Introduzione
Ci sono momenti nella vita nei quali la domanda decisiva non è tanto cosa stiamo facendo, ma in quale direzione stiamo camminando. La Scrittura ci ricorda che la benedizione e la maledizione non dipendono dal capriccio degli eventi, ma dalla nostra disponibilità a lasciare che la Parola di Dio plasmi le nostre scelte quotidiane. Vivere secondo le vie del Signore non è un dettaglio marginale, è l’asse portante della nostra esistenza, il punto in cui si decide la vera fecondità della nostra vita. Da questa consapevolezza si apre la riflessione che ci accompagna nella parashah di oggi, unendo passato, presente e futuro in un unico appello: custodire l’alleanza del Signore e riconoscere in Yeshua il compimento delle Sue promesse.
Parashah (Levitico 26,3-4.12.14-42)
Camminare nei decreti
La sezione della Torah mette subito davanti a noi la logica dell’alleanza:
Se camminerete secondo le Mie leggi e osserverete i Miei comandamenti, mettendoli in pratica, Io vi darò le piogge a loro tempo, la terra darà i suoi prodotti e gli alberi della campagna daranno i loro frutti (26,3-4)
La condizione è chiara: il camminare (הֲלִיכָה, halikhah) nei decreti del Signore. Non si tratta di un’osservanza passiva, ma di un procedere costante, di un passo dopo l’altro che costruisce la fedeltà.
I maestri rabbinici hanno sottolineato che «camminare» significa interiorizzare la Torah al punto che essa diventi il ritmo stesso del vivere quotidiano (Rashi su Lev. 26,3). Non è dunque un atto esteriore, ma un movimento interiore che conduce alla vera pace. Le benedizioni descritte non sono semplici premi materiali: la prosperità, la sicurezza, la presenza divina in mezzo al popolo («Io camminerò in mezzo a voi e sarò il vostro Dio, e voi sarete il Mio popolo», 26,12) indicano una comunione che trascende ogni beneficio terreno.
Ma la Torah non tace sul rovescio della medaglia: il rifiuto della fedeltà porta a dispersione, spavento e devastazione (26,14-39). Eppure, anche qui la misericordia non è assente:
Ma se confesseranno la loro iniquità [...] allora Io Mi ricorderò della Mia alleanza con Giacobbe, con Isacco e con Abraamo (26,40-42)
Il cuore del messaggio è che la vera libertà si trova nel restare nell’alleanza.
Haftarah (Geremia 16,19–17,14)
Il cuore ingannevole e la guarigione che viene dal Signore
Geremia si inserisce nello stesso solco, ricordando che l’uomo che confida nelle proprie forze è come un arbusto nel deserto, secco e sterile, mentre
benedetto è l’uomo che confida in YHWH, e la cui fiducia è YHWH. Egli è come un albero piantato presso le acque, che distende le sue radici lungo il fiume [...] le sue foglie rimangono verdi (17,7-8)
L’immagine dell’albero rimanda alle promesse della Torah: la benedizione non è mai disgiunta dall’ascolto fiducioso.
Il Profeta ci costringe a guardare dentro: «Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e incurabilmente maligno» (17,9). È proprio questa diagnosi che mostra l’urgenza della Torah scritta non solo sulle tavole di pietra, ma impressa nel cuore. I maestri ebrei hanno spesso riconosciuto che il cuore dell’uomo tende a deviare (Berakhot 60b), e solo la presenza di Dio può raddrizzare i suoi sentieri.
Qui emerge con forza l’attesa messianica: se il cuore è ingannevole e inguaribile, chi potrà guarirlo? Geremia stesso risponde: «Guariscimi, YHWH, e sarò guarito; salvami e sarò salvato» (17,14). Il filo conduttore che parte da Levitico trova qui il suo nodo: la fedeltà è possibile solo se Dio stesso opera la guarigione interiore, rigenerando il cuore.
Besorah (Matteo 16,20-28)
Seguire il Messia: perdere la vita per ritrovarla
Il Vangelo porta a compimento questa attesa. Dopo che i discepoli hanno riconosciuto Yeshua come Messia, Egli comincia a mostrare che il cammino verso la gloria passa attraverso la croce (16,21). La reazione di Pietro, che tenta di impedirlo, manifesta la stessa logica del cuore umano che rifiuta la via dell’umiliazione. Ma Yeshua risponde con fermezza:
Se qualcuno vuol venire dietro a Me, rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e Mi segua (16,24)
Qui la connessione con la Torah e i Profeti è evidente: il “camminare” nei decreti divini si rivela come il “seguire” il Messia, non secondo la carne ma secondo lo Spirito. La vera benedizione non è avere la vita secondo il mondo, ma perderla per amore di Yeshua:
Chi vorrà salvare la sua vita la perderà, ma chi avrà perduto la sua vita per amor Mio la troverà (16,25)
Il cuore guarito dal Signore, annunciato da Geremia, è quello capace di portare la propria croce senza temere, radicato come l’albero lungo i corsi d’acqua. È un cammino di alleanza rinnovata, in cui la promessa di Dio non è solo protezione materiale, ma partecipazione al regno del Figlio dell’Uomo che «verrà nella gloria del Padre Suo con i Suoi angeli» (16,27).
Conclusione
Il filo che unisce la Torah, i Profeti e il Vangelo è chiaro: la vita autentica nasce dal camminare nelle vie del Signore, confidare in Lui e seguire Yeshua fino a prendere la croce. È un percorso che passa dall’obbedienza esteriore alla trasformazione del cuore, dalla benedizione materiale alla comunione eterna.
Oggi la chiamata è la stessa: lascia che la Parola di Dio orienti i tuoi passi, chiedi al Signore di guarire il tuo cuore, e scegli di seguire Yeshua senza riserve. Questo significa rinunciare al controllo, smettere di confidare nelle proprie forze e abbracciare la logica della croce, che è stoltezza per il mondo ma potenza di Dio per chi crede (1 Cor. 1,18).
Il cammino non si riduce a belle intenzioni, ma si traduce in azioni concrete: perdonare chi ci ha offeso, essere fedeli nei piccoli gesti quotidiani, cercare giustizia e misericordia, testimoniare Yeshua nella nostra vita. Questo è il frutto dell’albero piantato presso l’acqua viva. È il tempo di scegliere: rimanere arbusti secchi nel deserto o diventare alberi fecondi nel Messia.
Dal deserto all'acqua viva
Il Santo, benedetto Egli sia, ha detto: «Io camminerò in mezzo a voi» (Lev. 26,12). Se Israele cammina nei Suoi decreti, la Presenza cammina con Lui.
Se il cuore si ammala, chi lo guarirà? Non l’uomo, non il principe, ma il Signore solo (Ger. 17,14). E la guarigione si è fatta carne in Yeshua, il Messia d’Israele.
Come Israele portò il giogo dell’esilio, così il discepolo porta la croce del Suo Signore. Chi tiene stretta la sua vita, la perde; chi la consegna al Figlio dell’Uomo, la ritrova (.Mt 16,25). Così la perdita diventa seme, e il seme diventa frutto, e il frutto diventa vita eterna.
Scegli, figlio di Adamo: arbusto nel deserto o albero presso l’acqua viva. Chi ascolta e non cammina è come sabbia nel vento; chi segue e porta la croce è come roccia che non crolla. Alzati dunque, cammina con il Messia, e la tua vita sarà luce per molti.
Ascolta la parashah di Daniele del 13/05/2023