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Autenticità testuale della confessione trinitaria di Matteo 28,19

Evidenze testuali e patristiche a difesa dell’autenticità della formula trinitaria di Matteo 28,19
22 agosto 2025 di
Autenticità testuale della confessione trinitaria di Matteo 28,19
Yeshivat HaDerek, Daniele Salamone
Il perpetuarsi di stereotipi passati 
Uno degli argomenti prediletti da coloro che negano la dottrina trinitaria consiste nel sollevare dubbi circa l’autenticità della confessione battesimale di Matteo 28,19. In realtà, più che fondarsi su un’analisi rigorosa dei manoscritti e delle fonti, tali posizioni si limitano a perpetuare stereotipi ormai logori e confutati, ripetuti acriticamente da autore in autore. Non si tratta di ricerche fondate sull’evidenza documentaria, ma di semplici “sentito dire” trasformati in assiomi, senza il minimo vaglio critico.
Si assiste così a un fenomeno ricorrente: poiché la dottrina trinitaria appare sgradita a molti per questioni ideologiche, teologiche, dottrinali e fisolofiche, qualsiasi voce che sembri metterla in discussione viene immediatamente accolta e amplificata, indipendentemente dalla sua attendibilità storica e filologica. In questo modo, materiali di dubbia origine e prive di autentico fondamento critico si trasformano, per i negatori, in “prove” da brandire contro secoli di testimonianza testuale, patristica e liturgica.
Questa dinamica rivela non tanto la forza degli argomenti contrari, quanto piuttosto una certa disinvoltura metodologica: là dove la critica seria richiede verifica diretta dei manoscritti, valutazione delle varianti, confronto con le versioni antiche e contestualizzazione storica, i detrattori preferiscono scorciatoie ideologiche. Il risultato è che opinioni isolate, talvolta già smentite dalla comunità accademica, vengono riproposte come certezze. In verità, si tratta di un atteggiamento che tradisce più un pregiudizio teologico che una ricerca filologica.

Introduzione

Il finale del Vangelo di Matteo (28,16-20), noto come mandato missionario, rappresenta uno dei vertici teologici delle Scritture Apostoliche. In esso, il Risorto affida ai discepoli il compito universale:

Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte le cose che vi ho comandate; ed ecco, Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente (Mt. 28,19-20)

La clausola battesimale «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» ha costituito, fin dalle origini, il fondamento della prassi sacramentale e della dottrina trinitaria. Tuttavia, a partire dall’età moderna, alcuni studiosi hanno sollevato dubbi circa la sua autenticità, ipotizzando che essa fosse un’aggiunta liturgica posteriore, destinata a riflettere lo sviluppo dogmatico del cristianesimo.

L’obiettivo di questo studio è mostrare che la formula trinitaria di Matteo 28,19 deve essere considerata genuina. A tal fine, esamineremo le testimonianze testuali, i manoscritti, le versioni antiche, i teologi patristici, nonché le prassi liturgiche primitive. Prenderemo in considerazione anche le obiezioni critiche, mostrandone i limiti e confutandole con dati concreti.


La testimonianza dei manoscritti

L’aspetto più significativo della questione è il dato della tradizione testuale. Tutti i principali codici greci che tramandano Matteo 28,19 riportano la formula trinitaria:

  • Codex Sinaiticus (ℵ, IV secolo) — contiene integralmente la formula.
  • Codex Vaticanus (B, IV secolo) — conserva il passo senza varianti.
  • Codex Alexandrinus (A, V secolo) — legge la formula completa.
  • Codex Bezae (D, V secolo) — benché noto per le sue varianti, in Mt. 28,19 riporta anch’esso la formula trinitaria.
  • Codex Washingtonianus (W, IV-V secolo) — tramanda la clausola in linea con la tradizione.
  • Codex Purpureus Rossanensis (Σ, VI secolo) — riporta regolarmente il testo con la formula.

Solo il Codex Ephraemi Rescriptus (C, V secolo) non presenta il passo, ma per ragioni di lacuna materiale: i fogli finali di Matteo sono andati perduti, e quindi non disponiamo del testo di Mt. 28,19. Lo stesso vale per i frammenti papiracei (come 𝔓105), che non giungono al versetto in questione.

Ciò significa che nessun manoscritto greco noto omette la formula trinitaria per scelta testuale. L’apparato critico di Nestle-Aland (28ª edizione) registra come sostegno al passo i codici א, A, B, D, W, la tradizione bizantina (Byz) e le versioni antiche (latina, siriaca, copta). Il silenzio di eventuali varianti è un dato eloquente: se fosse esistita una forma più breve («nel mio nome»), sarebbe improbabile che essa fosse stata cancellata così uniformemente dalla tradizione.

La stabilità del testo emerge anche dalle versioni antiche. La Vetus Latina e la Vulgata trasmettono la formula. La Peshitta siriaca legge: «battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Anche le versioni Copte (sahidica e bohairica) contengono il passo nella forma lunga. Queste versioni, risalenti tra il II e il IV secolo, mostrano che la formula era recepita in ambienti geografici e linguistici differenti, segno di una tradizione testuale stabile e diffusa.


La testimonianza patristica

Il peso maggiore a favore dell’autenticità è dato dalle citazioni dei teologi patristici.

  • La Didaché (fine I secolo – inizio II secolo) prescrive: «Riguardo al battesimo, battezzate così: dopo aver detto tutte queste cose, battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in acqua viva» (Didaché 7,1). Questo testo, coevo al Vangelo di Matteo, dimostra che la formula era già conosciuta e praticata.
  • Tertulliano (200 d.C.) afferma: «La legge del battesimo è stata imposta e la formula prescritta: “Andate, istruite le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”» (De Baptismo 13).
  • Ireneo di Lione (180 d.C.) scrive: «[Cristo] comandò ai suoi discepoli di battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Adversus Haereses III,17,1).

Queste fonti patristiche attestano non solo la conoscenza del testo, ma anche la sua applicazione liturgica concreta, molto tempo prima di Nicea (325 d.C.).


L’uso liturgico e conciliare

La formula trinitaria appare in documenti liturgici e conciliari anteriori a Nicea. Il Simbolo di Cesarea, riportato da Eusebio al concilio del 325, riflette chiaramente l’uso della triade battesimale. Dopo Nicea, la formula rimane costante nella liturgia, non come innovazione, ma come prassi ricevuta. Se la formula fosse stata introdotta solo nel IV secolo, avremmo testimonianze di resistenza, dibattiti o memorie di un cambiamento liturgico così radicale. Ma non esistono tracce di contestazioni. La sua presenza nei testi liturgici antichi è un segno della sua autenticità.


Le obiezioni critiche

F. C. Conybeare, all’inizio del Novecento, notò che Eusebio di Cesarea citava a volte Matteo 28,19 nella forma abbreviata «nel mio nome». Alcuni hanno visto in ciò la prova di una lezione originaria più breve.

In Atti, i battesimi sono amministrati per ben quattro volte «nel nome di Yeshua Messia» o sue varianti (At. 2,38; 8,16; 10,48; 19,5). Non compare mai la confessione trinitaria, fatto che ha spinto alcuni critici a considerarla un’aggiunta posteriore.

Adolf von Harnack sostenne che la formula riflettesse la fede della Chiesa post-nicena, e non le parole di Yeshua. Più recentemente, alcuni studiosi del Jesus Seminar hanno ripreso questa linea, interpretando il versetto come interpolazione redazionale.

Confutazione delle obiezioni
  1. Eusebio non tramanda un manoscritto differente. Le sue citazioni abbreviate vanno interpretate come parafrasi teologiche, usate per sottolineare la centralità del nome del Messia. In altre opere, egli stesso riporta la formula trinitaria completa!
  2. Il libro degli Atti non esclude la formula di Matteo, ma ne mostra un aspetto complementare. Dire «battezzare nel nome di Yeshua» esprime la confessione della sua Signoria rivolta a un pubblico che aveva già ricevuto rivelazione del Padre e dello Spirito, ma non ancora quella del Figlio (leggi articolo correlato). La Kehillah primitiva non vedeva contraddizione tra il cristocentrismo e la confessione trinitaria: piuttosto, li univa in un’unica visione teologica: il battesimo nel solo nome di Yeshua era rivolto ai giudei che dovevano riconoscere solo il Messia, mentre la confessione trinitaria era essenziale per il pubblico gentile che doveva riconoscere tutta la Deità del Dio di Israele quale Padre, Figlio e Spirito.
  3. L’ipotesi storico-dogmatica manca di riscontri: non abbiamo tracce di polemiche circa un’invenzione liturgica così importante. Inoltre, la Didaché e Tertulliano precedono Nicea e già conoscono la formula prima di qualunque altro manoscritto o frammento neotestamentario più antico (Papyrus 52, 𝔓52 per Giovanni [125 d.C.],  𝔓104 per Matteo [II secolo]). Questo confuta l’idea di un’origine tardiva.

Conclusione

L’insieme delle prove converge in un’unica direzione: la formula trinitaria di Matteo 28,19 è autentica. Essa è attestata da tutti i manoscritti greci disponibili, dalle versioni antiche, dai Padri della Chiesa e dalla liturgia primitiva. Le obiezioni critiche, pur interessanti dal punto di vista storiografico, non si fondano su dati testuali solidi, ma su interpretazioni ipotetiche.

Il cristianesimo antico ha ricevuto questa formula non come un’aggiunta arbitraria, ma come il mandato stesso del Risorto. Essa ha costituito fin dall’inizio la base dell’evangelizzazione e della prassi battesimale, fondendo insieme fede, missione e confessione trinitaria. Matteo 28,19 rimane, dunque, non solo autentico, ma fondativo.

Manoscritti/codici greci del Vangelo secondo Matteo (per secolo)
IV secolo
  • Codex Vaticanus (B, 03)Sì, trasmette Mt. 28,19 con la formula trinitaria.
  • Codex Sinaiticus (ℵ, 01)Sì, trasmette Mt. 28,19 con la formula trinitaria.
IV–V secolo
  • Codex Washingtonianus (W, 032)Sì, contiene tutto Matteo; quindi include Mt. 28,19 con la formula.
V secolo
  • Codex Alexandrinus (A, 02)Sì, trasmette la formula trinitaria.
  • Codex Bezae (D, 05)Sì, trasmette la formula (testimone occidentale ma con lettura trinitaria in Mt. 28,19).
  • Codex Ephraemi Rescriptus (C, 04)Non pervenuto: lacuna da Mt. 28,15 alla fine; quindi non è disponibile alcuna lettura per 28,19 (non è una variante).
V–VI secolo
  • Codex Purpureus Rossanensis (Σ, 042)Sì, contiene tutto Matteo; quindi include Mt. 28,19 con la formula.
  • V–VI secolo (papiro)
  • Papyrus 105 (𝔓105)Non pervenuto per 28,19: conserva Mt. 28,2-5 e 7-9; quindi non attesta il v. 19 (non è una variante, ma un frammento).

Antiche versioni (non greche) che attestano la formula
  • Latino (Vetus Latina e Vulgata): attestano la formula; l’apparato riassume il sostegno come latt.
  • Siriaco (Peshitta): «[...] battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
  • Copto (sahidico/bohairico): attestazione della formula.

Casi spesso citati ma non testimoni greci di Matteo 28,19
  • Citazioni di Eusebio di Cesarea con la forma «ἐν τῷ ὀνόματί μου» (nel mio nome): sono citazioni patristiche in opere esegetiche/storiche, non manoscritti del Vangelo; l’apparato moderno registra la lezione patristica ma nessun codice greco di Matteo la legge così in 28,19.
  • “Vangelo ebraico” di Shem-Tob (XIV secolo, in Even Boḥan): non è un testimone greco né tardo-antico; in Mt. 28,19 non ha la scena battesimale (è un testo medievale polemico, di valore testuale limitatissimo per Matteo).
Conclusione operativa
Per tutti i codici principali che preservano Mt. 28,19 (ℵ, B, A, D, W, Σ e la tradizione bizantina), la formula trinitaria è presente. Dove non compare (C, 𝔓105) è solo perché il testo non è pervenuto, NON perché sia una variante che la ometta intenzionalmente!


Bibliografia
  1. Alister E. McGrath, Scienza e Fede in dialogo, Claudiana, Torino 2022.
  2. Bruce M. Metzger, A Textual Commentary on the Greek New Testament, 2^ ed. (Stuttgart: Deutsche Bibelgesellschaft, 1994), p. 77.
  3. Adolf von Harnack, Das Apostolische Glaubensbekenntnis (Leipzig: Hinrichs, 1892), p. 23.
  4. F.C. Conybeare, “The Eusebian Form of the Text of Matthew 28,19,” Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft 2 (1901): pp. 275-288.
  5. Joachim Jeremias, The Origins of Infant Baptism (London: SCM Press, 1960), p. 51.
  6. J.N.D. Kelly, Early Christian Creeds (London: Longmans, 1972), pp. 76-80.

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