Passa al contenuto

Parashat Ki-Tissa (Esodo 30,11—34,35)

Il fuoco della gelosia divina: santità, tradimento e riconciliazione
14 giugno 2025 di
Parashat Ki-Tissa (Esodo 30,11—34,35)
Adriana Pigolotti
| Ancora nessun commento

Introduzione

In questa sezione della Torah si descrive il completamento degli arredi della Tenda del Convegno, con particolare attenzione alla realizzazione della conca di bronzo, destinato alla purificazione rituale delle mani e dei piedi dei sacerdoti prima del loro servizio presso l’altare. Vengono inoltre presentati l’olio per l’unzione sacra e l’incenso aromatico, strumenti consacrati al culto. Tuttavia, il fulcro narrativo è costituito dal drammatico episodio del vitello d’oro, emblema della ribellione del popolo.

Non è casuale che la Torah insista sulla santità degli oggetti del Tabernacolo e sulla precisione del loro uso: ogni deviazione dalle istruzioni date da YHWH, ogni appropriazione indebita o uso profano, avrebbe comportato la pena estrema dell’«essere sterminato dal suo popolo». La sacralità non tollera ambiguità: ciò che è destinato a Dio non può essere manipolato secondo logiche umane.

Parashah (Esodo 30,29.33)

Santità e separazione

Consacrerai così queste cose, ed esse saranno santissime: tutto quello che le toccherà sarà santo (Es. 30,29)
Chiunque ne produrrà uno uguale, o chiunque ne metterà sopra un estraneo, sarà eliminato dal suo popolo"» (Es. 30,33) 
poiché sta scritto: «Siate santi, perché io sono santo» (1 Prov. 1,16)  
Santo - Qadosh (קדש)
Deriva dalla radice ebraica QDSh, che significa «separare, tagliare, mettere da parte». Essa indica una condizione di separazione per uno scopo elevato: essere consacrati al servizio esclusivo di Dio. Nella visione biblica, la santità non è un sentimento o un’idea astratta, ma una realtà concreta e visibile: tutto ciò che è santo è messo da parte per Dio, e solo per Lui.

Nel Tanakh, la santità era raggiungibile attraverso un percorso preciso: si passava dallo stato di impurità a quello di purezza, e infine alla santità, mediante atti prescritti come riti di purificazione e sacrifici rituali. L’accesso alla presenza di Dio non era mai arbitrario: presentarsi davanti a Lui senza aver attraversato queste fasi significava profanare la Sua santità — un atto gravissimo.

Il lavaggio delle mani e dei piedi da parte dei sacerdoti, e l’unzione con l’olio consacrato degli arredi del Tabernacolo, segnalavano visibilmente che ogni cosa in quel luogo era separata per Dio. Tutto ciò che li toccava, doveva anch’esso essere santo. Ma attenzione: la santità non si trasmette per contatto, mentre l’impurità sì. Non si diventava santi toccando l’altare; al contrario, bisognava prima essere purificati per non contaminarlo.

La santità è uno stato da ricercare e custodire con obbedienza e consacrazione. È qui che entra in scena Yeshua: Egli ci ha resi santi una volta per sempre, facendoci passare direttamente dalla condizione di impurità a quella di santità mediante il Suo sangue. Ora possiamo entrare nella presenza del Padre, perché il nostro cuore è diventato il Suo Tabernacolo, la dimora del Suo Spirito.

Ma questa nuova realtà non annulla la nostra responsabilità: dobbiamo vigilare e impegnarci per mantenere questa santità. Siamo stati riscattati, e tutto ciò che siamo e abbiamo — talenti, parole, pensieri, azioni — deve essere consacrato esclusivamente a Dio. Nulla di ciò che è “profano”, cioè appartenente a logiche mondane, può coesistere con ciò che è santo. YHWH rigetta ogni elemento estraneo nella Sua opera: ciò che Gli appartiene non può essere condiviso.

Siamo stati unti con lo Spirito Santo. Siamo Suoi sacerdoti. E nessuna impurità può essere mescolata a ciò che è stato consacrato, pena l’esclusione dal Suo popolo. Scrive l’apostolo Paolo:

Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi (1 Cor. 3,16-17)

Con la santità di Dio non si scherza. Anche se oggi non sempre vediamo effetti immediati come accadeva nel Tanakh, non illudiamoci: le conseguenze della profanazione spirituale si manifestano, eccome. Possano i figli di Dio riscoprire il timore santo che conduce all’adorazione, al rispetto, alla gratitudine e all’obbedienza. Solo così la Chiesa potrà tornare a camminare nella gloria della Sua presenza.


Parashah (Es. 32,1.4; 34,14)

Israele “volta le spalle” a Dio con il vitello d’oro 

Or il popolo vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte, si radunò intorno ad Aronne e gli disse: orsù facci un dio che vada davanti a noi perché quanto a Mosè, l'uomo che ci ha fatto uscire dal paese d'egitto, non sappiamo cosa gli sia accaduto (Es. 32,1) 

Mosè tardava a scendere dal monte. Le sue notizie si erano interrotte e l’attesa divenne troppo lunga per il popolo. Israele non seppe più pazientare. Privi di un riferimento visibile, persero l’equilibrio e si affrettarono a costruirsene uno da sé: un rimedio umano, un idolo d’oro, un vitello. Paradossalmente, proprio mentre YHWH si stava rivelando a Mosè sul Sinai come il Dio che li aveva fatti uscire dalla casa di schiavitù, il popolo proclamava il vitello come colui che li aveva liberati dall’Egitto (Es. 32,4).

In un istante, Israele dimenticò i prodigi dell’Eterno. Offuscò la Sua gloria, sostituendola con l’immagine di un animale, qualcosa che potessero vedere, toccare, venerare. Ma questo non è fede. È dipendenza dall’evidenza, dalla carne, dalla vista. Yeshua ha detto: «Be​ati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Giov. 20,29). La vera fede, come ricorda l'autore agli Ebrei, «è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono» (Eb. 11,1).

Anche oggi non siamo diversi. Quante volte, quando Dio sembra tacere e i Suoi tempi ci appaiono lontani, ci affrettiamo a trovare “soluzioni alternative”? Quando ci costruiamo da soli le risposte, quando confidiamo nelle nostre forze, nei mezzi umani o nelle sicurezze del mondo, commettiamo lo stesso errore: smettiamo di confidare in Dio e, senza accorgercene, cadiamo nell’idolatria. Tradire la fiducia in Dio non è altro che sostituirlo con altro.

Impariamo dunque ad aspettare con perseveranza. Quando il cielo sembra muto, ricordiamoci delle promesse di Dio e delle Sue fedeltà passate. È in quei momenti che la fede viene forgiata, rafforzata, purificata. Perché il nostro Dio non delude: Egli è Fedele e degno di fiducia in ogni Sua parola.

tu non adorerai altro dio, perché YHWH, che si chiama il Geloso, è un Dio geloso (Es. 34,14)

L’idolatria è adulterio spirituale.

Con il dono della Torah, YHWH aveva stabilito un Patto con Israele, un’alleanza sacra che, nel contesto dell’antico Oriente, veniva letteralmente “tagliata”, sancita con solenni impegni e vincoli di fedeltà reciproca. Come nelle stipule matrimoniali, la rottura da parte di uno dei contraenti rendeva nullo il patto. Israele, la sposa promessa di Dio, infranse quel patto ancora prima di consumarlo, prostrandosi davanti al vitello d’oro: fu un tradimento, un adulterio spirituale consumato sotto il monte dove Dio stava rivelando la Sua gloria.

La fedeltà del popolo si era infranta sul desiderio di qualcosa di visibile, tangibile. E fu solo grazie all’intercessione ardente di Mosè — figura profetica del Messia — che YHWH non distrusse completamente Israele, ma con misericordia rinnovò l’alleanza, incidendo due nuove tavole dell’Alleanza. Tuttavia, la punizione per il peccato fu severa: chi si era “prostituito” con l’idolo fu giudicato.

Mosè prese il vitello d’oro, lo bruciò nel fuoco, lo ridusse in polvere, lo sparse nell’acqua e la fece bere a Israele. Quell’idolo, che avevano modellato con le proprie mani e adorato con il cuore, ora diventava amarezza nelle loro viscere. Non è un dettaglio insignificante: questo gesto richiama il rito dell’acqua amara di Numeri 5, riservato alla donna sospettata di adulterio. È una denuncia simbolica: Israele era stata infedele, e l’acqua dell’amaro pentimento doveva entrare dentro di lei.

YHWH è un Dio geloso (Es. 34:14), come lo è uno sposo innamorato della propria sposa. Non una gelosia malata, ma una gelosia santa, che scaturisce da un amore esclusivo e ardente, che non tollera rivali. Anche noi, popoli delle nazioni, che per grazia siamo stati innestati nell’Ulivo di Israele (Rom. 11), partecipiamo ora alla chiamata della Sposa. Perciò, non possiamo permetterci di macchiare il nostro abito nuziale con altri amori, né prostituirci con gli idoli del mondo.

Restiamo fedeli. Perché Colui che ci ha scelti come Sua Sposa ritornerà — e cerca un popolo puro, vestito di bianco, consacrato a Lui solo.


Haftarah (1 Re 18,1.21.39)

Tempo di decisione

Molto tempo dopo, nel corso del terzo anno, la Parola di YHWH fu rivolta a Elia, in questi termini: «Va', presèntati ad Acab, e io manderò la pioggia sul paese [...] Tutto il popolo, veduto ciò, si gettò con la faccia a terra, e disse: «YHWH è Dio! YHWH è Dio!

Il profeta Elia sfidava Israele a uscire dall’ambiguità e a prendere una posizione netta: «Fino a quando zoppicherete dai due lati?» (1 Re 18,21). Era un appello radicale: scegliere chi servire, senza più compromessi. Il popolo, immerso nell’idolatria, stava pagando un prezzo altissimo — una siccità devastante, simbolo tangibile della distanza da Dio. Ma quando il fuoco di YHWH discese e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e persino l’acqua dell’offerta, il popolo non poté più ignorare l’evidenza: si prostrarono con la faccia a terra e gridarono: «YHWH è Dio! YHWH è Dio!».

Quell’episodio non è relegato al passato. L’idolatria non è solo una questione di statue o templi pagani: è una questione di cuore. Anche oggi, pur senza inginocchiarci davanti a un vitello d’oro, possiamo cadere nella trappola dell’idolatria ogni volta che accettiamo compromessi, ogni volta che mettiamo qualcosa — o qualcuno — al di sopra della volontà di Dio. L’idolatria moderna si veste di carriere, relazioni, ambizioni, narcisismi spirituali.

Yeshua, il nostro Elia messianico, ci rivolge lo stesso appello: smettere di zoppicare, di oscillare tra Dio e il mondo. Egli ci chiama a restaurare l’altare, non più fatto di pietre, ma di carne e spirito. L’unico sacrificio ora accetto è la nostra vita stessa:

Presentate i vostri corpi in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: questo è il vostro culto spirituale (Rom. 12,1)

Oggi è il tempo della decisione. È tempo di scegliere chi vogliamo servire, senza mezze misure. Il fuoco di Dio scende ancora, ma solo su altari purificati.


Conclusione

Dio non cerca religiosi, cerca figli. Figli che lo onorino con sincerità, che ripongano in Lui una fiducia totale, come fece Mosè, con il quale parlava faccia a faccia, rivelandogli la Sua gloria. Quel tipo di relazione non è un privilegio riservato a pochi: è il desiderio ardente del cuore di Dio per ciascuno dei Suoi redenti.

Ma perché ciò avvenga, è necessario mettere ordine nelle nostre vite. È tempo di abbattere ogni idolo — visibile o nascosto — che si è insediato sul trono che spetta solo a Lui. Dio non condivide la Sua Sposa. Non accetta rivali. Non tollera compromessi. Vuole l’esclusiva del nostro cuore, del nostro amore, della nostra fedeltà.

Scegliamo oggi di onorare Dio al di sopra di ogni cosa e di ogni persona. Che nulla abbia più il potere di distrarci, dividerci o contaminarci. Solo a Lui la gloria, l’onore e il primo posto nei nostri cuori.

Condividi articolo
Etichette
Archivio
Accedi per lasciare un commento