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Parashat BeHar (Lev. 25,1—26,2)

Deror / Ge’ullah: il Giubileo compiuto
30 agosto 2025 di
Parashat BeHar (Lev. 25,1—26,2)
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
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Introduzione

Tra la porzione di Behar (Lev. 25,1–26,2), la haftarah di Geremia (32,6-27) e la besorah secondo Luca (4,14-22) corre un filo rosso unico: la ge’ullàh, la redenzione. In Behar, il Signore istituisce un’architettura di tempo e terra che restituisce ciclicamente persone e proprietà alla loro origine; in Geremia, un Profeta compra un campo inutile in tempo di assedio come segno tangibile che la storia non finirà in un vicolo cieco; in Luca, Yeshua proclama l’«anno di grazia del Signore», interpretando la propria missione con il vocabolario del Giubileo (Lc. 4,18-19). Il concetto chiave è דְּרוֹר (deròr) — «libertà» — nel cuore del capitolo giubilare (Lev. 25,10) e reso dalla LXX con ἄφεσις (áphesis), termine che in Luca/LXX significa tanto “liberazione” quanto “remissione” (Lc. 4,18; cfr. Is. 61,1-2 LXX). Scegliamo allora deròr e ge’ullàh come lenti per leggere insieme Torah, Nevi’im e Scritti Apostolici: la libertà che Dio proclama, la redenzione che Egli impegna a compiere, la prassi concreta che chiede al suo popolo.


Parasha (Lev. 25,1—26,2)

Yovel, deròr e il diritto di riscatto

Il capitolo cardine di Behar stabilisce due istituzioni intrecciate: Shemittah (anno sabbatico) e Yovel (Giubileo) (Lev. 25,1-12). La terra deve riposare ogni sette anni (25,4-7); dopo sette sabati di anni, il cinquantesimo è consacrato come Giubileo, inaugurato dal suono dello shofar a Yom Kippur (25,8-9; cfr. Es. 19,13 sulla voce dello yovel). In quel giorno Israele deve «proclamare deròr nella terra per tutti i suoi abitanti» — libertà che significa ritorno alla famiglia e alla proprietà (25,10). La legislazione sviluppa poi due assi:

  1. La terra è di YHWH. «La terra è Mia; voi siete presso di Me come forestieri e inquilini» (25,23). È teologia proprietaria: Israele non possiede, ma amministra. Questa verità sorregge il limite alle accumulazioni irreversibili: le vendite sono in realtà affitti fino al Giubileo, calcolati in base ai raccolti rimanenti (25,15-16). La terra, tornando ciclicamente alla famiglia d’origine, nega il diritto assoluto dell’uomo sulla creazione e tutela gli anelli deboli della catena sociale.
  2. La persona è di YHWH. Se il fratello cade in povertà, lo si sostiene senza interesse o usura (25,35-38); se si vende come servo, non si tratta «con durezza» ma «come salariato e forestiero», sapendo che al Giubileo uscirà libero (25,39-43). Il fondamento teologico è programmatico: «Poiché i figli d’Israele sono Miei servi [...] li ho fatti uscire dall’Egitto» (25,55). Chi appartiene a YHWH non può appartenere definitivamente a nessun altro.
Il meccanismo della ge’ullàh

Il capitolo articola il mishpat ha-ge’ullàh — «diritto di riscatto»: se un parente ha venduto un campo, «verrà il suo go’èl (redentore prossimo) e riscatterà ciò che il parente ha venduto»; se l’uomo stesso ritrova le risorse, ne calcolerà il prezzo residuo e riscatterà (25,25-27). La ge’ullàh è quindi giustizia di prossimità: un legame di sangue si fa scudo giuridico contro la definitiva alienazione. Filologicamente, גָּאַל (ga’al) denota l’atto del parente che “prende su di sé” la perdita dell’altro per restituirlo al suo posto. דְּרוֹר (deròr), spiega Rashi, è

libertà come di colui che può dimorare (דָּר) in una provincia e trasferirsi in un’altra senza impedimenti (Commento di Rashi a Lev. 25,10; cfr. b. Rosh Hashanah 9b)

Il Targum Onqelos rende deròr con cherut (libertà), sottolineandone la qualità pubblica e stabile (Onqelos a Lev 25,10).

Santificate l'anno del cinquantesimo anno e proclamate la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti; sarà per voi un giubileo; ognuno tornerà nella terra dei suoi padri e ognuno tornerà nella sua famiglia.

La tradizione halakhica precisò tempi e modalità: il suono dello shofar a Yom Kippur segna l’effettiva liberazione degli schiavi e il ritorno dei campi (b. Rosh Hashanah 8b–9b; Mishnah Arakhin 7–9; Sifra, Behar 1).

Risonanze etiche

Maimonide, alla fine delle Hilkhot Shemittàh veYovèl, universalizza il principio: non solo la tribù di Levi, ma «chiunque si separi per servire il Signore [...] diventa santo dei santi» (Rambam, Mishneh Torah, Shemittàh veYovèl 13,12–13). La logica giubilare è dunque vocazionale: si rinuncia alla presa assoluta su tempo, denaro, terra e persone, perché tutto è di Dio (motivo per il quale nell'ebraico biblico non esiste il verbo "avere"). In questa luce, l’osservanza dei sabati, dei timori del Santuario e il rifiuto dell’idolatria (26,1-2) non sono postille rituali, ma garanzie dell’ordine giubilare: dove si fabbricano idoli, si spezzano sabati e si profana il Santuario, lì inevitabilmente si profana anche la persona e la terra.

Questa architettura non resta astratta. Nella haftarah, in piena catastrofe storica, un Profeta la incarna con un gesto notarile che sa di follia agli occhi del mondo e di fede agli occhi di Dio.


Haftarah (Ger. 32,6-27)

Un atto di riscatto come profezia

Geremia è in prigione; Gerusalemme, assediata dai Caldei, sta per cadere (32,2). Proprio allora lo visita Hanamel, figlio di suo zio:

Compra il mio campo ad Anatot, perché a te spetta il diritto di riscatto e la ge’ullàh (32,7)

È la forma identica al diritto di Lev. 25 (25,25–27). Geremia compra il campo, pesa l’argento, redige e sigilla il sefer ha-miknah (atto di acquisto), consegna l’atto a Barukh e ordina che sia riposto in un vaso di terra «perché si conservi a lungo» (32,10-14). Perché questo gesto assurdo? La risposta oracolare:

Case, campi e vigne torneranno ad essere comprati in questo paese (32,15)

Vi sono tre tratti meritevoli d’attenzione:

  1. La halakhah come profezia. La ge’ullàh non è soltanto diritto privato; nelle mani del Profeta diventa segno escatologico. Applicare Lev. 25 nel giorno peggiore testimonia che la storia reale è sotto la Parola di Dio. La Torah non è disinnescata dalla crisi; è proprio nella crisi che va praticata.
  2. La speranza come pratica economica. Geremia investe in un bene illiquido e perduto per generare memoria di futuro. La speranza biblica non è ottimismo sentimentale, ma una decisione economica coerente con la promessa: «Nulla è troppo difficile per te» (Ger. 32,17; cfr. v. 27). In giorni di “mercati ribassisti” della fede, la comunità messianica compie acquisti che agli occhi del mondo sono ingenuità e agli occhi di Dio sono liturgie di restituzione.
  3. Dio come Go’èl. Se il parente prossimo è il redentore sulla terra, YHWH è il Go’èl ultimo del Suo popolo (Is. 41,14; 43,14). La ge’ullàh umana è mimesi della redenzione divina. Geremia agisce da go’èl perché confida nel Go’èl d’Israele. Così, dalla legge (Levitico) passiamo alla profezia (Geremia), dove il Giubileo è anticipato come gesto, sigillo e archivio di speranza.

Restava da ascoltare una voce che, entrata nella Sinagoga, avrebbe preso il rotolo e dichiarato che oggi quel Giubileo è arrivato nel Messia.


Besorah (Lc 4,14-22)

«Oggi» l’áphesis è annunciata

Nella Sinagoga di Nazareth, Yeshua legge Isaia:

Lo Spirito del Signore è sopra di me [...] mi ha mandato ad annunciare ai poveri la buona notizia, a proclamare ai prigionieri la áphesis (liberazione), ai ciechi la vista; a rimettere (áphesis) gli oppressi, a proclamare l’anno accetto del Signore» (Lc. 4,18-19; Is. 61,1-2 LXX)

Chiude il rotolo e dice:

Oggi si è adempiuta questa Scrittura nei vostri orecchi (4,21)

La LXX rende deròr con áphesis: liberazione giuridica e soteriologica. Nelle Scritture Apostoliche áphesis è la parola della remissione dei peccati (Lc. 24,47; Ef. 1,7), ma già in Levitico designa la liberazione reale di persone e campi. In Yeshua, i due vettori si uniscono: il Messia non annuncia una spiritualità disincarnata, bensì una economia del Regno dove il perdono ricostruisce legami, restituisce soggetti e smonta oppressioni.

L’«oggi» di Luca è la chiave: non solo futura ge’ullah, ma irruzione presente. La Sinagoga ascolta, si stupisce, poi inciampa (4,22-30): il Giubileo messianico destabilizza i campioni dell’appartenenza ristretta. Il Messia che proclama deròr non conferma i privilegi; allarga i confini, come già Elia ed Eliseo tra i pagani (4,25-27). Se in Behar la terra «è di YHWH» (Lev. 25,23), in Yeshua tutti i poveri, i prigionieri, i ciechi e gli oppressi diventano «territorio» del Regno.

La comunità messianica traduce, quindi, l’áphesis in forme concrete: condivisione dei beni (At. 2,44-45; 4,32-35), remissione dei «debiti» (il termine lo dice: opheilēmata) nella preghiera del Signore (Mt. 6,12), ritmi di riposo che anticipano l’«oggi» del riposo promesso (Eb. 4,9-10). Non è un caso che Luca colleghi spesso lo Spirito Santo all’economia della misericordia: l’olio che guarisce scende sulle fratture reali.


Conclusione

Behar ci ha insegnato che il Giubileo è memoria istituzionale della liberazione dall’Egitto (Lev. 25,55). Geremia ha mostrato che la ge’ullàh è gesto anticipatore in mezzo al disastro (Ger. 32,15-17). Luca ci ha fatto ascoltare dalle labbra del Messia che oggi l'aphesis è annunciata e inaugurata (Lc. 4,21). La posta in gioco è una conversione del possesso: non siamo padroni — né della terra, né delle persone, né del tempo — ma servi liberati, resi responsabili della libertà altrui.

Piste pastorali (concrete e verificabili):
  • Sabatizzare il tempo: reintrodurre cicli di riposo reale che spezzino le catene della produttività idolatrica (Lev. 25,4; Eb. 4,9-10).
  • Fondi di ge’ullàh: creare casse comunitarie per riscattare “campi” perduti — affitti, bollette, debiti microcreditizi — come segno di deròr praticata (Lev. 25,25-27; At. 4,34-35).
  • Remissione relazionale: istituzionalizzare “giubilei” di riconciliazione e perdono, curando processi di mediazione (Mt. 6,12; Lc. 4,18).
  • Custodia della terra: la shemittàh ispiri pratiche ecologiche comunitarie (rotazioni, pause di sfruttamento, cura del creato) perché la terra «è di YHWH» (Lev. 25,23).
  • Formazione al deròr: studio biblico sul nesso tra perdono dei peccati e liberazione sociale (aphesis), per una spiritualità non disincarnata (Lc. 4,18; Lc. 24,47).
Invito all'azione rivolto alla Kehillah.
In qualunque tempo tu stai leggendo questo articolo, scegli un gesto di ge'ullah da compiere, con discrezione e senza far squillare le trombe.

Scegli chi aiutare
Individua una persona o famiglia che oggi manca di «deròr» (affitto arretrato, bollette sospese, debito piccolo ma soffocante, tempo di cura inesistente per carichi di lavoro, consolazione, aiuto spirituale). Chiama o incontra quella persona e chiedi: «Posso darti una mano pratica questo mese?». Evita domande invasive; punta a un bisogno concreto e verificabile (una mensilità d’affitto, una bolletta specifica, un buono spesa, frigorifero vuoto, bisogno spirituale urgente). Se preferisce discrezione, concorda modalità anonime (bonifico con causale generica, buono digitale, contanti consegnati tramite terza persona di fiducia). L'aiuto può essere sia materiale che spirituale, purché porti a concretezza una risoluzione del problema.


Non rigettare l'aiuto
Se oggi sei tu ad avere bisogno, non aspettare che qualcuno lo intuisca: parla! E se l’aiuto ti viene offerto spontaneamente, non respingerlo. Non sentirti un peso e non schermarti con frasi come «No, va tutto bene, non ho bisogno». Mentire per pudore ferisce te e chi desidera amarti (e anche Dio). Non voltare le spalle a mani tese: non puoi rifiutare l’aiuto di chi ti ama e poi pretendere che Dio intervenga «in altro modo». Dio spesso opera proprio attraverso quei fratelli e sorelle; se chiudi quella porta, non aspettarti oro dal cielo: hai già respinto il "Suo modo" e le mani di cui Egli si voleva servire.


Crea un “fondo di riscatto” semplice con 2-3 fratelli entro la scadenza del debito.
Invita due o tre persone affidabili, concordate e disponibili economicamente: 
  • Obiettivo (coprire una mensilità o una bolletta);
  • Importo (indicativamente 100-300 € a testa; totale 300-900 €, o qualunque somma si riesce a raccogliere anche a importi più piccoli);
  • Scadenza (versare entro 7 giorni);
  • Canale (IBAN/bonifico, buono spesa o pagamento diretto della bolletta [preferibile]).
Nominate un referente che custodisca ricevute e conferme di pagamento. Comunicate al beneficiario: «Questo è un dono, senza interessi né condizioni». Se il bisogno supera le vostre forze, valutate due step: (a) coprire subito il minimo vitale; (b) accompagnare verso consulenza debiti/servizi sociali. Trasparenza all’interno del gruppo, riservatezza all’esterno.

Fissa ora una “shemittàh personale”
Scegli una data entro le prossime 4 settimane. Dalla sera precedente alla sera del giorno scelto:
    • Non fare: lavoro retribuito, email professionali, acquisti non necessari, pianificazione economica.
    • Fai (scegli l'ozione più fattibile e adatta a te):
      • 90 minuti di ascolto e preghiera con la Scrittura;
      • 90 minuti di servizio concreto (visita, pasto, babysitting, accompagnamento);
      • 90 minuti di “cura della terra” (orto, pulizia di un’area, giardinaggio, piantare un albero) o di riposo rigenerante con la famiglia (stacca TV, videogiochi e qualinque tipo di distrazione ti tenga lontano dal coniuge e dai figli in casa).
      • Prepara in anticipo (spesa fatta, agenda libera, telefoni in modalità essenziale). Se lavori a turni, concorda uno scambio; se hai famiglia, trasformalo in pratica domestica condivisa. 
L’obiettivo è spezzare il ciclo del possesso del tempo e restituirlo a Dio e ai bisognosi (inclusa la propria famiglia).

Attua l’«áphesis» (remissione)
Scrivi su un foglio il nome della persona verso cui nutri un credito o un risentimento. 
  • Se è un debito etico o morale verso di te, prega e dichiara: «Davanti a Dio, oggi scelgo di rimettere questo debito e di non tenerne più conto nel mio cuore».
  • Se è un debito economico piccolo e puoi farlo senza creare ingiustizia verso terzi, comunicalo con sobrietà: «Considera questo debito estinto». Se sei tu il debitore, formula un piano realistico di restituzione (es.: 50 € al mese per 6 mesi) e comunicalo subito.
  • Non contattare persone che ti hanno abusato o dove riaprire il rapporto sarebbe controproducente: in questi casi, la remissione resta davanti a Dio e si accompagna a confini chiari e, se necessario, a un confronto con un responsabile di comunità o un consulente. Dopo aver pregato, distruggi il foglio come segno.

Verifica fra 30 giorni
Segna oggi in agenda un promemoria tra 30 giorni: verifica se i quattro gesti sono stati compiuti; se sì, ringrazia; se no, identifica l’ostacolo e programma un passo più piccolo e realistico per il mese successivo. L’oggi del Giubileo cresce con atti piccoli, chiari e ripetuti, così come un possente palazzo si costruisce con piccoli mattoni posati uno alla volta.

Ascolta anche la parashah del 13/05/2023) 

 

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