Shalom, sorella Laetitia
Domanda bellissima e centrale
In tutta la Scrittura il perdono viene da Dio. I farisei si scandalizzano proprio perché Yeshua pronuncia parole divine: «Figliolo, i tuoi peccati sono perdonati» (Mc. 2,5-7). Le Scritture Apostoliche ribadiscono che «se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da perdonarci» (1 Giov. 1,9). Dunque la sorgente è sempre Dio.
Esattamente ciò che faceva il sacerdote al Kippur: applicava e dichiarava l’espiazione stabilita da Dio. Nel Tanakh si dice che il sacerdote «farà l’espiazione» (Lev. 4; 16), ma non perché il perdono provenisse da lui: il sacerdote amministrava un perdono che Dio accordava in virtù del sangue e del rito da Lui prescritto.
La stessa logica si compie nel Messia: Yeshua affida agli apostoli il ministero di annunciare, applicare e dichiarare il perdono che Dio concede in virtù della Sua morte e risurrezione.
In Giov. 20,22-23 Yeshua soffia su di loro («Ricevete lo Spirito Santo») e dice: «A chi perdonerete i peccati saranno perdonati; a chi li riterrete saranno ritenuti». In greco i verbi successivi sono al perfetto passivo («sono stati perdonati/ritenuti»): il senso è dichiarativo e ricognitivo. In altre parole: quando la Kehillah, nello Spirito, assolve o trattiene, riconosce e attesta sulla terra ciò che Dio ha già vincolato o sciolto nei cieli. Non diventa la fonte del perdono; ne diventa l’ufficiale araldo e il tribunale applicativo.
Questo combacia con le «chiavi» e con il «legare/sciogliere» (Mt. 16,19; 18,18), linguaggio giuridico rabbinico: ammettere o escludere, assolvere o trattenere, secondo la Torah del Messia. È l’istituzione di un bet-din (tribunale) dentro la Kehillah, che amministra disciplina, ravvedimento e riconciliazione.
Yeshua stabilisce una regola semplice e ferma: «SE tuo fratello pecca, rimproveralo; SE si pente, perdonalo» (Lc. 17,3-4). Il perdono non è automatico né arbitrario: è legato al ravvedimento e alla fede nel Messia. Per questo Pietro annuncia: «Ravvedetevi [...] per il perdono dei peccati» (At. 2,38); e ancora: «Chiunque crede in Lui riceve il perdono» (At. 10,43). Quando c’è ravvedimento, la Kehillah proclama: "Dio ti ha perdonato nel Messia Yeshua".
Nel giorno di Kippur il sommo sacerdote confessava i peccati sul capo del capro e il capro veniva allontanato (Lev. 16): immagine potentissima della rimozione della colpa. Il sacerdote non “creava” il perdono; amministrava il segno che Dio aveva dato. Così oggi gli anziani e i ministri, nello Spirito, ascoltano la confessione (Giac. 5,16), pregano, e dichiarano ciò che Dio compie per il sangue dell’Agnello (Ap. 1,5). Devono anche riconoscere se c'è pentimento autentico.
Ci sono tre step utili da seguire:
- Annuncio: la Kehillah proclama «il ravvedimento e il perdono dei peccati nel suo Nome» (Lc. 24,47).
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Discernimento: dove c’è ravvedimento genuino, si assolve (2 Cor. 2,7-10: Paolo perdona “alla presenza del Messia”); dove c’è ostinazione, si trattiene (Mt. 18,15-17), non come vendetta ma come appello alla coscienza.
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Dichiarazione: «I tuoi peccati sono stati perdonati in Yeshua» — non per autorità umana ("io ti assolvo/perdono"), ma in forza dell’opera compiuta dal Messia, riconosciuta sulla base della confessione e della fede.
Quindi, solo Dio perdona in senso ontologico. Yeshua ha dato alla Sua comunità, nello Spirito, l’autorità ministeriale di applicare la Sua grazia: ammettere, assolvere, trattenere — dichiarando sulla terra ciò che il Cielo ha operato in Lui. La via è quella di Kippur: confessione, ravvedimento, sangue dell’Agnello, e una dichiarazione autorevole che libera la coscienza.