Introduzione
La parashah Tazria’ ci pone davanti a una verità fondamentale che attraversa tutta la Scrittura: Dio è Santo, e chi desidera avvicinarsi a Lui dev'essere purificato nel corpo, nell’anima e nello spirito. La purezza rituale e morale non sono meri simboli religiosi, ma segni tangibili della chiamata divina a vivere in comunione con il Dio che dimora in mezzo al Suo popolo.
L’impurità post-partum e la "lebbra" (tzara‘at) diventano paradigmi di una condizione umana più profonda: la fragilità, il peccato, la separazione dal Creatore. Ma il Dio della Torah non è un Dio distante. Egli provvede mezzi di reintegrazione, vie di guarigione e atti di grazia.
Questa realtà si riflette con forza anche nella porzione profetica, dove la grazia divina valica i confini di Israele per toccare un generale nemico, lebbroso e pagano, trasformandolo in un uomo di fede. E infine si compie nel Vangelo, dove il Messia — portato al Tempio nel rispetto della Torah — viene riconosciuto da un uomo giusto come «luce per illuminare le genti» e «gloria del Tuo popolo Israele».
Torah, Haftarah e Besorah si intrecciano per proclamare che la santità non è esclusione, ma trasformazione. E che chiunque si umilia, ascolta e crede, sarà reso puro, reintegrato e chiamato figlio del Dio vivente.
Parashah (Levitico 12,1—13,59)
Purità e separazione per il Dio Santo
Nel cuore della parashat Tazria’ risuona un richiamo potente alla santità che Dio richiede dal Suo popolo, una santità che tocca non solo l’anima ma anche il corpo, e che si riflette nei gesti concreti della vita quotidiana. Levitico 12 ci introduce al mistero della nascita, evento benedetto e frutto dell’ubbidienza al primo comandamento divino: «Siate fecondi e moltiplicatevi». Tuttavia, la donna che partorisce, pur non avendo commesso peccato, entra in uno stato d’impurità rituale. È un mistero sacro: la vita che nasce in un mondo contaminato dal peccato implica una distanza temporanea dal santuario della Presenza. Ma Dio non lascia il Suo popolo senza via d’uscita: tramite un sacrificio — un olocausto e un sacrificio per il peccato (chattat) — Egli dona nuovamente accesso alla comunità della fede.
Il capitolo 13 approfondisce il tema dell’impurità legata alla tzara‘at, spesso tradotta come "lebbra", ma che in realtà comprendeva una vasta gamma di condizioni cutanee che nulla avevano a che fare con il moderno "morbo di Hansen". Non era il medico, ma il sacerdote a dichiarare chi era impuro: non per somministrare cure, ma per tutelare la santità dell'accampamento dove Dio stesso dimorava. L’isolamento del lebbroso era più di una misura sanitaria: era un segno teologico della separazione fra l’impuro e il Dio Santo. Eppure, questo stesso isolamento diventava opportunità di riflessione, umiliazione e attesa fiduciosa: nel momento in cui il segno mutava, il sacerdote poteva dichiarare il malato "puro", restituendolo alla vita comunitaria. Questo ci insegna che la vera guarigione comincia da una diagnosi spirituale e si compie nel reintegro alla presenza divina. La purezza, nella visione biblica, non è uno stato permanente, ma un cammino di ritorno, un invito a essere — «santi come Io sono santo» (Lev. 11,45).
Haftarah (2 Re 4,42—5,19)
La grazia che rompe i confini
La haftarah legata a Tazria’ ci presenta due prodigi del profeta Eliseo, strumenti potenti della grazia divina che opera al di là delle logiche umane. Il primo miracolo è semplice ma sorprendente: un uomo porta pochi pani e spighe fresche come primizia. Eliseo, confidando non nella quantità ma nella promessa del Dio vivente, moltiplica quell’umile offerta per nutrire cento persone. È un gesto profetico che anticipa il potere di Dio di moltiplicare il poco quando è donato con cuore integro. Dio non guarda all’abbondanza del gesto, ma alla fedeltà dell’intento.
Il secondo episodio — la guarigione del generale Naaman — ribalta ogni aspettativa religiosa. Quest’uomo, nemico d’Israele, pagano, impuro, è colpito dalla tzara‘at. Eppure, è proprio lui a essere raggiunto dalla potenza del Dio d’Israele. La sua guarigione non avviene grazie a una pozione, ma attraverso un atto di ubbidienza umile: immergersi sette volte nel Giordano. Naaman resiste, è orgoglioso, non comprende. Ma alla fine obbedisce. E nel momento in cui esce dall’acqua, la sua carne è rinnovata — e con essa il suo cuore. Da lebbroso escluso, diventa adoratore del Dio vivente.
Questo miracolo insegna una verità profonda: la grazia di Dio non conosce confini. Non è riservata a chi ha i titoli religiosi o la cittadinanza spirituale, ma giunge a chiunque si umilia, crede e obbedisce. Anche se Naaman non era pronto a morire per la sua nuova fede, come Daniele e i suoi amici (Dan. 3,12), Dio onorò il suo cuore trasformato. Ed Eliseo, uomo di discernimento, lo benedisse. Che potente lezione per noi oggi: Dio può usare anche una giovane serva sconosciuta, un piccolo gesto di fede, o una semplice immersione nell’acqua, per manifestare la Sua gloria!
Besorah (Luca 2,22-23)
Luce per illuminare le nazioni
Nel Vangelo secondo Luca, la purificazione di Miriam (Maria) e la presentazione di Yeshua al Tempio avvengono proprio secondo quanto prescritto da Levitico 12. La giovane madre e Giuseppe, suo sposo, portano l’offerta dei poveri — due tortore o due giovani colombi — adempiendo la Torah con fedeltà. Ma in quell’atto semplice si nasconde una rivelazione gloriosa: mentre presentano Yeshua nel Tempio, un uomo giusto e timorato di Dio, Simeone (Shimon), guidato dallo Spirito, li accoglie.
Ecco una sintesi della figura profetica di Simeone.
Caratteristica | Dettaglio biblico (Luca 2,25-33) |
---|---|
Giusto e timorato di Dio | Aspettava la consolazione d’Israele |
Guidato dallo Spirito Santo | Lo Spirito era su di lui e gli aveva rivelato il Messia |
Attento alla profezia | Vede il compimento della promessa messianica |
Uomo di visione escatologica | Annuncia che Yeshua è “luce per illuminare le genti” |
Profetico e universale | Riconosce che il Salvatore è per Israele e per tutte le nazioni |
Radicato nella Torah | Non si oppone alla Legge ma ne proclama il pieno adempimento |
Simeone, pur essendo parte del residuo fedele d’Israele, non vedeva la salvezza come privilegio esclusivo del suo popolo. Il suo canto rivela il cuore stesso del piano di Dio: la salvezza è per tutte le genti, e il Bambino portato al Tempio è la Luce che illuminerà ogni popolo.
Ecco perché la parashat Tazria’, la haftarah e il Vangelo si intrecciano in un’unica melodia spirituale: Dio è Santo e richiede purezza; Dio è potente e dona grazia a chiunque crede; Dio è fedele e ha mandato il Suo Messia, luce delle nazioni, per purificare e salvare chiunque invochi il Suo Nome.
Conclusione
Questa porzione della Scrittura ci offre insegnamenti vitali e attualissimi per il nostro cammino di fede. Essa ci chiama ad abbracciare la santità come stile di vita, consapevoli che la purità richiesta da Dio è segno della Sua presenza in mezzo a noi.
Le leggi sulla purificazione e la lebbra ci ricordano che Dio desidera un popolo puro, separato dal peccato e pienamente consacrato. Anche se possiamo sentirci impuri, inutili o messi da parte, Dio ha stabilito per ognuno una via di ritorno. La Sua grazia è potente abbastanza da purificare anche il cuore più contaminato.
Come l’uomo che portò poche primizie a Eliseo vide la moltiplicazione, così anche la nostra piccola offerta, se fatta con tutto il cuore, sarà gradita al Signore e diventerà strumento di benedizione. Come la giovane serva anonima cambiò il destino di un generale pagano, anche tu, nella tua semplicità, puoi essere usato dallo Spirito per glorificare Dio. E come Naaman, anche chi è lontano può ricevere grazia, se solo si arrende con fede e umiltà.
Le promesse del patto erano riservate a Israele, ma ora — grazie al sacrificio del Messia Yeshua — la grazia si è estesa ai gentili, e in Lui noi siamo stati innestati in quel patto eterno. Egli non ci ha lasciati soli, ma ci ha donato lo Spirito Santo per istruirci e guidarci giorno dopo giorno, rendendoci sempre più simili al nostro Signore.
In un mondo sempre più immerso nelle tenebre, siamo chiamati a risplendere come figli della luce, coraggiosi, puri, santi. Perché il nostro Dio continua a dire:
Siate santi, perché Io sono Santo (Lev. 11,45)
Ascolta la parashah di Daniele Salamone (22/04/2023)