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I rischi di una fede lasciata immatura

Come la ricerca del sensazionale e delle proprie aspettative può distorcere la fede, indebolire il discernimento e allontanare da Dio.
7 ottobre 2025 di
I rischi di una fede lasciata immatura
Marco Manitta
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Introduzione

Negli ultimi tempi, in diversi contesti ecclesiali, circolano rivendicazioni di “manifestazioni spirituali” e letture di eventi geopolitici o meteo-climatici presentate come segni dell’imminenza del rapimento della Kehillah e del «giorno del Signore». Quando mancano fondamento scritturale e prudenza pastorale, queste narrazioni alimentano aspettative arbitrarie e instabilità — proprio ciò che l’apostolo ammonisce:

perché non siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina (Ef. 4,14; cfr. Mt. 24,36)

Con questo articolo desidero accompagnare il lettore a radicare la fede nella Scrittura, a formare un discernimento sottomesso alla Parola (non all’emotività né al calcolo dei tempi), e a vagliare ogni pretesa profetica senza disprezzarla, ma esaminando ogni cosa e trattenendo il bene (1 Tess. 5,20-21), sapendo che il canone biblico è chiuso e che ogni «parola» odierna dev'essere provata e subordinata alle Scritture. Lo farò sia alla luce della Parola sia attraverso una breve testimonianza personale, perché la nostra speranza resti stabile, sobria e operosa. 


Conseguenze di una fede debole e immatura

Quando la vita spirituale si nutre di una ricerca continua di segni, miracoli e prodigi, o coltiva aspettative arbitrarie, rivela una fede ancora fragile e immatura. Ha sempre bisogno di qualcosa di eclatante e visibile per percepire che Dio è all’opera. Terminata la manifestazione, sopraggiungono vuoto e smarrimento, e il desiderio di nuove esperienze cresce: nasce così un circuito di dipendenza dall’eccezionale. In questo schema non si cerca la comunione con Dio né il rinnovamento interiore; ci si rivolge a Dio soprattutto per «ottenere» qualcosa, come se tutto fosse dovuto. È l’“infanzia” spirituale che rifiuta di lasciarsi plasmare dallo Spirito, invece di crescere nella maturità che «cammina per fede e non per visione» (2 Cor. 5,7) e che considera beati «quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Giov. 20,29).

Proprio tale disposizione espone a un rischio grave: essere facilmente ingannati da falsi ministri, profeti e apostoli, i quali fanno passare l’impatto emotivo o la spettacolarità per segno certo della Presenza di Dio (cfr. 2 Cor. 11,13-15; 2 Tess. 2,9-10). A ciò si aggiunge la tendenza a leggere ogni evento geopolitico o fenomeno meteo-climatico come immediato compimento profetico, talvolta azzardando date o restringendo i tempi in modo surrettizio. 

Questa è la sindrome del "finemondismo", dove ogni cosa, letteralmente, si trasforma in segno tangibile ed evidente (e qindi per forza biblico) dell'imminente fine del mondo.

Ma «nessuno conosce il giorno e l’ora» se non il Padre (Mt. 24,36); perciò non dobbiamo essere «sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina» (Ef. 4,14), bensì esaminare tutto e trattenere il bene (1 Tess. 5,20-21). La maturità cristiana non disprezza i segni quando Dio li concede, ma rifiuta l’ansia del sensazionale, sottopone ogni pretesa alla Scrittura e si esercita nella fedeltà quotidiana che produce frutti, non dipendenze.


La fede matura

Se siamo onesti, la crescita spirituale non nasce dal rincorrere il sensazionale, ma da un rinnovamento continuo della mente e da un cammino secondo lo Spirito (Rom. 12,2; Gal. 5,16). La vita del credente non si fonda sull’autosufficienza del proprio discernimento, ma su Yeshua; e lo stesso discernimento è formato e corretto dalla Parola, che diventa nutrimento quotidiano (2 Tim. 3,16-17; Sal. 119).

I miracoli che contano anzitutto sono la conversione dei cuori, la rigenerazione delle persone e la guarigione spirituale — e, quando Dio vuole, anche quella fisica. È lo Spirito Santo che convince di peccato, giustizia e giudizio (Giov. 16,8), ci attira al Messia e ci conforma a Lui (Rom. 8,29; 2 Cor. 3,18). Egli suscita un pentimento sempre più profondo, l’obbedienza ai comandamenti, la preghiera e lo studio assiduo delle Scritture: sono legami d’amore con cui il Padre ci rialza (Os. 11,4).

Quest’opera è soprattutto interiore: spesso invisibile e silenziosa, ma costante; si riconosce dai frutti dello Spirito (Gal. 5,22-23). Perciò «il Regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi [...] il Regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc. 17,20-21). 


Lo scopo delle profezie

Inoltre, quanto alle profezie, occorre vigilare. La Scrittura mette in guardia dai falsi profeti che promettono eventi e fissano date: «nessuno conosce il giorno e l’ora» (Mt. 24,36). Il punto non è inseguire calendari, ma sottomettere ogni pretesa profetica alla Parola e al giudizio maturo della comunità (1 Tess. 5,20-21). Il canone è chiuso: non esistono nuove rivelazioni pubbliche e normative oltre quelle consegnate nel Tanakh e nelle Scritture Apostoliche (Eb. 1,1-2; Ap. 22,18-19). Ciò non annulla l’azione dello Spirito, ma la orienta: ogni “parola” odierna, se c’è, dev'essere valutata per dottrina, frutti e coerenza con l’Evangelo.

La profezia, nella Bibbia, non è soprattutto previsione del futuro: il suo scopo primario è ammonire, risvegliare, esortare il popolo a tornare alle vie del Signore, promuovendo santità e consacrazione interiore (1 Cor. 14,3). La dimensione predittiva, quando compare, serve a consolare i fiduciosi e ad avvertire gli empi, non a saziare curiosità cronologiche (Deut. 18,20-22). Il telos divino è sempre educativo e salvifico: Dio «ha pensieri di pace [...] per darvi un avvenire e una speranza» (Ger. 29,11) e «non si compiace della morte dell’empio» ma che si converta e viva (Ez. 18,23).


Testimonianza

Voglio offrire una testimonianza personale su come una fede non ancora radicata nella Parola possa generare aspettative errate e scelte arbitrarie. Quando ero un neofita, senza una base scritturale solida, le mie decisioni erano guidate più da impressioni e sensazioni che da un discernimento formato dalla Scrittura. Il desiderio era di fare il bene e non contraddire la Parola; tuttavia, in buona fede, finivo per seguire impulsi della carne non sostenuti dall’obbedienza alla Parola.

Così ho compiuto scelte che, a distanza di qualche anno, hanno prodotto conseguenze dolorose. Ho resistito a lungo, sperando che la situazione cambiasse, ma non era la via che il Signore voleva per me. L’immagine che meglio descrive quel momento è questa: parti dalla Germania su un treno notturno diretto in Sicilia e, al mattino, ti ritrovi in Norvegia — dalla parte opposta rispetto alla meta fissata. Così mi sentivo: fuori rotta rispetto al proposito di Dio. Era un deserto. Eppure, quando mi sono arreso a Lui, il Signore non mi ha rigettato: nella Sua misericordia mi ha rialzato, ristabilito e guarito. Quel tratto di strada, pur reale, è stato come assorbito e trasfigurato dalla Sua grazia.

Il Signore mi ha donato un nuovo inizio. Ho riconosciuto che non era Dio ad avermi abbandonato: ero io ad essermi allontanato, senza accorgermene. Lui mi ha cercato, ritrovato e ricondotto al suo ovile. Mi ha anche aperto le porte a questa Yeshivah, una scuola di vita nella quale vita comune, studio della Parola, culto e preghiera condivisa sostengono la crescita nella maturità. In questo contesto ho imparato a non partire più dalle mie sensazioni o dalle conoscenze che il modo dà, ma dalla Scrittura, dentro relazioni di responsabilità e cura pastorale. È così che la fede si irrobustisce: non inseguendo il sensazionale, ma lasciandosi formare giorno per giorno dalla semplicità della Parola, nello Spirito, insieme al popolo di Dio.


Conclusione

Per questo, cari fratelli e sorelle, non basiamo le nostre scelte su attese personali: la delusione può sfociare in mormorazione e perfino in ribellione, come accadde a Core contro Mosè e Aronne nel deserto (Num. 16). Scegliere non è semplice; talvolta imbocchiamo strade dolorose senza prevederne le conseguenze. Una cosa però è certa: è indispensabile chiedere la guida del Signore, «confidare in Lui con tutto il cuore e non appoggiarsi sull’intelligenza» propria, lasciando che Egli raddrizzi i nostri sentieri (Prov. 3,5-6).

Egli solo ci mantiene in quell’equilibrio che ci preserva dagli abbagli di una prosperità apparente. Per camminare stabili: nutrirci quotidianamente della Parola, perseverare nella preghiera, restare dentro una comunità che ci aiuti a discernere ed esaminare ogni cosa trattenendo il bene. Allora la domanda è semplice e decisiva: dove vuoi abitare? A Ebron, nella comunione e nella promessa, o a Sodoma, nell’abbondanza solo in apparenza? Scegli la via del monte, la presenza di Dio — non il cuore capriccioso, ma il Signore (Gios. 24,15).

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