yeshua stesso è come pronunciare parole vuote. Ricordiamo che Yeshua ha rimproverato chi onorava Dio a parole ma aveva il cuore lontano da Lui (Mt. 15,8). Quindi, dire la frase «nel nome di Yeshua» per abitudine, magari alla fine di una preghiera distratta, non ha alcun valore spirituale. Dio guarda al cuore, non alla mera ripetizione di frasi (1 Sam. 16,7; Mt. 6,7).
  • Non è un semplice “timbro” per convalidare i nostri desideri personali: pregare nel nome del Messia non significa che ogni nostra richiesta egoistica verrà approvata. La Scrittura avverte: «Chiedete e non ricevete, perché chiedete male per spendere nei vostri piaceri» (Giac. 4,3). Dunque pregare nel nome di Yeshua implica anche allineare le nostre richieste alla volontà e al carattere di Yeshua. Come afferma l’apostolo Giovanni: «questa è la fiducia che abbiamo in Lui: se domandiamo qualcosa secondo la Sua volontà, Egli ci esaudisce» (1 Giov. 5,14). Pregare nel Suo nome significa pregare come rappresentanti di Yeshua, cercando ciò che glorifica Dio e che è in armonia con l’insegnamento di Yeshua.

D’altra parte, ecco cosa significa realmente pregare nel nome di Yeshua:

  • È obbedienza al comando del Messia: come visto, Yeshua ci ha comandato di pregare nel Suo nome. Farlo con sincerità è un atto di ubbidienza e di amore verso di Lui, poiché Yeshua ha detto: «Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Giov. 14,15). Concludere le preghiere invocando Yeshua non è un’aggiunta superflua né un mero espediente culturale, ma parte dell’ubbidienza che gli dobbiamo come nostro Signore.
  • È riconoscere la nostra totale dipendenza da Yeshua: quando diciamo «Padre, ti prego nel nome di Gesù», stiamo confessando implicitamente: «Io vengo a Te non per i miei meriti, ma per i meriti di Tuo Figlio; non con la mia giustizia, ma con la Sua; non a causa di ciò che ho fatto io, ma per quello che Yeshua ha fatto per me». Questo atteggiamento onora il Messia e ci mantiene umili davanti a Dio, oltre a glorificare il Padre nel Figlio. È un atto di fede nella sufficienza dell’opera di Yeshua per noi.
  • È cercare la gloria di Dio attraverso il Figlio: Yeshua ha collegato la preghiera nel Suo nome alla gloria del Padre: «lo farò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio» (Giov. 14,13). Ciò significa che pregare nel nome di Yeshua, con il giusto spirito, ha come fine ultimo la gloria di Dio Padre attraverso l’opera del Messia. Chi non prega nel nome di Yeshua, non glorifica il Figlio e meno che mai il Padre! Non è una formula per manipolare Dio, ma un modo per partecipare al piano di Dio che esalta il Suo Figlio.

Quindi, dire «nel nome di Yeshua» alla fine (o all’inizio) di una preghiera è efficace solo se riflette una realtà interiore: la nostra fede nel Salvatore e il desiderio di fare la Sua volontà. Dio non si compiace dei formalismi ipocriti. Yeshua stesso denunciò le mere apparenze religiose, dicendo:

Non chiunque mi dice: «Kyrios, Kyrios», entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio (Mt. 7,21)

Parafrasando questo principio nella pratica della preghiera, potremmo dire: Non chiunque riconosce la Signoria e Deità di Yeshua otterrà risposta [anche i demoni lo riconoscono], ma chi realmente prega affidandosi a Yeshua e cercando la volontà del Padre. Pregare nel nome di Yeshua, quindi, è un atto di obbedienza sincera: le nostre labbra pronunciano quelle parole perché il nostro cuore crede in ciò che esse significano.


Oltre le usanze culturali: una pratica universale per la Kehillah

Alcuni potrebbero pensare (e in raltà lo fanno) che invocare il nome di Yeshua in preghiera sia semplicemente un’usanza culturale propria di certi gruppi cristiani o di certi periodi storici. Tuttavia, un esame della storia della Kehillah e soprattutto delle Scritture Apostoliche dimostra il contrario: pregare nel nome di Yeshua è una pratica universale che abbraccia tutti i veri credenti che hanno còlto l'insegnamento biblico, indipendentemente dalla cultura, dall’epoca o dal luogo. Non è una “formula evangelica americana” né un’invenzione moderna: è radicata nell’insegnamento apostolico e nella vita della Kehillah fin dal I secolo.

Nel libro degli Atti e nelle epistole, vediamo che il nome di Yeshua era centrale nella predicazione, nella guarigione dei malati, nel battesimo e, implicitamente, nella preghiera. Per esempio, i primi cristiani facevano tutto confidando nel nome del Signore Yeshua:

Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Yeshua, ringraziando Dio Padre per mezzo di lui (Col. 3,17)

Questo versetto, scritto dall’apostolo Paolo all'assemblea di Colosse, indica chiaramente che ogni aspetto della vita del credente (in parole o in opere) doveva essere vissuto nel nome di Yeshua, includendo certamente la preghiera e il rendimento di grazie. Similmente, Paolo esorta gli Efesini a pregare con gratitudine:

rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Yeshua Messia (Ef. 5,20)

Queste istruzioni, rivolte a comunità diverse (Colosse ed Efeso), mostrano che invocare il nome di Yeshua nella preghiera era la norma in tutte le assemblee apostoliche, non una peculiarità locale.

L'universalità di questa pratica emerge anche dal fatto che attraversa le barriere culturali e linguistiche. Già nelle Scritture Apostoliche, il Vangelo si diffuse dai Giudei ai Samaritani, ai Greci e ai Romani: popoli con culture diverse, uniti però da un’unica fede nel Messia. Tutti questi nuovi credenti pregavano allo stesso modo, appellandosi a Dio per mezzo di Yeshua. Nel corso dei secoli, nonostante la diversità delle tradizioni e denominazioni, la Kehillah fedele ha continuato a riconoscere che la preghiera va indirizzata a Dio nel nome di Yeshua. Che ci si trovi in Africa, in Asia, in Europa o nelle Americhe, il cristiano autentico sa che può dire «Padre celeste» solo perché aggiunge «nel nome di Yeshua». È un denominatore comune dell’esperienza cristiana: un credente cinese, uno africano, uno sudamericano e uno europeo possono avere lingue, musiche, stili di culto diversi, ma tutti condivideranno la pratica di pregare invocando il Signore Yeshua.

Questa pratica è universale anche nel senso che non è limitata a momenti particolari (come il culto pubblico), ma pervade la vita quotidiana del credente. Un bambino che impara a pregare a casa con i genitori, un giovane che prega da solo nella sua cameretta, un anziano che intercede in assemblea – tutti apprendono e capiscono che ci rivolgiamo al Padre «nel nome di Yeshua». Anche le preghiere comunitarie nelle chiese evangeliche in genere terminano con frasi come: «Te lo chiediamo nel nome di Gesù Cristo». L’universalità sta nel fatto che questa non è considerata un’aggiunta opzionale o facoltativa, ma il modo normale e corretto di pregare per come il Messia ha comandato. È così perché i cristiani riconoscono che l’autorità risiede nel Messia: come scrive Paolo, dopo la risurrezione Dio Padre ha «dato [a Yeshua] il Nome [YHWH] che è al di sopra di ogni nome» (Flp. 2,9). Pregare in quel Nome glorioso accomuna i credenti di ogni popolo, facendo capire al mondo che esiste un solo Signore e Salvatore.

Va anche sottolineato che questa prospettiva esclude altri mediatori. Nella tradizione evangelica, non preghiamo attraverso santi, angeli o altri intercessori umani defunti, ma solo attraverso il vivente nonrché risorto Yeshua Messia. Ciò contraddistingue la nostra pratica rispetto a correnti che aggiungono ulteriori figure di mediazione. Basandoci esclusivamente sulla Bibbia, riconosciamo che l’universalità dell’accesso a Dio non significa che chiunque possa inventare un mediatore a piacimento, ma che ogni credente in qualsiasi luogo ha lo stesso Mediatore. Come afferma Pietro in At. 10,43, «chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati mediante il suo nome». «Chiunque» crede – dunque persone di ogni cultura – viene perdonato e ammesso alla comunione con Dio nello stesso modo: mediante il nome di Yeshua. Allo stesso modo, chiunque prega, se vuole essere ascoltato, deve pregare tramite lo stesso nome. Non c’è differenza tra credente maturo e nuovo convertito, tra cristiano europeo o asiatico: entrambi dipendono interamente da Yeshua per accostarsi a Dio.

Infine, pregare nel nome di Yeshua non appartiene a una “denominazione” o a un particolare stile liturgico, ma appartiene all’essenza del cristianesimo biblico. È una ricchezza che la Kehillah sparsa nel mondo ha custodito perché espressamente voluta dal Signore. Supera le usanze culturali contingenti ed è valida per la Kehillah di ogni tempo e luogo. Ogni vero cristiano, dovunque si trovi, sa nel suo cuore che ha bisogno di Yeshua per pregare e che il nome di Yeshua è potente e preminente in ogni lingua. Chi non sente questo bisogno, probabilmente non appartiene al Messia.


L’efficacia della preghiera nel nome di Yeshua (e le conseguenze di farne a meno)

Abbiamo visto il comandamento e il significato di pregare nel nome di Yeshua; consideriamo ora l'efficacia promessa a tale preghiera e, per contrasto, cosa rischiamo se ne facciamo a meno. Yeshua non ci avrebbe dato questa istruzione se non fosse importante per l’efficacia della preghiera stessa. In effetti, nelle frasi di Yeshua che abbiamo già citato notiamo che alla condizione «nel mio nome» segue invariabilmente una promessa di risposta: «lo farò» (Giov. 14,14), «egli ve lo dia» (15,16), «egli ve lo darà» (16,23). Questo ci insegna che la potenza della preghiera non risiede nell’eloquenza di chi prega, né nella lunghezza o bellezza delle sue parole, ma nell’autorità del nome di Yeshua su cui la preghiera fa leva.

Invocare il nome del Messia in preghiera è efficace perché Yeshua ha tutta l’autorità in cielo e sulla terra (Mtl 28,18). Quando presentiamo una supplica nel Suo nome, è come se presentassimo una petizione firmata non con il nostro insignificante nome, ma con il timbro marchiato col sangue del Figlio di Dio. Possiamo immaginare la scena in termini umani: è come se arrivassimo davanti al Re (Dio Padre) e dicessimo: “Vengo a te non per autorità mia, ma in rappresentanza di tuo Figlio, nel suo nome”. Naturalmente, il Padre onora il nome del Figlio Suo diletto. Yeshua pregò al Padre dicendo: «Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato» (Giov. 17,11), ed è significativo che il nome che il Padre ha dato al Figlio – YHWH – sia ora il nostro rifugio e sigillo nelle preghiere. Dio è geloso del nome che ha dato a Yeshua e ha stabilito che ogni ginocchio si pieghi davanti a quel nome (Flp. 2,10). Dunque, una preghiera elevata con fede nel nome del Messia che incarna il Nome di Dio-YHWH porta con sé l’autorità di Yeshua stesso, ed è per questo che è tanto efficace.

La Scrittura e l’esperienza cristiana confermano che le preghiere fatte nel nome di Yeshua producono risultati concreti, secondo la volontà di Dio. Nelle Scritture Apostoliche vediamo, per esempio, che gli apostoli guarivano i malati e scacciavano demòni invocando il nome di Yeshua (At. 3:6; 16,18). Persino i ciarlatani invocavano il Suo nome, persino loro ne avevano capito l'importanza sebbene ne facessero un cattivo uso (At. 19,13). Quando i credenti pregavano per i miracoli e la salvezza delle persone, lo facevano confidando in quel Nome. Giacomo insegna agli ammalati a farsi ungere dagli anziani «nel nome del Signore» (Giac. 5,14), indicando che la guarigione viene per l’autorità del Messia. Questo non significa che ogni richiesta diventi automaticamente realtà pronunciando le parole magiche “nel nome di Gesù” – come già discusso, deve essere secondo la volontà di Dio – ma significa che senza l’autorità di Yeshua le nostre richieste sarebbero inascoltate. Dio stesso ha stabilito che la preghiera cristiana funzioni in questo modo: «qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome, egli ve la darà» (Giov. 16,23). È una promessa che il credente può abbracciare con fiducia.

Ora, consideriamo brevemente le conseguenze di “farne a meno”, ovvero di tentare un approccio a Dio che ignori la mediazione del Messia. In pratica, se una persona rifiutasse di pregare nel nome di Yeshua – magari pensando di potersi avvicinare a Dio con la propria giustizia o tramite altri mediatori – avrebbe due gravi problemi: (1) disobbedirebbe a un comando diretto di Yeshua, e (2) rinuncerebbe alla garanzia di essere ascoltato, perché uscirebbe dal modello stabilito da Dio. Tornando alle nostre metafore: una preghiera senza Yeshua come mediatore è come una lettera senza francobollo – non arriva a destinazione – e come una telefonata senza rete – non c’è segnale né connessione. Questo non perché il nome di Yeshua sia una formula magica, ma perché senza la Sua persona e la Sua opera non abbiamo alcun titolo per essere esauditi. Il Profeta Isaia ci ricorda che «le vostre iniquità hanno fatto separazione fra voi e il vostro Dio» (Is. 59,2); se non fosse per Yeshua che toglie i nostri peccati e intercede per noi, quella separazione rimarrebbe e le nostre preghiere rimbalzerebbero a vuoto.

Un esempio biblico indiretto dell’impotenza di un’invocazione priva di reale comunione con Yeshua si trova in At. 19,13-16, dove alcuni uomini (i figli di Sceva) tentarono di scacciare spiriti maligni pronunciando il nome di Yeshua senza però conoscere davvero il Messia. Il demone rispose: «Yeshua lo conosco [...] ma voi chi siete?» e quegli uomini furono pestati di botte, dimostrando in primo luogo che essere dei ciarlatani, in secondo luogo che pronunciare il nome di Yeshua senza appartenergli è pericolosamente inutile. Questo episodio riguarda un esorcismo, ma il principio si può applicare: ciò che conta è essere nel Messia agire in base alla Sua autorità reale. Se togliamo Yeshua dall’equazione, restiamo nudi spiritualmente. Persino le nostre migliori intenzioni o la nostra giustizia personale non possono sostituire la potenza che c’è nel nome di Yeshua.

Inoltre, scegliere di non pregare nel nome di Yeshua, relegando questa pratica a una mera accezione culturale, equivarrebbe a misconoscere l’onore dovuto a Lui. Yeshua ha pagato un prezzo enorme – la Sua vita – per aprirci questa strada di preghiera e di comunione con Dio. Ignorare il Suo comandamento a pregare nel Suo nome sarebbe come dire che non abbiamo bisogno del Suo sacrificio o della Sua intercessione, cosa che costituisce un grave errore teologico e spirituale. L’autore agli Ebrei avverte di non accostarsi a Dio con superficialità, ma solo tramite il sommo sacerdozio del Messia (Eb. 4,14-16). Se trascurassimo questo, ci priveremmo volontariamente della “chiave” che apre il Trono della grazia. Al contrario, «accostiamoci dunque con piena fiducia al Trono della grazia» (Eb. 4,16) – e quella piena fiducia deriva dal sapere che siamo coperti dal nome e dal sangue di Yeshua.

Riassumendo, la preghiera fatta nel nome di Yeshua è efficace perché appoggiata sull’autorità, l’opera e la persona stessa del Figlio di Dio. Dio ha piacere di rispondere a chi onora Suo Figlio invocandolo. Come Yeshua disse: «Il Padre stesso vi ama, poiché voi mi avete amato e avete creduto che io sono venuto da Dio» (Giov. 16,27). Pregare nel nome di Yeshua dimostra proprio questo: che amiamo Yeshua e crediamo in Lui come mandato da Dio. E il Padre ama coloro che onorano il Figlio. Le preghiere che mancano di questa componente fondamentale – il nome di Yeshua – sono destinate a restare inefficaci perché mancano di ciò che dà loro valore agli occhi di Dio. In altre parole, il nome di Yeshua è la firma in calce alle nostre preghiere: senza di essa, il “documento” della preghiera non ha validità; senza di essa, io non rispondo mai con «amen» alla fine di una preghiera, perché non posso approvare né condividere una preghiera non mediata dal nome di Yeshua; con essa, invece, le nostre suppliche arrivano sulla scrivania del Re dei re con il sigillo dell’autorità del Messia.


Conclusione

Alla luce di questo percorso biblico, possiamo affermare con certezza che pregare nel nome di Yeshua non è un vezzo liturgico né un’invenzione umana, ma il cuore stesso della preghiera cristiana autentica. È Yeshua che ce lo ha insegnato, e lo ha confermato l’intera testimonianza scritturale. Per i credenti – e per chiunque voglia pregare secondo la volontà di Dio – non c’è altro modo accetto di accostarsi a Dio se non attraverso il Figlio. Questo principio è al contempo dottrinalmente solido e spiritualmente confortante: dottrinalmente, perché salvaguarda la centralità del Messia come unico mediatore; spiritualmente, perché dà al credente la fiducia che le sue preghiere sono udite non per il proprio valore, ma per l’amore che il Padre ha per il Figlio.

Ricordiamo sempre le parole stesse del Signore:

Qualunque cosa chiederete nel mio nome, io la farò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio (Giov. 14,13)

Pregare nel nome di Yeshua glorifica Dio Padre, perché riconosce ciò che Yeshua ha fatto per noi e lo eleva al di sopra di tutto. In un’epoca in cui si potrebbe essere tentati di cercare scorciatoie o adottare modi “innovativi” di pregare, torniamo alla semplicità e alla potenza del modello biblico: rivolgiamoci al Padre celeste confidando interamente in Yeshua. Non c’è preghiera più sicura e più efficace di quella che porta impressa il nome di Yeshua dal principio alla fine.

Che tu sia un credente maturo o una persona nuova nella fede, questa verità rimane la stessa ed è fonte di grande incoraggiamento: hai libero accesso al Trono di Dio in ogni momento, perché Yeshua te l’ha garantito con la firma del Suo sangue. Ogni volta che preghi nel Suo nome, il Cielo ti ascolta. Dunque, facciamo tesoro di questo privilegio. Come dice Eb. 4,16, «Accostiamoci dunque con piena fiducia al Trono della grazia», e noi sappiamo di poterlo fare nel nome glorioso di Yeshua.


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