Introduzione
In un articolo precedente abbiamo visto delle analogie peculiari tra la luce e Dio, per spiegare il concetto di camminare con Dio e di essere figli di luce. Ora osserveremo un altro fenomeno ottico, la rifrazione della luce per spiegare un concetto fondamentale: la Trinità.
La Trinità
Sebbene oggi la dottrina della Trinità sia ampiamente accettata e raramente messa in discussione nel panorama cristiano dominante, non fu sempre così. Nei primi secoli della Kehillah, essa fu invece al centro di accesi dibattiti teologici, che portarono infine alla sua formalizzazione nei Concili ecumenici di Nicea (325 d.C.) e di Costantinopoli (381 d.C.). Tali assemblee sancirono in modo ufficiale ciò che la Scrittura lascia intravedere, ma non esplicita sistematicamente: l’unità e la tripersonalità divina. La formula teologica afferma che Dio è uno nella sostanza e nella natura, ma tre nelle Persone — il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (cfr. Mt. 28,19; 2 Cor. 13,13). Queste Persone non sono tre dèi, ma tre persone distinte dell’unico Dio vivente, operanti in perfetta armonia e sinergia.
L’equivoco nasce frequentemente dalla difficoltà — tutta umana — di distinguere tra l’essenza divina, unica e indivisibile, e le Persone che la condividono senza confusione né separazione. In questa tensione si sono sviluppate numerose deviazioni dottrinali. Tra le più note, l’arianesimo, che nega la piena divinità del Figlio, riducendolo a creatura eccelsa (cfr. Giov. 1,1-3; Col. 1:15-17); oppure l’errore di considerare lo Spirito Santo non come Persona divina, ma come mera forza impersonale (cfr. At. 5,3-4). Vi è poi il modalismo, antico e moderno, che dissolve la distinzione tra le Persone, presentando Dio come un’unica Persona che si manifesta in tre modalità differenti a seconda delle circostanze: ora come Padre, ora come Figlio, ora come Spirito, ma mai contemporaneamente. Questo schema nega la coesistenza eterna e simultanea delle tre Persone (cfr. Lc. 3,21-22).
Va riconosciuto con umiltà che la realtà di Dio oltrepassa la nostra capacità concettuale. Come creature finite, possiamo solo accostarci al mistero divino con riverenza, non con arroganza. Se oggi possiamo conoscere Dio è perché il Figlio, Yeshua, lo ha reso visibile e comprensibile (Giov. 1,18; Eb. 1,1-3). Per cercare di rendere più accessibile questo mistero, si può ricorrere a un'analogia dalla fisica: la rifrazione della luce. La Trinità non è un’equazione da risolvere, ma una realtà da contemplare.
Arcobaleno, la rifrazione della luce
Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo contemplato con stupore un arcobaleno distendersi nel cielo come un ponte di luce sospeso tra le nubi. Il fenomeno fisico che lo genera è noto come rifrazione, ed è un processo che, a livello simbolico, può aprirci una finestra per intuire misteri più profondi.
La luce bianca del sole, in apparenza semplice e uniforme, è in realtà composta da una gamma di onde elettromagnetiche, ciascuna con una frequenza diversa: è il cosiddetto spettro (che non significa "fantasma"). Quando questa luce incontra un mezzo come le gocce d'acqua sospese nell’aria — per esempio dopo la pioggia — essa viene scomposta nei suoi colori costitutivi: rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco e viola. La causa di questa scomposizione è che le onde luminose non vengono deviate tutte allo stesso modo: le frequenze più alte, come il blu e il viola, subiscono una rifrazione maggiore rispetto a quelle più basse, come il rosso e il giallo.
Eppure, nonostante questa molteplicità visibile, la natura della luce non cambia. Rimane luce, nella sua essenza indivisa. La molteplicità è solo una manifestazione temporanea e condizionata, non un cambiamento ontologico. Questo si può dimostrare con un semplice esperimento: facendo passare la luce bianca attraverso due prismi — il secondo dei quali posto in modo da invertire il lavoro del primo — si osserva che i raggi colorati si ricompongono, tornando a formare il medesimo raggio bianco originario. L’unità della luce resta intatta, pur essendosi manifestata in molteplici colori.
Questa immagine, semplice ma eloquente, può aiutarci a contemplare il mistero della Trinità: Dio è uno nella sostanza, ma si rivela in tre Persone distinte — come la luce che, pur unica, si manifesta in sette colori distinti (cfr. Ap. 3,1; 4,5; 5,6) senza cessare di essere luce (1 Giov. 1,5). Così come nessun colore dello spettro esiste indipendentemente dalla luce, nessuna Persona divina è scindibile o separabile dalla Deità unica e indivisibile. Ogni Persona manifesta l’unico Dio, operando in perfetta armonia, come i colori che si fondono per restituire la purezza originaria della luce bianca.
In tal modo, ciò che in natura è segno diventa simbolo: la luce che si frammenta e poi si ricompone è eco visibile di un’unità divina che, pur manifestandosi in pluralità, rimane eternamente una.
Applicazione dell’analogia
Tornando ora al mistero sublime della Trinità, possiamo avvalerci ancora dell’analogia della rifrazione per contemplare in modo sapienziale come Dio si riveli progressivamente all’umanità. Così come la luce bianca si scompone in più colori attraverso il prisma, ma resta luce nella sua essenza, così Dio — eterno, indivisibile, perfettamente uno — si manifesta attraverso le tre Persone della Divinità senza mai cessare di essere echad (uno).
Nel principio, il termine con cui Dio si presenta all’uomo è Elohim (Gen. 1,1), una forma grammaticale plurale che, pur all’interno di un contesto rigorosamente monoteistico, lascia già intravedere una complessità relazionale in Dio. In Gen. 1,26 leggiamo:
Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza
e nella creazione troviamo l’opera congiunta del Padre, del Verbo (Yeshua, Giov. 1,1-3) e dello Spirito che vibra sulle acque (Gen. 1,2). È un’opera corale, in perfetta sintonia, riflesso della natura eterna e relazionale di Dio.
- Con Abraamo, Dio si rivela come El Shaddai (Gen. 17,1), Colui che promette e sostiene, il Dio delle alleanze.
- A Mosè si rivela in modo ancora più intimo e ontologico, pronunciando il Suo Nome ineffabile: Ehyeh Asher Ehyeh — «Io sono Colui che sono» (Es. 3,14), una dichiarazione che abbraccia eternità, autosufficienza e presenza viva.
- Ma è nel volto di Yeshua che la rivelazione raggiunge la sua pienezza: «Chi ha visto Me, ha visto il Padre» (Giov. 14,9). Egli è il Mediatore dell’espiazione (Eb. 9,15), Colui che ci riconcilia con Dio e ci promette lo Spirito Santo (Giov. 14,16-17), che a Sua volta ha il compito di attirarci verso il Messia, trasformarci a Sua immagine (2 Cor. 3,18) e guidarci nella verità.
Ogni Persona divina rivolge il cuore dell’uomo all’altra in un perfetto dinamismo d’amore: lo Spirito illumina Yeshua, Yeshua glorifica il Padre, il Padre invia lo Spirito e accoglie i redenti. Sono tre volti della stessa luce, mai in dissonanza, sempre in unità. Come la luce non perde la sua natura quando si scompone in colori, così Dio non si divide nella Sua essenza mentre si manifesta come Padre, Figlio e Spirito. Le distinzioni non implicano separazione, né le funzioni divergono dalla sostanza.
Il fine ultimo di questa rivelazione trinitaria non è dottrinale, ma escatologico: è la comunione eterna dell’umanità redenta con Dio stesso. Un giorno ogni promessa sarà adempiuta, il peccato sarà annientato, e noi — trasformati, glorificati — saremo echad con il Signore (Giov. 17,21-23). È la visione celeste che Ap. 21,22-27 ci presenta con toni di ineffabile gloria:
Nella città non vidi alcun tempio, perché YHWH, Dio onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio [...] la gloria di Dio la illumina, e l'Agnello è la Sua lampada [...] nulla di impuro vi entrerà, ma soltanto quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello.
Tutto tende verso questa luce finale. Tutta la Storia sacra è una rifrazione della gloria eterna, che culmina nel ricongiungimento: Dio tutto in tutti (1 Cor. 15,28).
Conclusione
L’analogia della rifrazione illumina il mistero trinitario: un solo Dio, come un unico raggio di luce, che si manifesta in tre Persone — Padre, Figlio e Spirito — distinte ma inseparabili. Ciascuna agisce secondo un ruolo proprio, eppure sempre in perfetta armonia con le altre. Questa comprensione preserva la fede da squilibri e riduzioni, guidandoci a una comunione viva e integrale con Dio. La Trinità, infatti, non è solo da comprendere, ma da abitare.
In un prossimo articolo, ultimo di questa serie, parleremo della doppia natura di Yeshua.